Vittorio Feltri (Bergamo, 25 giugno 1943) è un saggista, opinionista e giornalista italiano.
Originario di Bergamo, è figlio di Angelo (1906-1949) e Adele.[1] Il padre morì a 43 anni a causa della malattia di Addison[1]. Diplomato vetrinista e laureato in Scienze Politiche[2], è stato iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 1971 al 25 giugno 2020.[3][4] Si è sposato giovane con Maria Luisa da cui ha avuto due figlie gemelle, Saba e Laura.[1] Rimasto vedovo nel 1967 a 24 anni (la moglie morì dopo il parto, a causa di complicazioni derivate da quest'ultimo), dal 1968 è sposato con Enoe Bonfanti, dalla quale ha avuto Mattia, giornalista, e Fiorenza.[1][5]
Nel 1962 inizia a collaborare con L'Eco di Bergamo, con l'incarico di recensire le prime visioni cinematografiche. Nello stesso periodo viene assunto per concorso alla Provincia come impiegato; lavora all'I.p.a.m.i., il brefotrofio[6], poi si occupa delle rette dei manicomi.[1] Quando è già di ruolo lascia tutto per riprendere la carriera giornalistica[7]. Si trasferisce a Milano, dove viene assunto dal quotidiano La Notte come praticante. Il 16 dicembre 1971 ottiene l'iscrizione all'Albo dei giornalisti professionisti. Nel 1974 Gino Palumbo lo chiama al Corriere d'Informazione (edizione pomeridiana del Corriere della Sera): dopo tre anni Feltri passa al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone.
Negli anni 1981-82 scrive sul mensile Prima Comunicazione sotto lo pseudonimo Claudio Cavina[6]. Dal 1983 è direttore di Bergamo-oggi, ma l'anno successivo è richiamato al Corriere della Sera come inviato speciale (1984-89, direttore Piero Ostellino). Feltri fu tra coloro che sostennero pubblicamente Enzo Tortora, il celebre conduttore televisivo accusato ingiustamente nel 1983 di associazione camorristica e spaccio di droga[8]. Nel 1988 partecipò, come ospite fisso, alla trasmissione Forza Italia di Odeon TV, condotta da Roberta Termali e Walter Zenga[9].
Nel 1989 assume la direzione del settimanale L'Europeo, portandolo in due anni da 78.000 a 130.000 copie[6][10]. Durante la sua direzione, venne pubblicato un falso scoop da parte del giornalista pubblicista Antonio Motta. Motta sostenne di essersi infiltrato nelle Brigate Rosse come "agente di Carlo Alberto Dalla Chiesa" e di aver scoperto particolari eclatanti e scabrosi sul rapimento di Aldo Moro. L'inchiesta, che fu pubblicata il 26 ottobre 1990, si rivelò invece un falso.[6][11] Feltri si difese: «A questa storia - affermò - si aggiungono misteri su misteri, noi abbiamo cercato le conferme, e le abbiamo avute, poi chi ce le ha date ha cambiato idea».[12]
Nel 1992 sostituisce Ricardo Franco Levi alla direzione de l'Indipendente, in grave crisi di vendite. Feltri rilancia il giornale e ne fa un quotidiano di successo, cavalcando lo sdegno popolare a seguito dell'inchiesta Mani pulite:
«Ammesso e non concesso che un magistrato abbia sbagliato, ecceduto, ciò non deve autorizzare i ladri e i tifosi dei ladri... gli avvoltoi del garantismo... a gettare anche la più piccola ombra sulla lodevole e mai sufficientemente applaudita attività dei Borrelli e dei Di Pietro.[13]» |
concentrando più volte i suoi attacchi sulla figura dell'allora segretario socialista Bettino Craxi:
«Mai provvedimento giudiziario fu più popolare, più atteso, quasi liberatorio di questo firmato contro Craxi (il primo avviso di garanzia, nda) ... Di Pietro non si è lasciato intimidire dalle critiche, dalle minacce di mezzo mondo politico (diciamo pure del regime putrido di cui l'appesantito Bettino è campione suonato)... Ha colpito senza fretta, nessuna impazienza di finire sui giornali per raccogliere altra gloria. Craxi ha commesso l'errore... di spacciare i compagni suicidi (per la vergogna di essere stati colti con le mani nel sacco) come vittime di complotti antisocialisti... È una menzogna, onorevole![14]» |
Coniò per Craxi il soprannome "Cinghialone". Quasi un ventennio dopo corresse in parte le sue affermazioni:
