Sparizione di Emanuela Orlandi

Il manifesto affisso nel 1983 per le strade di Roma in occasione della sparizione

La sparizione di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di 15 anni, avvenne il 22 giugno 1983, mentre la ragazza rientrava a casa dopo le lezioni di musica. Il fatto divenne uno dei più celebri casi irrisolti della storia italiana e vaticana, con implicazioni e sospetti che coinvolsero e chiamarono in causa lo stesso Stato Vaticano, lo Stato Italiano, il terrorismo internazionale, i servizi segreti di diversi Stati, la Banda della Magliana, nonché un complotto interno al Vaticano per coprire un presunto scandalo sessuale legato alla pedofilia.

La vicenda fu collegata alla quasi contemporanea sparizione di un'altra adolescente romana, Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio 1983 e anch'ella mai più ritrovata.[1]

Biografia

Emanuela Orlandi nacque a Roma il 14 gennaio 1968,[2] penultima figlia di Ercole, commesso della Prefettura della casa pontificia, e Maria Pezzano. All'epoca della scomparsa abitava in Vaticano con i genitori e i quattro fratelli: Pietro, Natalina, Federica e Maria Cristina.

Nel giugno 1983 aveva appena terminato il secondo anno del liceo scientifico presso il convitto nazionale Vittorio Emanuele II, venendo rimandata a settembre in latino e francese. Dotata di talento musicale, Emanuela frequentava da anni l'Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria, in piazza Sant'Apollinare (a poca distanza da Palazzo Madama), dove seguiva i corsi di pianoforte, flauto traverso, canto corale e solfeggio.[2]

La scomparsa

Mercoledì 22 giugno 1983 Emanuela uscì di casa alle 16:00 circa per recarsi alle lezioni di musica in piazza Sant'Apollinare. Prima di uscire di casa, sia a causa del caldo sia per il fatto che era in ritardo, la ragazza aveva chiesto al fratello Pietro di accompagnarla, ma lui non poteva avendo già un altro impegno, motivo per cui Emanuela, contrariata, uscì sbattendo la porta. Sarebbe stata l'ultima volta che Pietro l'avrebbe vista.

Il complesso di Sant'Apollinare con la basilica annessa. Nel palazzo aveva sede la scuola di musica in cui Emanuela Orlandi si recò la sera della scomparsa

La lezione di flauto si svolgeva dalle 17:00 alle 18:00 e quella di canto corale dalle 18:00 alle 19:00. Uscita dalla lezione di canto 10 minuti prima del tempo, Emanuela telefonò a casa da una cabina; rispose la sorella Federica, ed Emanuela le disse che un uomo l'aveva fermata proponendole un lavoro di volantinaggio per la Avon Cosmetics, retribuito con la somma di 375.000 lire (equivalenti a circa 590 € del 2023), da svolgersi durante una sfilata di moda nell'atelier delle Sorelle Fontana che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni; la sorella le sconsigliò di accettare la proposta e le suggerì di tornare a casa per parlarne con i genitori.[2][3] Dopo la telefonata con la sorella, Emanuela aspettò l'uscita delle altre compagne dal corso di canto e insieme a due di esse, Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini, raggiunse la fermata dell'autobus in Corso Rinascimento.[4] A detta delle due ragazze, Emanuela alluse alla proposta di lavoro ricevuta e, da loro messa in guardia, disse che avrebbe chiesto prima il permesso ai genitori e che avrebbe comunque fatto attenzione per evitare brutte sorprese.[5] Intorno alle 19:30, prima Maria Grazia e poi Raffaella salirono su due differenti autobus dirette a casa, mentre, a detta di Raffaella, Emanuela non salì sull'autobus poiché troppo affollato, dicendo che avrebbe atteso quello successivo. Da quel momento si persero le tracce della ragazza.[6]

Secondo un'altra versione, dopo la telefonata Emanuela confidò all'amica e compagna della scuola di musica Raffaella Monzi che sarebbe rimasta ad attendere l'uomo che le aveva fatto l'offerta, per dirgli che avrebbe chiesto prima il permesso ai propri genitori. Raffaella dichiarò che Emanuela l'avrebbe accompagnata alla fermata dell'autobus, lasciandola alle 19:30. Raffaella riferì quindi che dopo essere salita sul mezzo pubblico vide dal finestrino Emanuela parlare con una ragazza dai capelli ricci — che non fu mai identificata — anche se alcuni suggerirono che si trattasse con ogni probabilità di qualche altra allieva della scuola di musica.[2][7][8]

Riguardo la presunta offerta di lavoro fatta ad Emanuela, fu accertato in seguito che la Avon — che peraltro impiegava solo personale femminile — non aveva nulla a che vedere con il fatto, e risultò inoltre che nello stesso periodo altre adolescenti dell'età di Emanuela erano state adescate da un uomo con il pretesto di pubblicizzare prodotti cosmetici in occasione di eventi quali sfilate di moda o altro.[2]

Le ricerche dei familiari e le prime telefonate anonime

Non vedendo rincasare la figlia, Ercole Orlandi incominciò a cercarla insieme al figlio Pietro presso la scuola di musica e nei dintorni, contattando la preside dell'istituto, che fornì ai familiari i recapiti telefonici di alcune compagne di corso di Emanuela e consigliò di attendere prima di allertare la polizia; nondimeno Ercole Orlandi si recò subito dopo al Commissariato "Trevi", in piazza del Collegio Romano, per denunciarne la scomparsa, ma gli fu suggerito di attendere prima di sporgere denuncia, poiché la ragazza poteva essersi fermata a cena fuori con amici dimenticando di chiamare a casa.[2] La denuncia fu formalizzata la mattina seguente (23 giugno) presso l'Ispettorato di pubblica sicurezza "Vaticano" dalla sorella Natalina.

Il giorno ancora successivo (24 giugno) i quotidiani romani Il Tempo e Il Messaggero pubblicarono sia la notizia della scomparsa, sia una fotografia della ragazza, con la richiesta di aiuto della famiglia e i recapiti telefonici.[9]

Il 25 giugno, dopo una serie di telefonate non attendibili, arrivò agli Orlandi una chiamata da parte di un giovane che disse di chiamarsi "Pierluigi", il quale raccontò che insieme alla sua fidanzata aveva incontrato a Campo de' Fiori due ragazze, una delle quali vendeva cosmetici, aveva con sé un flauto e diceva di chiamarsi Barbara. "Pierluigi" riferì anche che "Barbara", all'invito di suonare il flauto, si sarebbe rifiutata poiché per farlo avrebbe dovuto mettere gli occhiali da vista, che non le piacevano, e aveva aggiunto che avrebbe preferito un modello della Ray-Ban come quello che la presunta fidanzata di "Pierluigi" indossava. Tre ore più tardi "Pierluigi" richiamò, aggiunse che gli occhiali di "Barbara" erano «a goccia, per correggere l'astigmatismo» ma rifiutò un incontro con i familiari di Emanuela o di metterli in contatto con la propria ragazza, sostenendo che questa fosse distratta e poco affidabile. Queste chiamate apparvero attendibili ai familiari, poiché in effetti Emanuela era astigmatica, si vergognava di portare gli occhiali e suonava il flauto.

Il 26 giugno, durante un'altra chiamata cui rispose Mario Meneguzzi, zio della giovane,[10] "Pierluigi" aggiunse alcune informazioni su se stesso: disse di avere 16 anni e di trovarsi in quella giornata con i genitori in un ristorante al mare. Comunicò anche che "Barbara" avrebbe suonato il flauto al matrimonio della sorella programmato per settembre, ma rifiutò ogni ulteriore collaborazione per rintracciare Emanuela e di incontrare di persona lo zio; anzi, quando questi gli chiese un incontro in Vaticano — presso l'abitazione dei genitori della ragazza — "Pierluigi" rimase sorpreso chiedendo all'uomo se egli fosse un sacerdote. Gli inquirenti appurarono che tra gli amici di Emanuela vi era in effetti un ragazzo di nome Pierluigi, che però al momento della scomparsa si trovava in villeggiatura altrove.

