Lo scandalo italiano dei passaporti falsi, noto anche come Passaportopoli, fu uno scandalo che colpì il calcio italiano nel 2001 e riguardò la naturalizzazione illecita di alcuni calciatori extracomunitari. Si trattò del primo caso di falsificazione documentaria nel calcio europeo.[1]
Furono coinvolte società, dirigenti e calciatori di 7 squadre di Serie A (Inter, Juventus, Lazio, Milan, Roma, Udinese e Vicenza) e una di Serie B (Sampdoria).
I 15 giocatori coinvolti furono:
In base delle norme sportive in vigore all’apertura delle indagini, le squadre coinvolte rischiavano di essere sanzionate, anche con corpose penalizzazioni in classifica. L'art. 40, comma 7 delle N.O.I.F. prevedeva infatti che nelle gare ufficiali le squadre potessero utilizzare in ambito nazionale solamente 3 dei calciatori extracomunitari. La violazione di questo comma poteva configurare un illecito sportivo, il quale poteva essere punito con un ventaglio di sanzioni – sulla base di alcuni indici: gravità, reiterazione nel tempo delle violazioni, etc. – tra le quali rilevanti penalizzazioni in classifica e persino la retrocessione a tavolino.
La sentenza di primo grado, emessa dalla Commissione disciplinare della Lega Calcio il 27 giugno 2001, è stata la seguente:[2]
La Commissione di Appello Federale, dopo le riunioni del 17 e 18 luglio 2001, ha confermato le decisioni prese in primo grado relativamente a Inter,[13] Milan,[14] e Sampdoria.[15][16]
Sono state confermate anche le decisioni riguardanti Lazio, Roma, Udinese e L.R. Vicenza con le seguenti eccezioni:[16]
All'indomani delle sentenza di primo grado, la firma del Corriere della Sera Giorgio Tosatti criticò le condanne, definendole «incoerenti e sproporzionate», a fronte della cancellazione, avvenuta il 4 maggio, della norma federale che imponeva alle società italiane il limite di tre calciatori extracomunitari impiegabili[23] (una decisione molto discussa, e che si rivelò decisiva, col senno di poi, per l'esito del campionato 2000-2001):[24][25]
«Mi preme sottolineare l'incoerenza di comportamenti sulla vicenda degli extracomunitari. La Corte federale abolisce la norma che ne limita l'impiego considerandola illegittima e consente di utilizzarli a campionato in corso, incidendo sul suo esito. La Lega, appellandosi alla Turco-Napolitano, fa saltare anche il tetto dei cinque tesserabili: se ne possono ingaggiare a mucchi. No al contingentamento del Coni, via libera ai club. […] In compenso la giustizia (si fa per dire) sportiva distribuisce squalifiche e multe per la violazione di quella norma cancellata. Si può essere più incoerenti?» |
(Giorgio Tosatti, "Sentenze incoerenti e sproporzionate", Corriere della Sera, 28 giugno 2001) |
A posteriori, la cancellazione della suddetta norma (la quale era stata definita illegittima da precedenti sentenze della giustizia ordinaria) è stata ritenuta la ragione per cui non furono comminate penalizzazioni di punti in classifica ai club condannati.[26][27]
Nell'ambito della giustizia ordinaria, il Gip del Tribunale di Udine accolse, nel maggio 2006, la richiesta di patteggiamento dell'attaccante uruguayano dell'Inter, Álvaro Recoba, e di Gabriele Oriali, responsabile dell'area tecnica della società nerazzurra, infliggendo la pena di sei mesi di reclusione ciascuno (sostituita con una multa di 21.420 euro) per i reati di concorso in falso e ricettazione.[28] Nel luglio del 2011 in un'intervista rilasciata a la Repubblica, Franco Baldini, direttore sportivo della Roma dal 1999 al 2005, si espresse a favore di Oriali rispetto alle responsabilità imputategli dichiarando che era stato lui a consigliare all'ex mediano nerazzurro di rivolgersi a una delle persone successivamente coinvolte nello scandalo.[29] Dopo le parole di Baldini, in un primo momento Oriali non ha escluso la possibilità di chiedere la revisione del processo, salvo poi rinunciare a tale intendimento.[30]
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