«Nel 1992 stavo a fianco di Antonio Di Pietro e di altre toghe. A Bettino Craxi ho dedicato i titoli più carogna della mia vita professionale al tempo dell'Indipendente. Del resto Bettino non fece nulla per sottrarsi ai colpi. Incurante di essere considerato il simbolo della politica ladra e corrotta, circondato da ometti che non facevano nemmeno lo sforzo di togliersi la giacca da gangster, non smetteva di ergersi senza ripararsi. Non schivava i colpi, e io pensavo fosse alterigia: quindi via con le ironie, le indignazioni e i sarcasmi. Ho sbagliato. Non scriverei più festosamente davanti alla «rivolta popolare» che accolse Bettino la sera del 30 aprile del 1993 fuori dall'hotel Raphaël a un passo da piazza Navona.» |
(da Il Giornale, 16-12-2013[15]) |
Nell'aprile 1993 conosce Silvio Berlusconi; il Cavaliere gli propone di lavorare come giornalista televisivo a Canale 5, ma Feltri rifiuta[6]. Nel corso dell'anno l'Indipendente sale oltre le 120.000 copie, superando anche Il Giornale.
Nel dicembre 1993 Feltri dichiara:
«A Montanelli invidio tutto tranne che Il Giornale. In fondo l'Indipendente continua a guadagnar copie, non c'è motivo perché io lo debba lasciare... Io al Giornale? Ma che cretinata. Berlusconi non m'ha offerto neppure un posto da correttore di bozze. M'incazzo all'idea che io, proprio io, sembro voler fare la forca a Montanelli. Io qui a l'Indipendente, mi diverto, guadagno copie, faccio il padrone e il politico. Mi spiegate perché devo fare certe cazzate? A carico di Montanelli, poi...[16]» |
Nel gennaio 1994, Feltri viene contattato da Paolo Berlusconi, editore de Il Giornale, che gli offre la direzione del quotidiano - direzione che Indro Montanelli ha deciso di lasciare. Feltri accetta e rimane al Giornale per 4 anni, durante i quali riporta il quotidiano in auge, da 130.000 a 250.000 copie (media annuale del 1996[6])[10]. Nello stesso periodo, Feltri cura una rubrica sul settimanale Panorama (scriverà anche alcuni reportage dall'Umbria colpita dal terremoto del settembre 1997), collabora con Il Foglio di Giuliano Ferrara e con altre testate nazionali, tra cui Il Messaggero e Il Gazzettino.
Durante la sua permanenza alla direzione del Giornale, Feltri accumula ben 35 querele da parte del magistrato Antonio Di Pietro. L'amministrazione del quotidiano decide di raggiungere un accordo con la controparte per la remissione delle querele. Feltri si uniforma alla decisione presa e il 7 novembre 1997 scrive in prima pagina una diplomatica lettera al magistrato. Nello stesso numero è pubblicata una lunga ricostruzione (due pagine) in cui tutte le accuse a Di Pietro vengono smontate. Un mese dopo il clamoroso articolo, Feltri lascia il Giornale.[17][18]
Feltri spiega perché ha lasciato la direzione de Il Giornale:
«Pago del fatto di aver vinto la sfida con La Voce e del successo del Giornale, mi prese il disgusto, la nausea di venir qui ogni mattina. Possedevo il 6 per cento del pacchetto azionario e non escludo che dentro di me abbia giocato l'inconscio desiderio - inconscio mica tanto - di andarmene per farmi dare quel mucchio di soldi.» |
Poi prosegue:
«L'affaire Di Pietro mi sembrò l'occasione propizia per accomiatarmi. Fu un errore. […] Non dovevo andarmene. Dovevo lasciare un paio di anni dopo, in una situazione di relax.» |
Complessivamente, sui quattro anni trascorsi in via G. Negri, ricorda:
«Con Paolo ci siamo lasciati male. Metà Forza Italia mi detestava perché dirigevo Il Giornale a modo mio: tra l'altro dicevano che gridavo. A Silvio Berlusconi sto sulle balle perché una volta lo difendo e una volta lo punzecchio. Se non gli stessi sulle balle mi chiederei dove ho sbagliato! Sono stato ben pagato e Paolo ha rispettato in pieno la mia autonomia. Ma se Il Giornale non è morto una ragione ci sarà e ne ho tenuto conto nella parcella.[19]» |
Nel 1998 è editorialista per Panorama e il quotidiano Il Messaggero.