Il 28 giugno fu la volta di un tale "Mario", sedicente titolare di un bar nel centro di Roma, nei pressi di piazza dell'Orologio (assai vicina al Ponte Vittorio, lungo il tragitto che Emanuela percorreva abitualmente per recarsi alla scuola di musica), il quale, con un forte accento romano, disse di avere 35 anni. Anch'egli sosteneva di aver visto un uomo e due ragazze che vendevano cosmetici, una delle quali diceva di essere di Venezia e chiamarsi "Barbarella". Significativo, durante la telefonata di "Mario", un piccolo dettaglio: quando gli fu chiesta l'altezza della ragazza, egli esitò, come se non lo sapesse, quindi si limitò a dichiarare «È bell'altina», mentre in realtà la Orlandi era alta un metro e sessanta. In sottofondo, si sentì una seconda voce che diceva «No, de più».[11] Sembra quindi che ci fosse un secondo uomo con lui, il quale aveva visto la ragazza, al contrario di "Mario", a meno che non si trattasse di un mitomane.

In una seconda telefonata,[12] "Mario" spiegò che "Barbara" gli aveva confidato di essersi allontanata volontariamente da casa perché stufa della routine domestica, ma di essere intenzionata a fare rientro alla fine dell'estate per il matrimonio della sorella. La famiglia, considerando quest'ipotesi impossibile, perse a questo punto fiducia nelle telefonate di "Mario" e "Pierluigi". Anni dopo si ipotizzò che il sedicente "Mario" fosse un uomo vicino alla Banda della Magliana,ma ciò non fu mai provato.[13]

Nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Emanuela, il fratello Pietro e alcuni amici appurarono che una giovane descritta come molto simile a lei — anche se non è stato mai confermato se si trattasse effettivamente di Emanuela — era stata notata parlare con un uomo sia da un agente della Polizia di Stato (Bruno Bosco), sia da un vigile urbano (Alfredo Sambuco) in servizio davanti al Senato (al quale la ragazza avrebbe chiesto dove si trovasse la Sala Borromini). Il vigile, interrogato dalla polizia una volta cominciate le indagini per la scomparsa, riferì che la ragazza era in compagnia di un uomo alto circa 1,75 m, di età tra i trentacinque e i quarant'anni, snello, vestito elegantemente con il viso lungo, stempiato, che portava con sé una valigetta o una borsa e che sarebbe giunto alla guida di una BMW Touring di colore verde tundra.[7][8][14] Il poliziotto dichiarò di aver scorto nelle mani dell'uomo un involucro solido, forse un tascapane.[7]

I familiari della Orlandi interessarono nelle indagini un agente del SISDE, Giulio Gangi, amico dei cugini della ragazza, il quale riuscì a rintracciare la BMW dell'uomo che aveva parlato con Emanuela; in particolare scoprì che era stata riparata (pur essendo priva di documenti) da un meccanico della zona di piazza Vescovio.[7] L'auto sarebbe stata portata dal meccanico da una donna bionda; il danno avrebbe riguardato la rottura del vetro del finestrino anteriore destro, ma questa rottura non sembrava causata da un'azione diretta — come solitamente per incidente o furto — dall'esterno verso l'interno, bensì dall'interno verso l'esterno.[7]

Riguardo le indagini sulla pista della BMW, nel 2008 sarebbe stato reso noto che Gangi, il quale era al tempo impegnato in indagini su un giro di prostituzione verosimilmente connesso con materie di stretta competenza dell'Istituto di appartenenza, rintracciò in breve la donna in questione, che scoprì e contattò in un residence della Balduina; la donna rifiutò di collaborare e il Gangi al suo ritorno in ufficio scoprì che i suoi superiori erano stati informati del suo contatto, nonostante fosse stato effettuato con nome e documenti di copertura e su un'auto con targa altrettanto dissimulata.[7][15]

La pista del terrorismo internazionale

Il collegamento con l'attentato a Giovanni Paolo II

Lo stesso argomento in dettaglio: Attentato a Giovanni Paolo II.

L'Angelus di Papa Giovanni Paolo II e le telefonate dell'"Americano"

Domenica 3 luglio 1983 il Papa di allora, Giovanni Paolo II, durante l'Angelus, rivolse un appello ai responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi,[16] ufficializzando per la prima volta l'ipotesi del sequestro.[17] Di seguito le parole di Papa Giovanni Paolo II durante l'Angelus riferito alla scomparsa di Emanuela:

«Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell'afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l'angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso.»

Il 5 luglio giunse una chiamata alla sala stampa vaticana. All'altro capo del telefono un uomo, che parlava con uno spiccato accento anglosassone (e per questo subito ribattezzato dalla stampa "l'Americano"), affermò di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi, sostenendo che molti altri elementi erano già stati forniti da altri componenti della sua organizzazione, "Pierluigi" e "Mario", e richiese l'attivazione di una linea telefonica diretta con il Vaticano.[17] Chiamava in causa Mehmet Ali Ağca, l'uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro un paio di anni prima, chiedendo un intervento del pontefice Giovanni Paolo II, affinché venisse liberato entro il 20 luglio. Fu quindi ipotizzato che i responsabili del rapimento di Emanuela Orlandi fossero degli esponenti dei Lupi Grigi, un'organizzazione terroristica nazionalista turca di ispirazione neofascista, a cui lo stesso Ağca era affiliato.

Un'ora dopo, l'uomo chiamò a casa Orlandi, e fece ascoltare ai genitori un nastro con registrata la voce di ragazza con inflessione romana,[18] forse di Emanuela, che ripete sei volte una frase, forse estrapolata da un dialogo più lungo: «Scuola. Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II. Dovrei fare il terzo liceo 'st'altr'anno... scientifico».

L'8 luglio 1983 un uomo con inflessione mediorientale telefonò a una compagna di conservatorio di Emanuela, dicendo che la ragazza era nelle loro mani, che avevano 20 giorni di tempo per fare lo scambio con Ali Ağca, e chiedendo che venisse istituita una linea telefonica diretta con il Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli. La giovane dichiarò che lei ed Emanuela si erano scambiate i numeri di telefono lo stesso giorno della scomparsa, per tenersi in contatto in vista della preparazione di un concerto, aggiungendo che Emanuela aveva trascritto il suo numero su un foglio che aveva riposto nella tasca dei jeans che indossava.[2]

Ali Ağca, in quel momento detenuto nelle carceri italiane e interrogato dalle autorità italiane, condannò fin da subito il rapimento della ragazza dichiarandosi estraneo alla vicenda manifestando il proprio supporto alla famiglia Orlandi, allo Stato Italiano e al Vaticano.

In totale Papa Giovanni Paolo II fece otto appelli pubblici per la liberazione di Emanuela Orlandi.

Il mistero della audiocassetta

Il 17 luglio, su indicazione dei rapitori, venne fatta trovare vicino alla sede dell'ANSA una audiocassetta, in cui si confermava la richiesta di scambio con Ağca, la richiesta di una linea telefonica diretta con il cardinale Casaroli, e si sentiva la voce di una ragazza sotto tortura che implorava aiuto, dicendo di sentirsi male. La cassetta fu fatta ascoltare al padre e allo zio di Emanuela, i quali riconobbero la voce della ragazza. Tuttavia, pochi giorni dopo, gli inquirenti rassicurarono la famiglia Orlandi dicendo che la voce nel nastro era stata estrapolata da un film pornografico e quindi non fosse quella di Emanuela.

Tuttavia, l'ex agente della DIGOS Antonio Asciore, che aveva trovato e ascoltato per primo la cassetta, dichiarò che il nastro consegnato alla famiglia Orlandi e poi pubblicato ai media non era quello originale da lui ascoltato. Asciore disse che nella registrazione originale non c'era solo la voce di una ragazza torturata, bensì anche diverse voci maschili. Inoltre, secondo lui, la registrazione originale era più lunga rispetto a quella pubblicata. La presenza di voci maschili nel nastro è supportata anche dalla prima trascrizione dell'audio effettuata dagli inquirenti il giorno stesso del ritrovamento, dando così supporto alla teoria di Asciore secondo cui la cassetta data agli Orlandi fosse falsa o comunque una versione manipolata dell'originale.[19]

Le telefonate successive, Turkesh e il collegamento al caso di Mirella Gregori

In ogni caso, la linea telefonica fu installata il 18 luglio. Alcuni giorni più tardi, in un'altra telefonata, "l'americano" chiese allo zio di Emanuela di rendere pubblico il messaggio contenuto sul nastro, e di informarsi presso il cardinale Agostino Casaroli, riguardo a un precedente colloquio.

