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Evoluzione dei casi attivi, delle guarigioni e dei decessi riconducibili al virus a livello mondiale.
Questa voce tratta la diffusione a livello mondiale della COVID-19, il cui primo caso è stato individuato il 17 novembre 2019 a Wuhan, nella provincia cinese dell'Hubei. Il 12 gennaio 2020 l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha confermato che un nuovo coronavirus era la causa dell'infezione polmonare che aveva colpito diversi abitanti della sopracitata città. Tale caso era stato portato all'attenzione dell'OMS il 31 dicembre 2019.[1][2]
Al 1º febbraio 2021 il numero di casi della pandemia di COVID-19 del 2019-2021 confermati in tutto il mondo era 103 583 192, con il coinvolgimento di 231 tra Stati sovrani e territori, incluse 26 navi da crociera.[3] Del totale dei casi riscontrati, 26 134 039 erano ancora attivi, 2 239 044 avevano portato alla morte del paziente, mentre i guariti ammontavano a 75 205 611 (il 97% dei casi chiusi).[4]
^Stato, territorio o mezzo di trasporto internazionale in cui è stato diagnosticato il caso. La nazionalità e la posizione dell'infezione originale possono variare.
^Il caso riportato nella base navale della baia di Guantanamo non è incluso nei conteggi di alcuna nazione o territorio. Dall'aprile 2020, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha ordinato a tutte le basi, compresa la baia di Guantanamo, di non riportare più le statistiche sui casi.
^I casi della l'USS Theodore Roosevelt, attaccata a Guam, vengono riportati separatamente dai dati nazionali ma inclusi nei totali della Marina.
^Dal 6 giugno, il governo brasiliano ha ordinato al Ministero della Salute di interrompere la comunicazione del numero totale di decessi e casi attivi. Successivamente, il Consiglio nazionale dei segretari sanitari ha assunto la funzione di riportare il numero totale di decessi e casi attivi.
^Esclusi i casi confermati sul territorio dichiarato delle Isole Falkland. Anche se dall'11 aprile, il Ministero della Salute argentino li include nei loro rapporti ufficiali.
^I decessi includono solo casi con test PCR positivi e catalogati come "Decesso correlato a COVID-19" dal Registro Civile e dal Servizio di identificazione. Questo numero è pubblicato sui rapporti giornalieri del Ministero della Salute. Il 20 giugno 2020, il Ministero ha comunicato che il numero totale di decessi era di 7.144, inclusi casi sospetti senza test PCR. Tuttavia, questo numero non verrà rilasciato quotidianamente ma solo settimanalmente
^Il 2 giugno 2020, il governo cileno ha deciso di non pubblicare il numero dei pazienti guariti.
^Il numero dei decessi comprende anche casi non testati e casi in case di riposo che presumibilmente sono morti a causa del COVID-19, mentre la maggior parte dei paesi include solo decessi di casi testati negli ospedali
^La nave da crociera è, al 25 febbraio 2020, messa in quarantena nelle acque giapponesi e gestita dal governo giapponese. Tuttavia, l'OMS classifica i casi a bordo come ubicati "su un trasporto internazionale" anziché in Giappone. Questi casi non sono inclusi nel conteggio ufficiale del governo giapponese.
^I casi vengono conteggiati nel totale degli Stati Uniti
^La nave da crociera è, al 28 marzo 2020, messa in quarantena nelle acque panamensi e gestita dal governo panamense. Tuttavia, l'OMS classifica i casi a bordo come ubicati "su un trasporto internazionale" anziché a Panama. Questi casi non sono inclusi nel conteggio ufficiale del governo panamense.
^Dal 29 aprile 2020 la Tanzania ha deciso momentaneamente di non pubblicare più aggiornamenti riguardanti l'andamento della pandemia nel Paese. Gli ultimi dati disponibili risalgono al 29 aprile con 509 casi, 21 decessi e 183 guariti.