Il 1º settembre 1998 assume la direzione de Il Borghese, il settimanale fondato da Leo Longanesi e che fu diretto per lunghi anni da Mario Tedeschi (1957-1993). L'obiettivo è di rilanciare il periodico, trasformandolo nel settimanale dei lettori che fanno riferimento al centro-destra. Il progetto però non decolla.
Il 1º giugno 1999 è direttore editoriale del Gruppo Monti-Riffeser. Il 1º agosto 1999 è direttore editoriale del Quotidiano Nazionale, testata con sede a Bologna che comprende i giornali di proprietà del gruppo: Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. A fine febbraio 2000 ritorna a Milano per dedicarsi alla fondazione di un nuovo quotidiano. Il nome provvisorio è Il Giornale libero.
Nel 2000 Feltri fonda Libero, giornale quotidiano indipendente di orientamento liberale-conservatore[senza fonte]. Feltri ne è anche direttore ed editore per 9 anni, fino alle dimissioni del 30 luglio 2009.
Sulla sua creatura ha dichiarato:
«Quando siamo partiti, il 18 luglio del 2000, dominava la noia [presso il pubblico dei lettori]. Qualcuno, confidando nel mio passato, si è deciso ad acquistarci proprio per superare la noia, forse sperando che inventassi chissà cosa. Abbiamo drizzato le antenne. Ora il nostro Paese è attraversato dal desiderio di identità e di sicurezza. Cerchiamo di dar voce a questo e di chiamare i politici a rispondere su questi temi assai più che sulle loro beghe di giustizia.[10]» |
Libero, uscito per la prima volta in edicola il 18 luglio 2000, è molto vicino alle opinioni politiche del centro-destra, ma non lesina critiche contro di esso. Lo stile del giornale è sarcastico, pungente e «politicamente scorretto»: si utilizzano talvolta termini gergali per raccontare i fatti della politica e per descrivere i politici. Il giornale in pochi anni passa da una tiratura di 70.000 copie a 220.000.
Il 21 novembre 2000[20] Feltri viene radiato dall'albo dei giornalisti con delibera del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia presa all'unanimità. Il fatto contestato è la «pubblicazione alla pagina 3 dell'edizione del 29 settembre 2000 del quotidiano di sette fotografie impressionanti e raccapriccianti di bambini ricavate da un sito pornografico reso disponibile dai pedofili russi e di una Deontologia - Minori e soggetti deboli 519 ottava fotografia a pagina 4 (raffigurante una scena di violenza tratta dai video di pedofilia sequestrati dalla magistratura), fotografie che appaiono tutte contrarie al buon costume e tali, illustrando particolari raccapriccianti e impressionanti, da poter turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare».[21][22] Nel febbraio del 2003 l'Ordine Nazionale dei giornalisti di Roma annulla il provvedimento di radiazione che era stato preso a Milano e lo converte in censura[23][24].
Nel 2003 il quotidiano Libero ha ricevuto dallo Stato 5.371.000 euro come finanziamento agli organi di partito[25]. Libero era registrato all'epoca come organo del Movimento Monarchico Italiano, poi trasformato in cooperativa per ottenere i contributi per l'editoria elargiti alle testate edite da cooperative di giornalisti, a fine dicembre 2006 diventava srl. In seguito è stata creata una fondazione ONLUS per controllare la s.r.l. e, di conseguenza, il quotidiano, in modo da continuare a percepire i contributi in quanto edito da fondazione[26].