Il 4 agosto 1983, arrivò alla sede dell'ANSA di Milano un comunicato con un nuovo ultimatum e un rinnovo della richiesta di liberazione di Ali Ağca. Il messaggio recava la firma di un gruppo fino a quel momento sconosciuto: Il Fronte Liberazione Turco Anticristiano "Turkesh". Nonostante Turkesh non fu mai in grado di fornire delle prove concrete sul fatto di avere Emanuela Orlandi nelle proprie mani, essi furono in grado di rivelare nei comunicati molti dettagli e particolari sulla vita privata della ragazza (ad esempio cosa aveva fatto negli ultimi giorni, i nomi di alcuni suoi amici oppure il numero di nei sulla sua schiena).[20]

Da quel momento si alternarono le telefonate dell'Americano e i comunicati di Turkesh, sebbene non ci fosse prova che i due elementi fossero collegati. In totale, le telefonate de "l'Americano" furono 16, tutte da cabine telefoniche, mentre i comunicati di Turkesh furono in totale sette, inviati tra agosto 1983 e novembre 1985. Nonostante le richieste di vario tipo e le presunte prove, né l'Americano (mai rintracciato) né il Fronte Turkesh non aprirono mai nessuna reale pista. Infatti non furono mai prodotte prove che dimostrassero l'esistenza in vita di Emanuela né tantomeno che la ragazza fosse effettivamente ostaggio dei Lupi Grigi o di Turkesh.

Nell'ottobre 1983, i membri del Fronte Turkesh dichiararono di custodire nelle loro mani tanto Emanuela quanto la sua coetanea romana, Mirella Gregori, scomparsa da Roma nel mese di maggio 1983, quaranta giorni prima di Emanuela. I rapitori dichiararono che la Gregori era stata rapita per chiedere al Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini di rilasciare una dichiarazione pubblica, nonché di ordinare il rilascio di Ağca. Dopo diverse consultazioni con le famiglie Orlandi e Gregori e il loro legale Gennaro Egidio, Pertini fece un pubblico appello il 20 ottobre 1983 per chiedere la liberazione delle due ragazze.[20][21]

Il 27 novembre 1985 arrivò l'ultimo comunicato del Fronte Turkesh contenente altri trentacinque particolari sulla vita di Emanuela. Da allora non si ebbero più notizie.

Il ruolo della Stasi e del KGB

L'ipotesi — sostenuta anche dal magistrato Ferdinando Imposimato — secondo cui la Orlandi sarebbe stata rapita dall'organizzazione terroristica turca al fine di ottenere la liberazione di Ağca fu posta in dubbio nel 2008 dall'ex ufficiale della Stasi Günter Bohnsack, il quale dichiarò che i servizi segreti della Germania Est sfruttarono il caso di Emanuela Orlandi scrivendo finte lettere a Roma per consolidare la tesi che metteva in relazione Ağca con i Lupi Grigi, al fine di scagionare la Bulgaria dalle accuse di aver collaborato con Ağca nella pianificazione dell'attentato a Papa Giovanni Paolo II. Bohnsack dichiarò che l'ordine dell'operazione (nome in codice "Operazione Papst") veniva direttamente dal KGB.[22]

La versione personale di Ali Ağca

Il 2 febbraio 2010 Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ebbe un colloquio con Mehmet Ali Ağca, nel quale l'ex terrorista ipotizzò il rapimento per conto del Vaticano. L'ex terrorista fece inoltre il nome del cardinale Giovanni Battista Re ritenendolo persona informata sui fatti e rassicurò Pietro sul fatto che «Emanuela è viva e ritornerà presto a casa».[23][24] Secondo l'ex Lupo grigio, la ragazza «ora vive reclusa in un convento in Francia o in Svizzera. Tornerà a casa».

Un anno dopo, la registrazione del colloquio venne pubblicata dalla trasmissione Chi l'ha visto? che censurò il nome del cardinale. Pietro Orlandi, in quel momento in collegamento, comunicò di essere andato a parlare con lo stesso Re, il quale avrebbe smentito le parole dell'ex terrorista.[25]

In tutti questi anni Ali Ağca ha sempre sostenuto (anche se spesso in maniera confusa e contraddittoria) che Emanuela Orlandi sia stata rapita in un complotto interno al Vaticano volto a chiedere la sua liberazione. Ağca ha spesso detto che il rapimento di Emanuela Orlandi sarebbe collegato al Terzo segreto di Fatima, così come l'attentato a Giovanni Paolo II e che «senza capire il Terzo segreto non capirete mai il mistero del caso Orlandi». L'ex terrorista ha inoltre sempre ritenuto che la ragazza sia attualmente ancora viva e che «non le è stato fatto alcun male», aggiungendo che «se il Vaticano volesse, Emanuela ritornerebbe a casa domani». Ali Ağca ha ribadito questa posizione anche nel dicembre 2022 in collegamento durante una puntata di Atlantide su LA7 condotta da Andrea Purgatori in cui era ospite in studio anche Pietro Orlandi.[26]

La pista della Banda della Magliana

Lo stesso argomento in dettaglio: Enrico De Pedis.

Il ritrovamento della tomba di Enrico De Pedis

Enrico De Pedis

L'11 luglio del 2005, alla redazione del programma Chi l'ha visto?, in onda su Rai 3, arrivò una telefonata anonima in cui si diceva che per risolvere il caso di Emanuela Orlandi era necessario andare a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant'Apollinare e controllare «del favore che Renatino fece al cardinal Poletti».[27] Si scoprì che il defunto era Enrico De Pedis (detto Renatino), uno dei capi della Banda della Magliana.[28] L'inviata Raffaella Notariale era riuscita a ottenere le foto della tomba e i documenti originali relativi alla sepoltura del boss, voluta ed autorizzata dal cardinale Ugo Poletti, allora presidente della CEI.

Il 20 febbraio 2006, un pentito della Banda, Antonio Mancini, sostenne, in un'intervista al giornalista Fiore De Rienzo di Chi l'ha visto?, di aver riconosciuto nella voce di "Mario" quella di un sicario al servizio di De Pedis, tale Rufetto.[29] Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica tuttavia, non confermarono quanto dichiarato da Mancini.[6]

La testimonianza di Sabrina Minardi

Sempre nel 2006 la Notariale raccolse un'intervista di Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano, che tra la primavera del 1982 e il novembre del 1984 ebbe una relazione con De Pedis. La Minardi affermò che era stato De Pedis a rapire Emanuela Orlandi dichiarando inoltre di aver avuto lei stessa un ruolo nel nascondere la ragazza.

La Minardi disse che la sera stessa del rapimento, lei e De Pedis si incontrarono in un parcheggio nel quartiere EUR dove arrivò una BMW verde (identica a quella su cui i due poliziotti videro salire Emanuela) guidata dall'autista di De Pedis, "Sergio" (possibile uomo della Avon e rapitore materiale di Emanuela), con a bordo la ragazza. Qui "Sergio" avrebbe consegnato Emanuela a De Pedis.

Secondo la Minardi, la ragazza sarebbe stata trasferita più volte nei giorni immediatamente dopo il rapimento: prima sarebbe stata tenuta prigioniera per quindici giorni in una casa della famiglia della Minardi stessa a Torvaianica, dove sarebbe stata assistita da una certa "Adelaide", e successivamente sarebbe stata trasferita di nuovo a Roma in un'abitazione di proprietà di Daniela Mobili in via Antonio Pignatelli 13 a Monteverde nuovo — nel Gianicolense — che aveva «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'Ospedale San Camillo».[30] L'esistenza di questo sotterraneo è stata accertata dagli inquirenti il 26 giugno 2008.[31] Di lei si sarebbe occupata la governante della signora Daniela Mobili, "Teresina". Secondo la Minardi, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati, altro esponente di spicco della Banda della Magliana coinvolto nel caso Calvi.[11]

La Mobili ha negato di conoscere la Minardi e di avere avuto un ruolo nell'asserito rapimento, poiché in quegli anni si trovava, così come il marito, in prigione; tuttavia la Minardi si è sempre riferita alla governante "Teresina", che effettivamente lavorava nell'appartamento in quel periodo.[32][33] Successivamente, la Minardi ha citato un altro componente della Banda (corrispondente a un vecchio identikit)[34] che, rintracciato dalle forze dell'ordine, ha confessato che il rifugio in via Pignatelli fosse sì un nascondiglio, «ma non per i sequestrati, [bensì] per i ricercati. Era il rifugio di "Renatino" [De Pedis]», negando la connessione fra l'ex boss della Magliana e il rapimento Orlandi.[35]