La diffusione dei casi di COVID-19 in Sudafrica al 16 ottobre
I primi contagi nel continente africano si sono registrati nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, essendo essi quelli che hanno un maggior numero di contatto con i paesi europei, tra cui l'Italia, in cui il COVID-19 si è diffuso poco dopo la sua comparsa in Cina. Così, il primo caso è stato registrato nel continente il 14 febbraio, in Egitto, portato da una persona non africana mentre nell'Africa subsahariana il primo contagio è stato confermato il 28 febbraio, in Nigeria, e anche in questo caso non si trattava di una persona africana o comunque residente in Africa, bensì di un italiano partito dall'Italia e atterrato all'aeroporto internazionale di Lagos il 25 febbraio.[313] Dopo questi primi casi, il virus si è via via sparso in tutti gli Stati del continente africano, e, stando a quanto riportando dal quotidiano The New York Times, la maggior parte dei casi risultati positivi all'inizio della pandemia nei vari paesi era costituita da persone arrivate o rientrate dall'Europa e dagli Stati Uniti d'America piuttosto che dalla Cina.[314]
Verso la metà e la fine di marzo sono stati registrati i primi casi nell'Africa più interna, dove comunque i contagi si sono mantenuti bassi almeno fino alla metà di aprile, sia perché si tratta di nazioni in cui le infrastrutture stradali non sono molte e quindi la trasmissione del virus è anche ostacolata da motivi logistici, sia perché molte nazioni, consce di quanto stava accadendo attorno a loro avevano messo in atto misure preventive ancora prima che il primo caso di COVID-19 fosse registrato nei loro confini. A metà aprile, con più di 20 000 casi confermati e di 1 000 morti nel continente, gli unici due paesi non toccati dalla pandemia risultavano essere il Lesotho e le Comore, mentre i più colpiti erano, come detto, gli stati che affacciano sul Mediterraneo, primo fra tutti l'Egitto, e il Sudafrica.
La maggior parte degli addetti sanitari ha dichiarato molta preoccupazione per una possibile diffusione del COVID-19 in Africa, poiché i sistemi sanitari di molti paesi del continente sarebbero del tutto inadeguati a rispondere a una simile pandemia, dato che già in condizioni non di emergenza soffrono di carenza di equipaggiamenti (per fare un esempio, in Sudan del Sud sono disponibili solo 4 ventilatori polmonari per una popolazione di 11 milioni di abitanti), di mancanza di fondi, di personale sanitario non sufficientemente addestrato e di strumenti inadatti a tracciare la diffusione del virus (ad esempio a São Tomé e Príncipe mancano laboratori di analisi e i tamponi usati vanno mandati in Gabon perché possano essere analizzati). Quello che si teme è che, se non tenuta sotto controllo sin da subito e dai pochi primi casi, l'epidemia potrebbe dilagare in Africa, causando danni economici, politici e naturalmente sanitari, incalcolabili.[314][315][316][317] Anche per questo l'OMS ha aiutato diversi paesi africani ad approntare laboratori dove realizzare test per la COVID-19.[315]
Antartide
L'Antartide è stato a lungo l'unico continente a non essere stato raggiunto dalla pandemia di COVID-19.[318][319][320] La British Antarctic Survey ha adottato misure precauzionali:[321] le persone che giungono alle stazioni di ricerca in Antartide devono sottoporsi all'isolamento e allo screening per COVID-19.[318] Le basi in Antartide al momento contengono solo squadre di personale al minimo indispensabile per il funzionamento, i visitatori sono stati limitati e la ricerca scientifica ha subito una forte riduzione.[322] Tuttavia nel dicembre 2020 per la prima volta sono stati rilevati casi di contagio nel continente australe, in particolare nella base generale Bernardo O'Higgins, stazione di ricerca cilena.[323]
Il 12 gennaio 2020, l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha confermato che un nuovo coronavirus era la causa di una nuova infezione polmonare che aveva colpito diversi abitanti della città di Wuhan, nella provincia cinese dell'Hubei, il cui caso era stato portato all'attenzione dell'OMS il 31 dicembre 2019.[1][2]
In seguito il governo cinese ha rivelato che il primo paziente confermato ha mostrato i primi sintomi il 1º dicembre 2019,[324] anche se in seguito il South China Morning Post ha riferito che il primo paziente potrebbe essere un uomo di 55 anni dalla provincia dello Hubei che ha mostrato i primi sintomi già dal 17 novembre.[325][326][327] Da Wuhan poi, complice anche l'imminente Capodanno cinese, il virus si è diffuso nell'intera provincia dell'Hubei e poi in quelle limitrofe, tanto che, all'inizio del 2020 la Cina aveva già rilevato 266 casi.
