«Ho pagato con la mia coscienza una scelta sbagliata. E quando ho cercato di porre rimedio, scegliendo la collaborazione con lo Stato ho dovuto subìre la più vigliacca delle vendette, perdendo un figlio bambino» |
(Santino Di Matteo[1]) |
Mario Santo Di Matteo, detto Mezzanasca (Altofonte, 7 dicembre 1954), è un ex mafioso e collaboratore di giustizia italiano.
Appartenente alla famiglia di Altofonte, vicina ai Corleonesi, fu uno dei primi affiliati ad abbandonare il clan controllato da Totò Riina.[2] Fu arrestato il 4 giugno del 1993, incarcerato a Rebibbia e poi trasferito all'Asinara. Accusato di 10 omicidi mafiosi decise di collaborare con la giustizia e il 23 novembre dello stesso anno suo figlio Giuseppe venne rapito per le rivelazioni del padre sulla strage di Capaci[3][4] e sull'uccisione dell'esattore Ignazio Salvo. Nell'ottobre del 1995 Santino sparisce per 36 ore dalla sua località segreta e prova a cercare personalmente suo figlio, senza trovarlo. Il ragazzo fu poi strangolato e disciolto nell'acido l'11 gennaio 1996 dopo 779 giorni di sequestro.[2] Fu testimone al processo incentrato sui mandanti della strage di Capaci, di cui fu uno degli artefici anche se non partecipò attivamente all'esecuzione dell'attentato,[1] dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Inizialmente condannato a 20 anni di carcere, venne liberato nel marzo del 2002 e si trasferì nel paese natale di Altofonte.[5]
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