La Minardi ha poi raccontato di aver ricevuto da De Pedis l'incarico di prelevare la Orlandi ad un bar del Gianicolo e di accompagnarla al benzinaio del Vaticano in Viale delle Mura Aurelie, poco distante da Città del Vaticano. All'appuntamento al Gianicolo arrivarono una BMW scura, con alla guida "Sergio", l'autista di De Pedis e una Renault 5 rossa con a bordo "Teresina" ed Emanuela, in totale stato confusionario poiché "imbottita di farmaci". A questo punto "Sergio" l'avrebbe messa nella BMW alla cui guida andò la Minardi stessa. Rimasta sola in auto con la ragazza, la donna notò che questa «piangeva e rideva insieme» e «sembrava drogata». Arrivata al benzinaio, trovò ad aspettare una Mercedes targata Città del Vaticano da cui scese un uomo «che sembrava un sacerdote» che la prese in consegna.[36]

La Minardi riferì inoltre che il sequestro della Orlandi era stato effettuato da De Pedis per ordine di Monsignor Paul Marcinkus (1922-2006), che all'epoca era presidente dell'Istituto per le opere di religione (IOR), «per mandare un messaggio a qualcuno sopra di loro» come parte di un «gioco di potere».[37] La Minardi disse inoltre di aver aiutato in diverse occasioni De Pedis a portare a Marcinkus delle borse contenenti un miliardo di lire in contanti.[38] Minardi raccontò anche che, su indicazione di De Pedis, lei stessa accompagnò in almeno quattro o cinque occasioni delle giovani ragazze (non è chiaro se tra queste abbia affermato che ci fosse anche la Orlandi o se la Minardi si riferisse ad altre occasioni) da Marcinkus in un appartamento in via Porta Angelica.[37] Secondo alcuni giornali e pubblicazioni, l'identikit de "l'Americano", stilato dall'allora vicecapo del SISDE Vincenzo Parisi in una nota rimasta riservata fino al 1995, corrisponderebbe effettivamente a monsignor Paul Marcinkus. Gli specialisti del SISDE, analizzando i messaggi e le telefonate pervenute alla famiglia, per un totale di 34 comunicazioni, ne ritennero 16 affidabili e legate a chi aveva effettuato il sequestro, che riguardavano una persona con una conoscenza approfondita della lingua latina, migliore di quella italiana (ritenendo possibile che fosse stata appresa successivamente al latino), probabilmente di cultura anglosassone e con un elevato livello culturale e una conoscenza del mondo ecclesiastico e del Vaticano, oltre alla conoscenza approfondita di diverse zone di Roma (dove probabilmente aveva abitato).[39]

Nel 2007 Antonio Mancini rilasciò dichiarazioni relative al coinvolgimento di De Pedis e di alcuni esponenti vaticani nella vicenda di Emanuela Orlandi, rivelando ai magistrati della Procura di Roma che in carcere, all'epoca della scomparsa della quindicenne «si diceva che la ragazza era roba nostra (della Banda, ndr), l'aveva presa uno dei nostri».[37] Le dichiarazioni di Mancini sembrano confermate anche da Maurizio Abbatino, altro pentito e grande accusatore della Banda che, nel dicembre del 2009, rivelerà al procuratore aggiunto titolare dell'inchiesta sulla Magliana alcune confidenze raccolte fra i loro membri sul coinvolgimento di De Pedis e dei suoi uomini nel sequestro e nell'uccisione di Emanuela nell'ambito di rapporti intrattenuti da lui con alcuni esponenti del Vaticano.[40]

Va detto che nel corso delle indagini la credibilità di Sabrina Minardi è stata più volte messa in discussione per via della natura contraddittoria, confusionaria e spesso inverosimile delle sue dichiarazioni. Soprattutto a partire dal 23 giugno 2008[37], dopo che i verbali delle sue dichiarazioni agli organi giudiziari furono resi noti alla stampa, le dichiarazioni della Minardi si fecero sempre più contraddittorie e confusionarie, spostando la sequenza temporale degli eventi e menzionando il coinvolgimento di persone o già morte all'epoca (come ad esempio Danilo Abbruciati, morto un anno prima degli eventi) oppure in carcere. La Minardi, in particolare, cambiò più volte la versione sulla fine della ragazza: dapprima affermò che Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa e il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, gettato da De Pedis in una betoniera a Torvaianica, mentre in una seconda dichiarazione, invece, disse che sarebbe stato gettato in mare. In un'altra occasione, Minardi disse che assieme al cadavere della Orlandi ci sarebbe stato anche il cadavere di un bambino di 11 anni, Domenico Nicitra, figlio di un esponente della Banda, il siciliano Salvatore Nicitra, ucciso per rappresaglia. Questa versione non torna in quanto il ragazzino fu ucciso il 21 giugno 1993, ben dieci anni dopo l'epoca alla quale la Minardi fa risalire l'episodio, e tre anni dopo la morte dello stesso De Pedis, avvenuta all'inizio del 1990. Tutti questi elementi contradditori, la presenza di alcune intercettazioni telefoniche tra la Minardi e sua sorella in cui la donna riconosce di «non ricordare» molti elementi e di avere le idee molto confuse a riguardo, nonché l'ammissione della stessa Minardi di aver fatto notevole abuso di droga in quel periodo, portarono la Procura della Repubblica a dichiarare Sabrina Minardi una testimone inattendibile.[41]

La pubblicazione dei verbali resi alla magistratura dalla Minardi ha suscitato le proteste del Vaticano, che, per bocca di padre Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa della Santa Sede, ha parlato di «mancanza di umanità e rispetto per la famiglia Orlandi, che ne ravviva il dolore», e ha definito come «infamanti le accuse rivolte a Mons. Marcinkus, morto da tempo e impossibilitato a difendersi».[42]

La BMW rinvenuta da Parisi, indicata come utilizzata per il rapimento di Emanuela Orlandi

Le dichiarazioni della Minardi, benché, appunto, riconosciute dagli inquirenti come parzialmente incoerenti, hanno riacquistato maggior credibilità[senza fonte] nell'agosto 2008, a seguito del ritrovamento nel parcheggio di Villa Borghese, a Roma, ad opera del giornalista Antonio Parisi, della BMW che la stessa Minardi ha raccontato di aver utilizzato per il trasporto di Emanuela Orlandi e che risulta appartenuta prima a Flavio Carboni, imprenditore indagato e poi assolto nel processo sulla morte di Roberto Calvi, e successivamente a uno dei componenti della Banda.[43]

Il 30 giugno di quell'anno Chi l'ha visto? trasmise la versione integrale della telefonata anonima del luglio 2005,[44] rimasta inedita fino ad allora. Dopo le rivelazioni sulla tomba di De Pedis e del cardinal Poletti, la voce aggiungeva «E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei [...] con l'altra Emanuela». Il bar in questione si rivelò appartenere alla famiglia di Sonia De Vito, amica di Mirella Gregori, scomparsa a Roma il 7 maggio 1983 in circostanze misteriose e il cui rapimento venne collegato a quello dell'Orlandi.[31] La redazione del programma è stata minacciata[per quale motivo?] a luglio anche da un'altra telefonata anonima da parte di un certo "biondino".[45]

Il 19 novembre 2009 Sabrina Minardi, nuovamente interrogata presso la Procura di Roma dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pubblico ministero Simona Maisto, sembrerebbe aver riconosciuto l'identità di "Mario", ossia l'uomo che nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Emanuela Orlandi telefonò ripetutamente alla famiglia.[46][47][48][49] Il 21 novembre su Rai News 24 andò in onda un'altra intervista alla Minardi che di nuovo alla giornalista Raffaella Notariale raccontò che Emanuela Orlandi aveva trascorso i primi quindici giorni di prigionia a Torvaianica, nella casa al mare di proprietà dei genitori della Minardi stessa.[50]

Il 10 marzo 2010 è stata resa nota l'esistenza di un nuovo indagato, Sergio Virtù, indicato da Sabrina Minardi come l'autista di fiducia di De Pedis, il quale avrebbe avuto un ruolo operativo nel sequestro della ragazza. L'uomo è indagato per i reati di omicidio volontario aggravato e sequestro di persona. Virtù è stato arrestato il giorno dell'interrogatorio per altri reati e trasferito nel carcere di Regina Coeli. All'ex autista di Renatino infatti, erano state inflitte in passato due condanne perché coinvolto in reati di truffa. Davanti ai PM titolari dell'inchiesta, Virtù ha negato ogni addebito sulla vicenda, in particolare di avere mai conosciuto né avuto rapporti di amicizia con De Pedis. A carico dell'ex autista ci sono anche alcune dichiarazioni di un'altra donna, definita dagli inquirenti una sua ex convivente, la quale avrebbe raccontato di aver avuto un ruolo nel sequestro della Orlandi e di averne per questo anche ricevuto compenso.