Il primo caso in un paese asiatico al di fuori della Cina è stato confermato nel sud-est asiatico, in Thailandia, il 13 gennaio 2020, quando il governo del paese ha annunciato il suo primo caso sul suo territorio di COVID-19: una donna cinese di 66 anni residente a Wuhan e arrivata in Thailandia l'8 gennaio all'aeroporto di Bangkok-Suvarnabhumi, dove le era stata misurata la temperatura.[328] Il primo caso nel subcontinente indiano e in tutta l'Asia meridionale è invece stato riscontrato in Nepal, il 24 gennaio: uno studente nepalese che studiava all'Università di Wuhan e che era tornato in patria pochi giorni prima.[329]
Se i contagi nell'Asia orientale sono stati diffusi quasi sempre da cittadini cinesi, è il caso ad esempio anche del primo caso giapponese, la diffusione in Medio Oriente è stata dovuta sia a nazioni europee, è il caso della Giordania, il cui primo contagio era un cittadino giordano da poco rientrato dall'Italia,[330] sia, soprattutto, all'Iran, dove il COVID-19 è stato confermato già il 19 febbraio e che, a metà aprile, risultava il paese con più casi confermati (oltre 80 000) della regione assieme alla Turchia. Dall'Iran, infatti, il contagio si è sparso in Armenia,[331] in Azerbaigian,[332] in Georgia[333] e in molti altri paesi asiatici.
Il 7 aprile la Cina ha dichiarato che per la prima volta non era stato registrato nessun nuovo caso e, alla mezzanotte dello stesso giorno, il governo ha tolto Wuhan dal regime di isolamento che durava dal 23 gennaio. Nel corso del mese anche le curve dei contagi di paesi come la Corea del Sud e Singapore si sono appiattite, ma, stando a quanto affermato Takeshi Kasai, direttore regionale dell'Organizzazione mondiale della sanità per il Pacifico occidentale, l'epidemia poteva comunque dirsi tutt'altro che finita dato che ancora a metà aprile continuavano a comparire nuovi focolai nella regione.[334] Molte sono infatti le realtà asiatiche che mettono in agitazione la comunità internazionale. Da un lato ci sono infatti paesi come l'India, che ha una popolazione di oltre un miliardo e 400 milioni di persone, dove, pur essendoci una relativa stabilità politica, oltre un quarto della popolazione vive in condizioni di miseria assoluta e la maggior parte delle infrastrutture è ritenuta inadeguata ad affrontare una simile catastrofe sanitaria.[335] Dall'altro ci sono invece realtà come la Siria e lo Yemen, prive di qualuque tipo di stabilità. In entrambe le nazioni infuriano guerre civili, in Siria dal 2011 e in Yemen dal 2015, guerre che hanno portato a carestie, a epidemie, come quella di colera che imperversa in Yemen dal 2016, e alla quasi totale distruzione di tutte le infrastrutture sanitarie. Secondo l'opinione di esperti sanitari e politici, la diffusione in questi paesi dell'epidemia si tradurrebbe in una immane catastrofe.[336][337]
A metà aprile, con più di 330 000 casi confermati e di 10 000 morti nel continente, le uniche nazioni asiatiche dove non era stato confermato alcun caso di COVID-19 erano Corea del Nord, Tagikistan e Turkmenistan, anche se molti dubbi sono stati sollevati in merito alla comunicazione dei casi da parte di questi Stati.[338]
Casi iniziali in Europa sono stati segnalati in Francia, Germania e altri paesi con un numero relativamente basso di casi.
Il 23 gennaio, due turisti cinesi a Roma si sono rivelati positivi al virus. I due erano arrivati a Milano tramite l'aeroporto di Milano-Malpensa e si erano recati a Roma con un autobus turistico.
Il 31 gennaio è stato registrato il primo caso in Spagna: un turista tedesco in villeggiatura a La Gomera, nelle Canarie.Il 9 febbraio il secondo caso è stato riportato in un uomo britannico in visita a Palma di Maiorca.
Il 21 febbraio è stato segnalato un importante focolaio in Italia. Il governo italiano ha risposto, tra l'altro, con misure di quarantena per le oltre 50 000 persone residenti negli undici comuni del Nord Italia più colpiti.[339][340]
In Spagna, il 24 febbraio un medico italiano dalla Lombardia, in vacanza a Tenerife, è risultato positivo all'Hospital Universitario Nuestra Señora de Candelaria.[341] Il 25 febbraio quattro nuovi casi relativi al focolaio italiano sono stati confermati in Spagna. La moglie del medico lombardo, che era in vacanza a Tenerife, è risultata anch'essa positiva. Anche un'altra donna italiana di 36 anni residente in Spagna, la quale ha soggiornato a Bergamo e Milano dal 12 al 22 febbraio, è risultata positiva a Barcellona. Un uomo spagnolo di Vila-real, che di recente era stato a Milano, è risultato positivo ed è stato ricoverato all'Ospedale Universitario De La Plana. Un uomo di 24 anni, recentemente tornato dal Nord Italia, è risultato positivo ed è stato ricoverato all'Ospedale Carlos III di Madrid. Il 26 febbraio anche altri due turisti italiani, che erano in vacanza insieme al medico italiano e sua moglie, sono risultati positivi. Il gruppo è stato trasferito all'Hospital Universitario Nuestra Señora de Candelaria e sottoposto a quarantena. A Barcellona, un uomo di 22 anni, di ritorno da una visita in Italia di pochi giorni prima, è risultato positivo. Viene riportato anche un secondo caso a Madrid. A Siviglia si conferma il primo caso in Andalusia e il 12° nel paese, un uomo di 62 anni.
