Parenti serpenti

Parenti serpenti
Parenti serpenti.jpg
Foto di gruppo della famiglia protagonista del film
Lingua originaleitaliano
Paese di produzioneItalia
Anno1992
Durata105 min
Rapporto1,66:1
Generecommedia, drammatico, grottesco
RegiaMario Monicelli
SoggettoCarmine Amoroso (omonima pièce teatrale)
SceneggiaturaCarmine Amoroso con la partecipazione di Suso Cecchi d'Amico, Piero De Bernardi, Mario Monicelli
ProduttoreGiovanni Di Clemente
Casa di produzioneClemi Cinematografica
Distribuzione in italianoCDI
FotografiaFranco Di Giacomo
MontaggioRuggero Mastroianni
Effetti specialiPaolo Ricci
MusicheAdelio Cogliati
ScenografiaFranco Velchi
CostumiLina Nerli Taviani
Interpreti e personaggi

Parenti serpenti è un film del 1992 diretto da Mario Monicelli.

Trama

Si stanno per festeggiare le festività natalizie. A Sulmona quattro figli, insieme alle rispettive famiglie, si riuniscono nella casa degli anziani genitori: Saverio, vicebrigadiere dei carabinieri in congedo ora affetto da una lieve forma di demenza senile, e Trieste, ancora energica ed arzilla. La famiglia è composta dai seguenti nuclei: Lina, perenne nevrotica che lavora nella biblioteca comunale di Teramo, e il marito Michele, geometra per lo stesso comune, appassionato cacciatore, tifoso del Pescara e iscritto alla Democrazia Cristiana e il figlio Mauro; Milena, casalinga appassionata di quiz televisivi, depressa a causa della sua sterilità, e il marito Filippo, maresciallo maggiore dell'Aeronautica a Roma; Alessandro, impiegato delle Poste a Modena, dalle idee naturaliste e comuniste (nonostante abbia trovato lavoro grazie al cognato democristiano), con la moglie Gina, snob e mal sopportata dalle cognate (ragionevolmente convinte che tradisca il fratello con diversi amanti da cui ottiene regali costosi), e la figlia Monica, ragazzina in sovrappeso e non particolarmente brillante, la cui massima ambizione è quella di diventare una ballerina di Fantastico; infine Alfredo, professore d'italiano in un istituto femminile privato di Como, celibe e senza figli.

Tutto sembra scorrere tranquillamente nel rispetto dell'ordinaria routine festiva – composta da cenone della vigilia, processione, tombolata, messa di mezzanotte e scambio dei regali – finché, durante il pranzo di Natale, Trieste decide di fare un annuncio che cade sulla tavolata come un fulmine a ciel sereno: i due anziani coniugi non se la sentono più di continuare ad abitare da soli ma, rifiutando nettamente l'idea di andare a vivere in un ospizio (dopo averne visitato uno), decidono che saranno i loro figli a dover scegliere chi, tra loro quattro, ricevendo in cambio una parte della loro pensione e l'abitazione dei due in eredità, si assumerà l'onere di accoglierli in casa propria.

Sulmona, Porta Napoli, inquadrata all'inizio del film

Spaventati dall'idea di rinunciare ai propri spazi e alla propria quotidianità, figli e consorti iniziano a riunirsi all'insaputa dei genitori tentando di scaricarsi la responsabilità a vicenda; i violenti alterchi che ne derivano smascherano tutta l'ipocrisia, i segreti, i rancori, le gelosie e la grezza materialità del parentado che litiga ferocemente per l'appartamento e per ciò che contiene (vecchi mobili, quadri, suppellettili ed elettrodomestici di modesto valore). Vengono a galla anche gli scheletri nell'armadio, ad esempio l'omosessualità di Alfredo, nascosta ai genitori, il quale rivela a fratelli e cognati di convivere da oltre dieci anni insieme al suo compagno Mario, nonché la tresca extraconiugale tra Michele e Gina. La vicenda si conclude con la raggelante decisione unanime di uccidere i due anziani, simulando un incidente domestico nella notte di capodanno, tramite una stufa a gas difettosa da loro regalatagli.

L'intero racconto è narrato dalla prospettiva di Mauro, figlio di Lina e Michele, il quale per tutta la vicenda è stato quasi sempre ignorato dai suoi superficiali e poco affettuosi genitori; al ritorno a scuola, infatti, legge in classe il tema sulle vacanze natalizie appena trascorse che gli era stato assegnato e racconta di come siano morti i nonni, smascherando involontariamente i colpevoli, ovvero i suoi genitori e i suoi zii, e il succedersi degli eventi di quei giorni.

Produzione

Il film è stato quasi interamente girato nella cittadina di Sulmona, in provincia dell'Aquila (Abruzzo), città preferita dal regista rispetto alla vicina Lanciano, proposta dallo sceneggiatore Carmine Amoroso, per un'esperienza lì vissuta; la sceneggiatura riporta comunque molti riferimenti alla città di Lanciano, come la Squilla, festività tipica della cittadina frentana, che ricorre il 23 dicembre (mentre nel film la processione è posticipata alla sera della vigilia di Natale), o i bocconotti, dolce tipico della vicina Castel Frentano. Hanno origine lancianese anche i cognomi di alcuni dei personaggi del paese elencati nella scena della messa di mezzanotte (Colacioppo, Mazzoccone ecc.). Ad ogni modo, nel film l'ambientazione non è mai esplicitata.

All'inizio l'idea nella sceneggiatura del mezzo per uccidere i due anziani era quella del vino al metanolo, frode che qualche anno prima, verso la metà degli anni ottanta, aveva scosso fortemente l'opinione pubblica italiana[1].

Il ruolo di Haber era stato scritto per Giorgio Gaber, che già aveva collaborato con Monicelli in Rossini! Rossini!, ma questi rifiutò in quanto non interessato.[1] Paola Pelino, imprenditrice e poi parlamentare di Forza Italia e in seguito del PdL, ha una piccola parte nel film (la moglie dell'avvocato Colacioppo).

Francesco Anniballi, che interpreta la piccola parte di un operaio stradale presente nella scena iniziale del film, era un attore caratterista che aveva preso parte a svariate pellicole, sempre con piccoli ruoli; due mesi prima dell'uscita del film, il 28 gennaio 1992, fu ucciso a Roma da un ignoto con un colpo di pistola alla schiena e il delitto è rimasto insoluto.

Distribuzione

Il film, la cui uscita era inizialmente prevista per il Natale 1991, venne invece distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 26 marzo 1992.

Critica

«Al centro di Parenti serpenti (1992) c'è una tavola da pranzo, (...) una famigliaccia piccolo-borghese: tutti pronti alle più ridanciane espansioni sentimentali, come alle lacrime, alle proteste più teatrali come alle aggressività convulse e insieme melense. Una famigliaccia, quanto mai solidale negli egoismi, nei gusti vittimistici, infelicissima e malata, bombardata dal crepitio dei rotocalchi e della televisione, ma non per questo da assolvere. Anzi, e qui si fa avanti l'istinto ispido di Monicelli, una famigliaccia da non assolvere per niente, da far esplodere alla lettera. (...) E il film è raccontato dal basso: è un ragazzino appena pubere che guarda gli adulti, (...) ma nella cui falsamente ingenua oggettività c'è il nerbo della rivolta e (...) anche quello della pietà.»

(Enzo Siciliano, L'Espresso, 10 maggio 1992.)

Riconoscimenti

Note

Collegamenti esterni

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