Nel luglio 2010 il Vicariato di Roma, ha permesso l'ispezione della tomba di De Pedis nella basilica di Sant'Apollinare ed è stato disposto il prelievo del DNA sul fratello di De Pedis, sui familiari di Emanuela e anche su Antonietta Gregori, sorella di Mirella.[51]

Nel luglio 2011 la procura distrettuale di Roma ha arrestato alcuni componenti della famiglia romana De Tomasi, accusati di reati tra i quali usura e riciclaggio di denaro; secondo gli inquirenti, Giuseppe De Tomasi, noto come Sergione, affiliato alla Banda della Magliana, è la stessa persona che nel 1983 telefonò alla famiglia Orlandi identificandosi con il nome "Mario", mentre il figlio, Carlo Alberto De Tomasi, è l'autore della telefonata a Chi l'ha visto? del 2005.[52] De Tommasi si difenderà dicendo di non poter aver fatto quella chiamata nel 1983 poiché era in carcere e neppure quella al programma televisivo.[53]

I collegamenti con lo scandalo del Banco Ambrosiano

Riguardo al motivo per cui la Banda della Magliana avrebbe rapito Emanuela Orlandi, fu ipotizzato, in particolar modo dal giudice Rosario Priore, che il sequestro fu un colpo della Banda per ricattare il Vaticano per pretendere la restituzione di una grande somma di denaro.[21]

In quegli anni, lo IOR, gestito da Marcinkus, fungeva un ruolo da tramite tra la Santa Sede ed il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, una banca di Milano che svolgeva riciclaggio di denaro da attività illecite, incluse attività della criminalità organizzata italiana. Tramite lo IOR di Marcinkus, la Santa Sede prese in prestito una ingente somma di denaro dal Banco Ambrosiano (proveniente quindi anche dalla malavita) per finanziare le attività di Solidarność in Polonia, patria dell'allora Papa, per contrastare il comunismo dell'Unione Sovietica[senza fonte]. Tuttavia, nel 1982 il Banco Ambrosiano fallì andando in bancarotta. Questo fallimento generò il più ampio scandalo del Banco Ambrosiano a seguito del quale lo stesso Roberto Calvi fu ritrovato "suicidato" a Londra pochi mesi dopo.[21]

La Banda della Magliana, a questo punto, desiderosa di riavere i suoi soldi, avrebbe rapito Emanuela Orlandi, cittadina vaticana e figlia di un funzionario vaticano, per fare pressioni sul Vaticano per ottenere la restituzione della somma di denaro prestata allo IOR.[21] Secondo altri, i soldi appartenevano in realtà alla 'Ndrangheta, la quale poi si sarebbe rivolta alla Banda della Magliana come tramite per effettuare il ricatto al Vaticano. Questo ricatto sarebbe avvenuto anche con la complicità di una fazione interna al Vaticano in accordo con la Banda della Magliana per contrastare un'altra fazione nemica della Santa Sede.[21][54]

A conferma di questa teoria, il 24 luglio 2011 Antonio Mancini, in un'intervista a La Stampa, dichiarò che effettivamente la Orlandi fu rapita dalla Banda per ottenere la restituzione del denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano, come ipotizzato dal giudice Priore. Mancini aggiunse di ritenere sottostimata la cifra di 20 miliardi e che fu De Pedis stesso a far cessare gli attacchi contro il Vaticano, malgrado i soldi non fossero stati tutti restituiti, ottenendo in cambio, fra le altre cose, la possibilità di essere sepolto nella basilica di Sant'Apollinare.[54][55]

Ad ulteriore conferma, nel 2018 Maurizio Abbatino, intervistato da Raffaella Fanelli, ha rivelato di aver saputo da Claudio Sicilia, altro esponente della Banda della Magliana, che dietro al sequestro ci fossero alcuni criminali della zona del Testaccio — di cui De Pedis era un esponente — e spiegherà perché il suo vecchio amico avrebbe preso la Orlandi:

«Per i soldi che aveva dato a personaggi del Vaticano. Soldi finiti nelle casse dello IOR e mai restituiti. E non c'erano solo i miliardi dei Testaccini ma pure i soldi della mafia. L'omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. Secondo me non fu un ordine [della mafia, ndr] ma una cosa fatta in accordo. So dei rapporti di Renatino [De Pedis, ndr] con monsignor Casaroli. Posso confermare i rapporti della banda con il Vaticano. Ma non ho mai conosciuto don Vergari. Può anche aver fatto beneficenza ma sicuramente non era cattolico, Renato era buddhista. I rapporti tra Vaticano e banda della Magliana risalgono a quegli anni lì [almeno al 1976, ndr]. E si devono alle amicizie di Franco. C'era un ragazzo omosessuale, si chiamava Nando. Fu lui a portare Franco da Casaroli. Di Casaroli si sapeva. Giuseppucci lo conosceva. E so che poi questa amicizia fu "ereditata" da Renatino.[56]»

Già nel 1983, nei giorni successivi alla scomparsa, un'indagine segreta dei servizi segreti italiani aveva già allora scartato come depistaggio la pista dei Lupi Grigi, ipotizzando che le vere ragioni del caso Orlandi andassero ricercate in un ricatto finanziario ai danni del Vaticano da parte di una qualche organizzazione criminale (all'epoca di pensò alla 'Ndrangheta).

Il ruolo del Vaticano

Le intercettazioni del 1993

Il 12 ottobre 1993 vi fu un'intercettazione telefonica che registrò una conversazione tra Raoul Bonarelli, all'epoca vicecapo della vigilanza vaticana, e un suo superiore. La conversazione avvenne alla vigilia dell'incontro di Bonarelli con il giudice Adele Rando in quanto Bonarelli era stato convocato nel contesto delle indagini sulla sparizione di Mirella Gregori dopo che la madre della giovane aveva dichiarato agli inquirenti di aver visto Bonarelli in compagnia di sua figlia poco tempo prima della scomparsa. Nella telefonata il superiore intimava Bonarelli di non riferire alcunché sulle indagini che il Vaticano aveva fatto sul caso di Emanuela Orlandi. Questa telefonata fu ritenuta la prova che il Vaticano aveva effettivamente eseguito delle indagini sul caso Orlandi nonostante sin dalla scomparsa non avesse mai avviato alcuna inchiesta ufficiale.[57]

La trattativa con Giancarlo Capaldo

Nel 2012, si tenne nel Palazzo di Giustizia di Roma una trattativa segreta tra due emissari del Vaticano e l'allora Procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo. I due emissari Vaticani erano Domenico Giani, allora comandante della Gendarmeria Vaticana, ed un altro funzionario vaticano. I due emissari erano stati mandati dalla Santa Sede per chiedere a Capaldo la rimozione della tomba di De Pedis dalla Basilica di Sant'Apollinare, in quanto motivo di "grande imbarazzo" per la Santa Sede. Capaldo accettò la richiesta in cambio di collaborazione riguardo al caso Orlandi. Due giorni dopo i due emissari accettarono l'offerta e proposero a Capaldo di consegnargli un fascicolo contenente diversi nomi che potevano avere informazioni sul caso, ma specificando che non si poteva andare oltre quei nomi. A questo punto Capaldo rispose chiedendo ai due emissari, assieme al fascicolo citato, anche la restituzione di Emanuela Orlandi, viva o morta che fosse, alla famiglia.[58]

Due settimane più tardi i due emissari vaticani riferirono di accettare lo scambio a patto che Capaldo avesse fornito all'opinione pubblica una storia verosimile che assolvesse il Vaticano da ogni responsabilità. I due emissari riferirono esplicitamente infatti che la reale verità non sarebbe mai potuta e dovuta venir fuori. Tuttavia, la trattativa non fu poi seguita da alcuna azione concreta, motivo per cui, il 2 aprile 2012, Capaldo rilasciò una dichiarazione pubblica in cui disse che il Vaticano era a conoscenza di quanto accaduto alla ragazza e che per ora la magistratura di Roma non avrebbe fatto spostare la tomba di De Pedis.[59] Nonostante ciò, il giorno seguente, il 3 aprile 2012, Capaldo fu rimosso dall'incarico e sostituito da Giuseppe Pignatone, il quale smentì le dichiarazioni di Capaldo, gli tolse la gestione delle indagini sul caso Orlandi e ordinò l'apertura ed il trasferimento della tomba di De Pedis.[60][58]