Nel marzo 2005 Libero ha lanciato una raccolta di firme affinché il Presidente della Repubblica nominasse Oriana Fallaci senatrice a vita. Sono state raccolte 75.000 firme[27]. Libero simpatizza per la posizione del movimento dei Riformatori Liberali di Benedetto Della Vedova. Vittorio Feltri è uno dei firmatari del manifesto promosso dalla minoranza radicale che da aprile 2006 è alleata del centro-destra[28].
Dal gennaio 2007 al 15 luglio 2008, direttore responsabile di Libero diviene Alessandro Sallusti, con Feltri direttore editoriale. Nel 2007 il vicedirettore di Libero Renato Farina, con Feltri dalla fondazione del giornale, viene radiato dall'Ordine dei Giornalisti per avere collaborato con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando su Libero notizie in cambio di denaro.[29] Feltri curava anche, assieme a Renato Brunetta, la collana di libri "manuali di conversazione politica", periodicamente allegati al quotidiano.
Il 21 agosto 2009 ha assunto nuovamente la carica di direttore responsabile de Il Giornale, subentrando a Mario Giordano. Ha firmato il numero in edicola il giorno successivo. Negli ultimi giorni di agosto 2009 ha intrapreso un duro attacco a Dino Boffo, all'epoca direttore del quotidiano Avvenire, rivelando che Boffo aveva patteggiato (cosa che effettivamente risulta, osservando il casellario giudiziario) una pena per molestie comminatagli nel 2004, motivato da una "informativa" che descriveva Boffo come omosessuale. La Conferenza Episcopale Italiana si schierò in difesa di Boffo[30], ma la polemica montò fino a provocare le sue dimissioni. L'informativa si rivelò poi essere un falso accostato negli articoli del Giornale alla condanna, vera, per molestie. Il 4 dicembre 2009 Feltri scrive sul Giornale che «La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali».
Il 25 marzo 2010 il Consiglio dell'ordine dei Giornalisti della Lombardia ha sospeso Vittorio Feltri dall'albo professionale per sei mesi, quale sanzione per il caso Boffo e per gli articoli firmati da Renato Farina pubblicati successivamente alla sua radiazione dall'albo.[31][32][33] Feltri ha reagito alla notizia affermando «Mi dispiace di non essere un prete pedofilo o almeno un semiprete omosessuale o un conduttore di sinistra, ma di essere semplicemente un giornalista che non può godere, quindi, della protezione dei vescovi, né diventare un martire dell'informazione». Tali affermazioni sono state severamente criticate dal quotidiano cattolico Avvenire.[34] A seguito di tale vicenda, nel linguaggio giornalistico politico italiano, con metodo Boffo si intende l'attività di denigrazione a mezzo stampa basandosi su documenti falsi costruiti appositamente. Feltri in seguito ha ribadito che le notizie da lui pubblicate su Boffo erano vere (riferendosi alla condanna e alla presunta omosessualità di Boffo), che intendeva fare informazione sull'ipocrisia di una parte del mondo cattolico e di sentirsi comunque "addolorato" per aver causato le dimissioni del direttore.[35]
In settembre ha attaccato direttamente il presidente della Camera Gianfranco Fini per le sue aperture su voto amministrativo agli immigrati e testamento biologico, invitandolo a "rientrare nei ranghi", e provocando la seconda dissociazione da parte di Berlusconi[36]. Dopo un ulteriore attacco[37] il presidente Fini ha dato mandato al proprio avvocato Giulia Bongiorno di presentare querela contro lo stesso Feltri[37][38][39].
Sempre a settembre 2010, facendo un resoconto del suo anno come direttore, Feltri ha affermato di essere stato chiamato a ricoprire quell'incarico per risanare il deficit del Giornale, ammontante allora ad oltre 22 milioni di euro, di cui avrebbe contribuito a recuperare quasi 15 milioni. Ha continuato dicendo che per raggiungere simili risultati «è necessario fare un giornale di un certo tipo» e che ciò può anche non piacere; in quel caso era pronto a lasciare il suo posto di direttore senza problemi o polemiche.[40] Il 24 settembre 2010 Feltri si è dimesso dalla carica di direttore del quotidiano Il Giornale per assumere quella di direttore editoriale. Al suo posto è andato Alessandro Sallusti, fino a quel momento condirettore. L'11 novembre 2010 l'Ordine nazionale dei giornalisti ha ridotto da 6 a 3 mesi la sospensione che gli era stata inflitta il 25 marzo dello stesso anno dal Consiglio dell'ordine dei Giornalisti della Lombardia.[41]
Il 21 dicembre 2010 Feltri ha lasciato di nuovo il Giornale per assumere il ruolo di direttore editoriale di Libero al fianco del vecchio collega Maurizio Belpietro, confermato direttore responsabile[42]. I due giornalisti hanno acquistato il 10% ciascuno della società editrice. Nonostante posseggano una quota di minoranza, la gestione del giornale è stata affidata a loro. Grazie a una serie di patti parasociali, Feltri e Belpietro avranno anche la maggioranza nel consiglio di amministrazione[43].