In Italia, al 26 febbraio, ci sono stati 455 casi confermati di coronavirus e 12 decessi,[342] che ha il secondo numero più alto di infezioni per paese nel mondo, dopo la Cina. Da allora l'epidemia si è velocemente diffusa e al 1º marzo, erano 1 694 i casi confermati (tra cui 34 casi mortali) in Italia, la maggior parte in Lombardia.[343] Al 5 marzo i dati parlano di 3858 contagiati, di cui 148 morti e 440 guariti.
All'11 marzo 2020 (ore 17:00), l'Italia divenne il secondo Paese al mondo per numero di infezioni, dopo la Cina con un numero 15113 casi e 1016 vittime; lo stesso giorno è stato emanato il "decreto #IoRestoACasa", che ha esteso la quarantena a tutti i cittadini italiani, con conseguente chiusura di tutte le attività commerciali non indispensabili.
Il primo caso di COVID-19 nel Nordamerica è stato confermato il 20 gennaio 2020, quando la malattia è stata riscontrata in un trentacinquenne cinese che il 15 gennaio era tornato nello Stato di Washington dopo essere stato a visitare la sua famiglia a Wuhan e che il 19 gennaio aveva fatto richiesta di assistenza medica. Dopo gli USA il secondo paese dell'America settentrionale e confermare un caso di COVID-19 è stato il Canada, dove un uomo tornato a Toronto da Wuhan è stato trovato positivo al virus il 25 gennaio. Da allora il virus si è via via diffuso e al 25 marzo tutti i paesi dell'America del Nord, inclusi quelli dell'America centrale e dei Caraibi avevano confermato almeno un caso di COVID-19.
A partire dagli ultimi giorni di marzo gli Stati Uniti d'America sono risultati il paese più colpito al mondo,[347] tanto che il 25 aprile il numero di casi confermati avevano superato le 900 000 unità, ossia circa il 33% del totale mondiale, e le morti erano state più di 50 000.
Per quanto riguarda il Sudamerica, il primo caso della malattia è stato confermato nella regione il 25 febbraio, quando il Brasile ha annunciato di aver trovato positivo alla COVID-19 un sessantunenne brasiliano di San Paolo rientrato il giorno prima dalla Lombardia.[348] Il secondo paese dopo il Brasile è stato l'Argentina, dove il primo casi di COVID-19 è stato registrato il 3 marzo, e, quando il 3 aprile è stato confermato un caso anche nelle isole Falkland, tutti gli Stati e i territori dell'America meridionale avevano registrato almeno un caso della malattia nei loro confini.[349] Un così tardivo scoppio dell'epidemia nel continente sudamericano rispetto a quando accaduto nel Nordamerica è, secondo molti, frutto del fatto che i paesi sudamericani sono riusciti a prepararsi all'arrivo del virus quando questo ha cominciato a diffondersi nell'America del Nord e prima ancora di avere registrato casi nel proprio territorio. Così, ad esempio, il Brasile ha portato il livello di allerta da 2 a 3, considerando il COVID-19 un "pericolo imminente" per il paese, già il 28 gennaio, ossia quasi un mese prima della prima conferma in territorio brasiliano.[350]
Sono diversi gli aspetti che suscitano preoccupazione negli esperti sanitari per la sempre maggior diffusione nelle Americhe della COVID-19. Per quanto riguarda gli Stati Uniti d'America, dove New York risulta essere la città più colpita di tutto il mondo, il problema maggiore è costituito da coloro i quali non sono coperti da assicurazione medica, essendo quello degli USA un sistema assicurativo privatistico, infatti, molti temevano già a inizio marzo che il proliferare del virus nelle classi meno abbienti avrebbe portato a un'ecatombe.[351] Per quanto invece riguarda il Sudamerica, in cui, come detto, la tempestività nel mettere in atto le prime misure di sicurezza sembra aver avuto un certo effetto nel contenere i contagi, suscitano molta preoccupazione la situazione dei luoghi periferici delle grandi metropoli brasiliane, le cosiddette favelas, dove la popolazione vive in condizioni igieniche carenti e dove è quasi impossibile mantenere il distanziamento sociale,[352] e anche la situazione dei popoli indigeni dell'Amazzonia, dove il virus è arrivato all'inizio di aprile, che potrebbero essere sterminati da una simile epidemia.[353]