Il 14 maggio 2012 è stata aperta la tomba di De Pedis, ma al suo interno era presente unicamente la salma del defunto che, per espresso desiderio dei familiari, è stata cremata. Si è scavato anche più approfonditamente, ma sono state trovate solo nicchie con resti di ossa risalenti al periodo napoleonico; non furono trovate tracce del DNA né di Emanuela né di Mirella Gregori. Quattro giorni dopo, il 18 maggio, venne indagato don Pietro Vergari per concorso in sequestro di persona.[61]

Nel 2021, dopo le rivelazioni di Capaldo sulla trattativa, Giuseppe Pignatone, rispondendo alle accuse di aver ostacolato e chiuso sbrigativamente il caso dopo essere subentrato a Capaldo, riferì di non essere stato a conoscenza della trattativa tra Capaldo e i due emissari del Vaticano.[58]

L'archiviazione del 2016

Nell'ottobre del 2015 il GIP, su richiesta della Procura e per mancanza di prove consistenti, archivia l'inchiesta sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, avviata nel 2006 per via delle dichiarazioni di Sabrina Minardi e che vedeva sei indagati per concorso in omicidio e sequestro di persona: monsignor Pietro Vergari, ex rettore della basilica di Sant'Apollinare dove fino al 2012 era stato sepolto De Pedis, Sergio Virtù, autista del boss, Angelo Cassani detto Ciletto, Gianfranco Cerboni detto Giggetto, Sabrina Minardi e Marco Fassoni Accetti, quest'ultimo autoaccusatosi del sequestro.[62] Secondo la testimonianza di Accetti, ad essere collegato al caso della scomparsa di Emanuela fu l'episodio di cronaca nera conosciuto come "Giallo dei Sibillini", ovvero la morte di Jeannette Bishop e Gabriella Guerin,[63] avvenute a Sarnano dopo essere sparite il 29 novembre 1980. Il nome della Bishop, infatti, uscì durante le indagini sull'Istituto per le opere di religione, dell'allora presidente Paul Marcinkus.[64] Secondo la testimonianza, il gruppo di laici e religiosi di cui Accetti faceva parte decise di effettuare un'operazione ai danni dello IOR e di altre numerose figure religiose per fermare i finanziamenti anticomunisti di Giovanni Paolo II: Jeannette fu una delle donne scelte per accusare Marcinkus di violenza sessuale, poiché era solita frequentare salotti dell'alta nobiltà, ma la sua morte bloccò il piano.[65] La Bishop, essendo amica dell'arcivescovo, forse era venuta a conoscenza di qualche informazione legata alla futura scomparsa di Emanuela Orlandi e quindi uccisa per questo motivo.[66] La famiglia di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori avevano come avvocato, Gennaro Egidio, lo stesso di Jeannette.[67]

Nel 2016 infine la Corte di cassazione si è espressa negativamente sul ricorso in cassazione presentato da Maria Pezzano dichiarandosi inammissibile e confermando l'archiviazione dell'inchiesta giudiziaria chiesta dal GIP verso la fine dell'anno precedente.[68]

La pista della pedofilia

Nel 2002, in seguito allo scandalo dei preti pedofili di Boston scoperto dall'inchiesta del quotidiano The Boston Globe, fu ipotizzato un collegamento anche con il caso di Emanuela Orlandi in quanto alcune delle lettere inviate dai presunti rapitori figuravano come inviate proprio da Boston. Questa pista fu tuttavia ritenuta inverosimile.[69]

Negli anni 2000 il giornalista Pino Nicotri sostenne che una fonte interna al Vaticano gli avrebbe riferito una rivelazione circa il decesso della ragazza, forse accidentale, in seguito a un "incontro conviviale" tenutosi la sera stessa della scomparsa in una casa del Gianicolo, presso il capolinea dell'autobus che la ragazza avrebbe dovuto prendere per tornare a casa, nella residenza di un alto prelato o comunque di una persona vicina agli ambienti vaticani, e che il suo cadavere sarebbe poi stato occultato. Tutte le successive rivendicazioni e implicazioni legate al terrorismo internazionale e poi del crimine organizzato non sarebbero state altro che dei depistaggi architettati dai responsabili per deviare le indagini.[2][6]

In un'intervista rilasciata il 22 maggio 2012 a La Stampa,[70] il noto esorcista Padre Gabriele Amorth dichiarò che, secondo lui, la giovane Emanuela Orlandi sarebbe stata attirata e uccisa in un giro di festini a sfondo sessuale in cui sarebbero stati coinvolti esponenti del clero, un gendarme vaticano e personale diplomatico di un'ambasciata straniera presso la Santa Sede.[70] Questa ipotesi fu riportata anche nel suo libro L'ultimo esorcista. Nell'intervista, l'esorcista dichiara quanto segue: «Come dichiarato anche da monsignor Simeone Duca, archivista vaticano, venivano organizzati festini nei quali era coinvolto come "reclutatore di ragazze" anche un gendarme della Santa Sede. Ritengo che Emanuela sia finita vittima di quel giro. [...] Non ho mai creduto alla pista internazionale. Ho motivo di credere che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e occultamento del cadavere. Nel giro era coinvolto anche personale diplomatico di un'ambasciata straniera presso la Santa Sede».

La stessa ipotesi, col coinvolgimento anche di Paul Marcinkus, è stata fatta dal collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, ex affiliato di Cosa nostra, che ha riferito alla trasmissione Chi l'ha visto?, nel 2014, una presunta confidenza di un boss mafioso, affermante che la Orlandi sarebbe morta durante un festino a base di sesso e droga e sarebbe stata sepolta in Vaticano con altre presunte giovani vittime.[71]

La pista della pedofilia in Vaticano riemerse nel 2016 con la pubblicazione del libro d'inchiesta Atto di dolore del giornalista Tommaso Nelli, contenente una dichiarazione esclusiva di una delle migliori amiche della Orlandi (che ha deciso di restare nell'anonimato) secondo cui alcuni mesi prima della scomparsa, Emanuela le avrebbe confessato di essere stata «infastidita pesantemente» da una persona "vicina al Papa" in diverse occasioni mentre si trovava nei Giardini Vaticani.[72] La rivelazione fu riportata nella docu-serie di Netflix Vatican Girl: La scomparsa di Emanuela Orlandi, uscita nel 2022, contenente un'intervista della donna, anche se qui la donna colloca questa rivelazione ad appena una settimana prima della scomparsa.

Il 14 dicembre 2022 il giornalista Alessandro Ambrosini pubblica una registrazione esclusiva di una conversazione avvenuta nel 2009 con un ex membro della Banda della Magliana — identificato come Marcello Neroni — il quale riferisce che Emanuela Orlandi sarebbe stata rapita da De Pedis e dai suoi uomini della Banda della Magliana su richiesta di qualcuno all'interno del Vaticano (Neroni fa esplicitamente il nome di Agostino Casaroli, all'epoca Segretario di Stato della Santa Sede) per nascondere uno scandalo sessuale che sarebbe avvenuto all'interno delle mura leonine.[73] Nell'audio pubblicato all'opinione pubblica sono stati censurati degli espliciti riferimenti a personalità del Vaticano coinvolte in questo presunto scandalo sessuale, mentre l'audio integrale senza censure è stato consegnato e fatto ascoltare nell'aprile 2023 al promotore di giustizia vaticana Alessandro Diddi dopo l'apertura del caso.[74][75][76]

I Vatileaks e la pista di Londra

Il presunto «Rapporto Emanuela Orlandi»

Nel 2012 ci fu una fuga di documenti riservati del Vaticano, evento divenuto noto come scandalo Vatileaks. I documenti erano stati trafugati da Paolo Gabriele, all'epoca maggiordomo di papa Benedetto XVI, il quale li aveva consegnati al giornalista Gianluigi Nuzzi, che li aveva poi pubblicati nel suo libro Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI. Successivamente Gabriele disse a Pietro Orlandi di aver visto un dossier intitolato "Rapporto Emanuela Orlandi" sulla scrivania di Georg Gänswein, allora segretario di Benedetto XVI, ma di non essere riuscito a fotocopiarlo assieme agli altri documenti. Pietro Orlandi riferì che l'anno prima, nel 2011, Padre Georg gli aveva parlato della sua intenzione di far avviare un'indagine dal capo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani sulla vicenda di Emanuela. Orlandi ipotizzò che il rapporto visto da Gabriele potesse essere stato redatto a seguito di quell'indagine.[77] Lo stesso Padre Georg confermò all'avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, l'esistenza di tale dossier, dicendo che si trovava presso la Segreteria di Stato del Vaticano. Tuttavia, nel gennaio 2023, nel suo libro Nient'altro che la Verità, uscito pochi giorni dopo la morte di Benedetto XVI, Gänswein dedicò alcune pagine al caso Orlandi in cui negava l'esistenza di suddetto dossier.[78]