Il 3 giugno 2011, Vittorio Feltri lascia Libero[44] per la seconda volta e dopo pochi giorni approda al Il Giornale per la terza volta, in qualità di editorialista. La decisione comporta una nuova polemica tra l'editore di Libero, il deputato PdL Antonio Angelucci, e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (che è anche presidente dello stesso partito)[45]. Da gennaio 2012 tiene una rubrica su ilGiornale.it denominata "Il Bamba"[46], dove assegna un premio al personaggio che nel corso della settimana si è maggiormente distinto per ingenuità, gaffe o manifesta incapacità, ma talvolta interviene anche su Libero.
Il 3 maggio 2016 ritorna al quotidiano che aveva fondato 16 anni prima, con un articolo dove invita Silvio Berlusconi a fare un passo indietro in politica. Il 17 maggio Feltri ritorna direttore al posto di Maurizio Belpietro, licenziato per divergenze con l'editore Antonio Angelucci.[47]
Da qualche anno Feltri collabora anche con il quotidiano sportivo torinese Tuttosport. Per questo quotidiano, oltre ad essere apprezzato editorialista, cura, ogni venerdì, le due pagine della rubrica I ritratti di Feltri.
Il 26 giugno 2020, rassegna le dimissioni dall’Ordine dei giornalisti in polemica ai vari provvedimenti disciplinari presi nei suoi confronti a causa delle sue prese di posizione e dei titoli asseritamente offensivi di Libero[48]. La notizia viene data da Alessandro Sallusti, in un editoriale su Il Giornale[49]. In particolare, Feltri ha dichiarato che «da anni l’Ordine mi rompe, soprattutto per i titoli di Libero, nonostante ci sia un direttore responsabile, non ne posso più. Me ne vado da un ente inutile, che esercita azioni nei miei confronti con un chiaro fumus persecutionis. Mi hanno spesso censurato, mi hanno sospeso, ora ho addirittura tre procedimenti, ma se ne occupa il mio avvocato, e gli farò anche causa per danni morali»[50].
Vittorio Feltri è spesso opinionista televisivo in talk show e programmi di approfondimento politico, per RAI, Mediaset e La7. In passato è stato ospite ricorrente dei programmi La gabbia di Gianluigi Paragone e CR4 - La Repubblica delle Donne di Piero Chiambretti. E'ospite fisso dei talk Fuori dal coro di Mario Giordano, Stasera Italia di Barbara Palombelli e L'aria che tira di Myrta Merlino. È saltuariamente opinionista sportivo per Tiki Taka e per i programmi di Sportitalia. Ha partecipato spesso anche a Live - Non è la D'Urso, talk show condotto da Barbara D'Urso.
Oltre al caso Boffo e quello della radiazione temporanea dall'ordine dei giornalisti si è reso protagonista di diverse controversie e vicende giudiziarie.