Già nel giugno 2017, quando la famiglia Orlandi presentò un'istanza di accesso agli atti per poter visionare «un dossier custodito in Vaticano», monsignor Giovanni Angelo Becciu (sostituto per gli Affari generali della segreteria) ne negò l'esistenza.[79]

I documenti del «resoconto sommario»

Nel settembre 2017 il giornalista Emiliano Fittipaldi, autore di altri due libri riguardanti il Vaticano, pubblica Gli impostori. Inchiesta sul potere. A maggio era entrato in possesso di un documento datato 28 marzo 1998 spedito per conoscenza dall'allora capo dell'APSA (l'ente che amministra il patrimonio della Santa Sede) cardinale Lorenzo Antonetti (morto tre anni prima) agli arcivescovi Giovanni Battista Re (allora sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato) e Jean-Louis Tauran (addetto ai Rapporti con gli Stati) dal titolo Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi e di cui al primo capoverso si legge: «La prefettura dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell'allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi». Il documento, che dimostrerebbe che la ragazza era in vita e che sarebbe stata mantenuta per diversi anni a Londra a spese del Vaticano, sarebbe stato rubato nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2014, senza alcuna infrazione e a colpo sicuro, dalla cassaforte in un armadio blindato della Prefettura degli affari economici che era sotto la responsabilità del segretario monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda, arrestato il 2 novembre 2015 nell'ambito del cosiddetto Vatileaks 2 per aver fornito informazioni riservate per la pubblicazione del libro Via Crucis di Gianluigi Nuzzi (finito sotto indagine insieme a Fittipaldi che aveva scritto Avarizia) e poi graziato dal Papa. Francesca Chaouqui, membro della COSEA durante la presidenza Balda, nel suo libro Nel nome di Pietro pubblicato a febbraio rivela che nell'armadio violato, oltre a quello sulla Orlandi, c'erano anche dossier su Michele Sindona e Umberto Ortolani (come confermato anche da monsignor Alfredo Abbondi, capo ufficio della Prefettura), sullo IOR e sulle spese politiche di papa Giovanni Paolo II destinate a Solidarność e che il furto sarebbe stato simulato proprio da Balda.

Il resoconto in possesso di Fittipaldi è un documento dattiloscritto che elenca le spese che sarebbero state sostenute tra il gennaio 1983 (sei mesi prima della scomparsa) e il luglio 1997 dalla Città del Vaticano per gestire la vicenda Orlandi per una somma totale di 483 milioni di lire. Tra le spese elencate nel resoconto ci sono spese volte al depistaggio delle indagini, è menzionata una "Fonte Investigativa presso Atelier di moda Sorelle Fontana L.450.00" (sic per la cifra), rette di vitto e alloggio presso l'ostello delle studentesse dei padri scalabriniani al 176 di Clapham Road (nel documento erroneamente indicata come Chapman Road) a Londra (8 milioni tra il 1983 e il 1985), spostamenti e spese mediche della ragazza (come i 3 milioni per saldare le spese del ricovero presso la clinica St. Mary di Londra con visite ginecologiche). L'ultima nota dell'elenco, datata luglio 1997, reca la scritta «attività generale e trasferimento presso Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali L.21.000.000», lasciando intendere una eventuale morte di Emanuela e relativo trasferimento della salma in Vaticano.[80]

L'autenticità di questo documento è stata più volte messa in discussione, soprattutto per il fatto di essere privo di timbri ufficiali, nonché per diversi errori di scrittura insoliti per essere un documento formale (ad esempio, le intestazioni ai due Arcivescovi recano la scritta "Sua Riverita Eccellenza", mentre nei documenti formali ci si riferisce agli arcivescovi con "Eccellenza Reverendissima", oppure il fatto che nel documento ci si riferisce alla «cittadina Emanuela Orlandi», mentre, in realtà, gli abitanti della Città del Vaticano sono, formalmente "sudditi", in quanto la Città del Vaticano è una monarchia assoluta governata dal Pontefice, nonché molti altri errori grossolani). Un altro elemento che ha generato molti sospetti è la relativa facilità con cui questo documento è stato trafugato, pur essendo un documento top secret. Nonostante ciò, la famiglia Orlandi e molti osservatori, tra i quali anche Fittipaldi stesso, ritengono che il documento potrebbe essere stato sì manipolato o falso, ma che di fatto possa basarsi su elementi reali, e che possa essere stato deliberatamente fatto trafugare come "avvertimento" in un ricatto tra fazioni avversarie all'interno del Vaticano che ancora conoscono la verità sul caso.

Altre indicazioni sulla pista inglese

Questa non era la prima volta che qualcuno postulò la teoria che Emanuela Orlandi potesse trovarsi nascosta a Londra. Già il 17 giugno 2011, durante un dibattito sul libro di Pietro Orlandi Mia sorella Emanuela in diretta TV sul canale Romauno, arrivò una telefonata anonima di un uomo, dichiaratosi ex-agente del SISMI con il nome in codice «Lupo», il quale affermò che «Emanuela è viva, si trova in un manicomio in Inghilterra ed è sempre stata sedata». L'uomo aggiunse che causa del rapimento fu la conoscenza da parte di Ercole Orlandi, padre di Emanuela, delle attività di riciclaggio di denaro che avrebbe visto il coinvolgimento dello IOR, collegando il rapimento a Calvi e al crack dell'Ambrosiano.[81][82]

Nel 2022 nel suo libro Addio Emanuela, la giornalista Maria Giovanna Maglie pubblica una serie di elementi, corredati da una documentazione, che dimostrerebbero come, dopo il rapimento, la giovane sarebbe stata effettivamente tenuta per decenni all'interno dell'ostello delle studentesse dei padri scalabriniani a Londra, dove sarebbe morta molti anni dopo. Il suo corpo sarebbe stato poi trasferito nuovamente in Italia per essere prima seppellito nel cimitero teutonico di Città del Vaticano e poi cremato.[83]

Nell'aprile 2023 Pietro Orlandi rivela di essere entrato in possesso di una lettera datata 1993 scritta dall'allora Arcivescovo di Canterbury George Carey indirizzata al cardinale Ugo Poletti. Nella lettera l'arcivescovo menziona Emanuela Orlandi, dicendo che sarebbe stato meglio che lui e Poletti si incontrino personalmente per parlare della questione. Altro elemento interessante è che l'indirizzo a cui sarebbe stata inviata la lettera è il 170 di Clapham Road, Londra. Al 176 della stessa via ci sarebbe lo stesso ostello menzionato nel documento del 2017 pubblicato da Fittipaldi in cui la ragazza avrebbe vissuto (o quantomeno alloggiato temporaneamente) sotto la protezione del Vaticano.[84] L'autenticità di questa lettera è stata tuttavia contestata dallo stesso Carey, il quale dichiarò che si tratterebbe di un falso.[85]

Altre attività e segnalazioni

La Fiat 127 nel Tevere

Diciannove ore dopo la scomparsa, un pescatore di Roma, Carlo Lazzari, asserì di aver visto il giorno dopo il rapimento due giovani gettare nel Tevere una Fiat 127 e di aver notato sporgere dal finestrino il braccio di una persona. La segnalazione fu subito ricollegata alla scomparsa di Orlandi. L'ispezione del fondale per trovare l'auto durò settimane, ma alla fine l'auto in questione non fu mai trovata. L'episodio fu citato nel 2013 da Marco Accetti, il quale asserì che l'occultamento dell'auto riguardava sì il caso Orlandi, ma che il braccio visto dal pescatore apparteneva ad un manichino come parte — secondo Accetti — della «sceneggiata» per depistare le indagini. L'attendibilità di Accetti riguardo a questa e ad altre testimonianze è stata più volte messa in discussione.[86]

La "pista di Bolzano"