«Ho lavorato da stamattina alle dieci fino alle venti, dov'è il problema? Non sarò libero di andare a mangiarmi un boccone e bere un po' di champagne? Alla faccia di Parenzo. Ma che te frega, Parenzo, perché voi ebrei non bevete lo champagne? Bevetelo sto champagne, così sareste un po' più allegri e non mi rompereste i coglioni con la Shoah. E Madonna, sono decenni che rompono i coglioni con la Shoah, ma basta. Per l'amor di Dio. Non se ne può più.[58]» |
Insieme con Furio Colombo, Vittorio Feltri è autore di Fascismo e antifascismo, un libro uscito nel novembre 1994 per l'editore Rizzoli. Dal 2005 al 2009 partecipa ad una trasmissione, Pensieri&Bamba, nella quale viene intervistato su argomenti di attualità, su Odeon TV il lunedì.[73] Per alcune edizioni ha partecipato come opinionista alla trasmissione sportiva "Il processo di Biscardi" insieme al fratello Ariel Feltri. È intervenuto alla Giornata per la Coscienza degli Animali del 13 maggio 2010, esprimendo posizioni animaliste, in particolare contro la pesca sportiva e in favore del vegetarismo[74], anche se ha detto di non essere completamente vegetariano.[75]
Vittorio Feltri è ateo.[35] Nel giugno 2014 Feltri si tessera presso Arcigay, affermando dalle pagine de Il Giornale: "Noi siamo per la libertà, senza discriminazioni, convinti che sia necessario superare i pregiudizi che generano equivoci, banalità, insulti noiosi e stupidi"[76]. Questo nonostante la condanna per insulto omofobo del 2011 e un titolo critico di Libero sui gay nel 2019.[77]
Vittorio Feltri è un tifoso dell'Atalanta.
Vittorio Feltri sostiene di essere di orientamento liberal-conservatore[78], euroscettico e populista[77], e, inoltre, liberista e libertario sebbene, spesso, le sue esternazioni confliggano con queste posizioni. Egli si dichiara da sempre indipendente a livello politico, sostenendo "il meno peggio".[79] Tuttavia, data la sua dichiarata avversione per la sinistra di origine comunista[79], ha quasi sempre sostenuto prima il PSI (in epoca craxiana), poi Forza Italia e il Popolo della Libertà, nonostante alcune critiche nei confronti del centro-destra e anche dello stesso Silvio Berlusconi[79][80], per il quale però ha spesso espresso apprezzamenti.[81] Inoltre, seguendo l'esempio della sua amica e collega Oriana Fallaci, ha sempre sottolineato l'importanza della lotta all'islam politico, come testimoniato dal suo manoscritto Non abbiamo abbastanza paura, pubblicato nel 2015.
Nel 2006 ha firmato il citato "manifesto libertario" dell'ex radicale Benedetto Della Vedova, all'epoca leader dei Riformatori Liberali.[28] Ha dichiarato di essere favorevole a eutanasia[82], droghe leggere[83], matrimonio e adozione omosessuali.[84] Nel 2011 ha appoggiato l'iniziativa di Marco Pannella per l'amnistia e il miglioramento delle condizioni carcerarie.[85]
Feltri è inoltre un monarchico costituzionalista, sostenitore del ripristino del Regno d'Italia sotto Casa Savoia[86][87]; ha anche partecipato alla presentazione del Manifesto programmatico del Movimento Monarchico Italiano (2001).[88] Non disdegna però una riforma in senso presidenziale della Repubblica[89].
Alle elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 2015 è il candidato di Lega Nord e Fratelli d'Italia,[90] ottenendo 49 voti al primo scrutinio, 51 al secondo, 56 al terzo e 46 al quarto.[91]
Negli ultimi anni, dimostrandosi sempre più critico con la linea di Forza Italia e Berlusconi, al quale ha chiesto ripetutamente di ritirarsi dalla vita pubblica, ha mostrato apprezzamento per Lega e Fratelli d'Italia, esternando il fatto di aver votato per il partito di Matteo Salvini in occasione delle Politiche del 2018 e delle Europee del 2019[92] e dichiarando di volere Giorgia Meloni come futuro Presidente del Consiglio[93].
Ha inoltre ripetutamente avversato le politiche del Movimento 5 Stelle, partito da lui più volte bollato come meridionalista, assistenzialista e incapace di governare.
Il 26 giugno 2020, con un annuncio pubblicato su Il Giornale rende note le sue dimissioni dall'Ordine dei Giornalisti.[94][95] La scelta del ritiro è dovuta tra l'altro alle ultime polemiche in particolare a causa di alcune affermazioni e controversie durante la pandemia di COVID-19 sui meridionali, oltre che ai vari procedimenti disciplinari a cui è stato sottoposto dall'Ordine.[96]
Nel 2006 è insignito dell'Ambrogino d'oro.[97]
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