Nel febbraio 1985, Josephine Hofer Spitaler, una donna residente a Bolzano, dichiarò ai Carabinieri che due anni prima, nell'agosto 1983, mentre si trovava a casa sua nella località di Terlano, vide arrivare una macchina guidata da un uomo da cui fu fatta scendere una ragazza molto simile ad Emanuela Orlandi. Secondo la Hofer, la ragazza avrebbe alloggiato in una casa adiacente alla sua per quattro giorni, per poi ripartire su un'altra macchina accompagnata da un uomo da lei identificato come Rudolf Von Teuffenbach, ufficiale del SISMI presso Monaco di Baviera, il quale era di sua conoscenza, nonché proprietario della casa in cui la ragazza avrebbe alloggiato. La Hofer dichiarò inoltre di aver avuto l'impressione che la ragazza non fosse proprio in sé (come se fosse stata drogata) e che sembrava che agisse contro la sua volontà. Tuttavia, von Teuffenbach smentì le dichiarazioni della Hofer asserendo che in quel periodo lui si trovava a Monaco di Baviera.[87]

Sempre nel 1985, un'altra donna dell'Alto Adige, Giovanna Blum, disse che nello stesso periodo menzionato dalla Hofer, l'agosto del 1983, avrebbe ricevuto nel cuore della notte una telefonata da parte di una ragazza che diceva di essere Emanuela Orlandi e di trovarsi a Bolzano, e che la implorò di chiamare la polizia. La Blum disse di aver chiamato la polizia, ma che subito dopo fu richiamata da un uomo che le intimava in tono minaccioso di dimenticare tutto.

Le dichiarazioni della Hofer e della Blum non furono riscontrate da prove sufficienti, nonché per diverse contraddizioni, e furono prese come delle segnalazioni prive di fondamento.

Le dichiarazioni del Cardinale Silvio Oddi

Negli anni 1990, il Cardinale Silvio Oddi dichiarò di aver visto Emanuela Orlandi rientrare in Vaticano la sera stessa del suo rapimento (escludendo quindi che la ragazza sarebbe stata rapita subito dopo essere uscita dalla scuola di musica) per poi vederla di nuovo uscire dalle mura leonine in macchina accompagnata da un monsignore. Oddi non fornì poi ulteriori chiarimenti.[88]

Il flauto e il presunto ruolo di Marco Accetti

Nell'aprile 2013 arrivò una segnalazione alla redazione del programma Chi l'ha visto? di cercare un oggetto nei magazzini cinematografici De Laurentiis a Roma. Qui il giornalista di Chi l'ha visto? Fiore Di Rienzo trovò un flauto traverso all'interno della relativa custodia, avvolto in un giornale del 29 maggio 1985 contenente un'intervista di Ercole Orlandi.[89] Fin da subito il flauto fu identificato come quello di Emanuela, che la ragazza aveva con sé al momento del rapimento. Anche se sul flauto non sono state trovare impronte o tracce di saliva della ragazza, la famiglia Orlandi si dice abbastanza sicura che si tratti effettivamente del flauto di Emanuela. La segnalazione era arrivata da Marco Fassoni Accetti, un uomo con precedenti penali, che si autoaccusò presso la Procura di Roma del rapimento della Orlandi. Accetti disse di aver partecipato lui stesso al rapimento della ragazza, sostenendo di aver effettuato lui le prime chiamate alla famiglia Orlandi (identificandosi come l'"Americano") e inoltre di aver avuto un ruolo anche nella scomparsa di Mirella Gregori, il cui rapimento — secondo lui — era legato a quello della Orlandi. Accetti dichiarò che il rapimento della Orlandi era parte di un complotto interno al Vaticano ai fini di un ricatto e che doveva inizialmente essere una cosa temporanea, ma che poi fu prolungata per via di complicazioni, tra le quali il grande clamore mediatico. Negli anni, la credibilità di Accetti è stata più volte messa in dubbio, motivo per cui fu ritenuto testimone non affidabile e accusato di essere un mitomane[senza fonte]. Secondo alcune perizie, Accetti soffrirebbe di un disturbo narcisistico e avrebbe cercato di inserirsi nei casi Orlandi-Gregori per ottenere fama e visibilità. La veridicità, tuttavia, di alcune sue affermazioni (Accetti dimostrò di essere a conoscenza del fatto che la tomba di Katy Skerl era vuota, cosa poi confermata nel luglio 2022), nonché il fatto di essere stato in possesso del flauto di Emanuela (posto che sia effettivamente quello vero), lasciano molta ambiguità sulla vicenda.[90]

Le tombe del Cimitero Teutonico in Vaticano

L'11 luglio 2019, il Vaticano dispose l'apertura di due tombe all'interno del Cimitero Teutonico dopo che la famiglia Orlandi aveva ricevuto diverse segnalazioni (alcune provenienti anche all'interno della Santa Sede) sul fatto che vi si potessero trovare i resti di Emanuela. Le due tombe in questione erano le tombe della principessa Sofia di Hohenlohe-Waldenburg-Bartenstein e della principessa Carlotta Federica di Meclemburgo-Schwerin, vissute nel XIX secolo.[91][92] Tuttavia, al loro interno non solo non sono stati rinvenuti resti di Orlandi, ma nemmeno quelli delle due principesse. Al di sotto delle due tombe è stata inoltre rinvenuta una camera vuota che, secondo il perito nominato dalla famiglia Orlandi, il professor Giorgio Portera, non sarebbe databile al XIX secolo, bensì costruita di recente. Successivamente, nell'adiacente edificio che ospita il Collegio Teutonico, è stata individuata una grande quantità di resti ossei, i quali, raccolti in ventisei sacchi, sono stati poi esaminati a vista dal perito nominato dall'ufficio del promotore di giustizia, professor Giovanni Arcudi, alla presenza del professor Giorgio Portera.[93] Terminata tale procedura, gli organi inquirenti del Vaticano hanno chiesto e ottenuto l'archiviazione del fascicolo penale da parte del giudice unico, il quale ha però concesso alla parte lesa la facoltà di esaminare privatamente i reperti per i quali Portera aveva a suo tempo sollevato dubbi di datazione.[94][95] Il decreto di archiviazione è stato comunque impugnato dal legale di fiducia della famiglia Orlandi.[96] Gli ulteriori accertamenti, effettuati in un secondo momento nei laboratori di Busto Arsizio e Lecce,[97][98] hanno infine escluso la presenza dei resti di Emanuela tra i reperti esaminati. L'avvocato Laura Sgrò ne ha informato la stampa nel maggio del 2021.[99]

Nell'ottobre 2018, il Vaticano aveva dato il via libera all'analisi del DNA su alcune ossa ritrovate durante dei lavori di restauro nella sede della Nunziatura Vaticana di Via Po a Roma. Le indagini, affidate dalla Santa Sede all'Italia, e in particolare alla procura di Roma e alla Polizia scientifica, erano finalizzate a comparare quelle ossa con il DNA di Emanuela Orlandi. Le ossa ritrovate nella Nunziatura non appartenevano tuttavia né a Emanuela Orlandi, né a Mirella Gregori, bensì ad un uomo vissuto prima del 1964, prima che le ragazze nascessero.[100]

L'apertura delle inchieste del 2023

La prima inchiesta del Vaticano

Il 9 gennaio 2023, per volere di papa Francesco, il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi e la gendarmeria aprono ufficialmente per la prima volta le indagini a distanza di quasi quarant'anni dalla scomparsa di Emanuela.[101] Con l'apertura dell'inchiesta, sono state rinnovate le richieste affinché vengano sentite per la prima volta alcune persone, ancora in vita, che potrebbero fornire un contributo importante alle indagini, tra cui la compagna di scuola di musica che si trovava con Emanuela il pomeriggio del rapimento, e il cardinale Giovanni Lajolo che, in quell'anno, ricopriva un importante ruolo diplomatico presso la Santa Sede.[102][103]

L'11 aprile Pietro Orlandi, accompagnato dall'avvocato Laura Sgrò, incontra per la prima volta in Vaticano il promotore di giustizia Alessandro Diddi, verbalizzando la sua testimonianza e presentando le relative informazioni da lui raccolte nel corso degli anni, nonché una lista di nomi da interrogare.[104]

La riapertura dell'inchiesta in Italia

A fine marzo 2023 viene istituita dal Parlamento italiano una commissione parlamentare bicamerale d'inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi e anche di Mirella Gregori.[105][106]

Il 15 maggio 2023 la Procura di Roma apre la terza inchiesta sul caso Orlandi, assicurando che l'indagine della magistratura italiana si svolgerà in collaborazione con la già avviata inchiesta vaticana di Diddi.[107]

Note

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    «Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell'afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l'angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso»
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Bibliografia

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