Oltre a questi casi particolari, esistono poi nell'America meridionale intere nazioni già in crisi da tempo, come il Venezuela, l'Ecuador e la Bolivia, paesi in cui il sistema sanitario è da molti ritenuto insufficiente a fronteggiare un'epidemia come quella che si è scatenata in Europa e nell'America del Nord.[354] In particolare, in Venezuela, nel contesto della fame e dell'inadeguatezza del sistema sanitario pubblico, sono stati segnalati tentativi di repressione, censura e violazione dei diritti umani da parte del governo socialista di Maduro.[355][356][357]
La diffusione dei casi confermati di COVID-19 in Oceania (al 26 settembre)
Il primo caso della COVID-19 nel continente oceaniano è stato riscontrato in Australia il 25 gennaio 2020; in particolare si trattava di un cittadino cinese arrivato a Melbourne da Guangzhou il 19 gennaio, e più tardi lo stesso giorno furono confermati altri tre casi a Sydney, dove tre cittadini cinesi provenienti da Wuhan furono esaminati all'aeroporto e trovati positivi alla malattia. Dopo l'Australia, il secondo paese raggiunto dal COVID-19 è stata la Nuova Zelanda, che ha confermato il primo caso dell'epidemia sul proprio territiorio il poco più di un mese dopo, il 28 febbraio.[358]
Da allora il contagio si è via via diffuso e, a metà aprile, i paesi oceaniani coinvolti erano in tutto 6 su un totale di 16, con il numero totale di casi confermati che aveva superato le 8 000 unità e le morti che avevano superato di poco la soglia delle 80 unità, la maggior parte dei quali riscontrato in Australia.
In tutti gli Stati, che prendono decisioni autonomamente l'uno dall'altro, sono state attuate misure di prevenzione per limitare il più possibile la diffusione dei contagi. Tali misure sono state all'inizio solamente il controllo degli arrivi nel paese da altre nazioni ma presto, nella maggior parte dei casi, tutti i viaggi da e per l'estero che non riguardassero beni di prima necessità sono stati interrotti. Uno dei problemi che si riscontra in Oceania è proprio il fatto che molti degli arcipelaghi insulari sono dipendenti da altre nazioni, prime fra tutti l'Australia e la Nuova Zelanda, anche per beni di prima necessità e che quindi i viaggi tra i paesi non possono essere del tutto interrotti. Se, quindi, il relativo isolamento geografico di questi piccoli Stati li preserva in parte dal contagio, tale isolamento pone però dei problemi di sopravvivenza economica dovuti alla significativa diminuzione di rifornimenti fondamentali, quali ad esempio quelli sanitari.[359]
A metà aprile, anche gli Stati in cui il COVID-19 non era stato ancora rilevato avevano attuato misure di prevenzione, dichiarando quasi tutti lo stato di emergenza, diminuendo il numero di voli provenienti dalla terraferma e di navi da crociera o da pesca straniere nelle proprie acque e arrivando, nel caso di Vanuatu e di Samoa (che sta riprendendosi da un recente focolaio di morbillo che ha colpito il 3% della popolazione[360]), alla chiusura totale delle attività.[361][362]
Stando alle dichiarazioni degli economisti esperti della regione, la maggior minaccia derivante dal COVID-19 per gli arcipelaghi del Pacifico è più economica che sanitaria: molti di questi arcipelaghi infatti vedono nel turismo la loro più grande fonte di introiti e il turismo è proprio uno dei settori economici maggiormente messi in crisi dalla pandemia.[363][364]
L'epidemia di coronavirus ha avuto anche una diffusione extra-territoriale. Diverse navi da crociera hanno registrato casi di SARS-CoV-2, dando origine a diversi focolai. Il caso più noto è quello della nave da crociera Diamond Princess, nelle coste giapponesi, che ha registrato 712 casi.[365]
Nazioni senza alcun caso confermato
All'11 gennaio 2021, 7 nazioni non hanno alcun caso confermato di COVID-19.
Nonostante il regime nordcoreano dichiari che il Paese non ha ancora mai presentato casi di contagio, alcuni media sudcoreani specializzati in affari nordcoreani affermano che ciò non è veritiero. La testata giornalistica sudcoreana NK ha dichiarato che, tra gennaio e febbraio, i contagiati deceduti sarebbero stati circa 180 soldati e 3 700 sarebbero stati messi in quarantena. L'agenzia ufficiale sudcoreanaYonhap aggiunge che sarebbero quasi 10 mila i nordcoreani messi in isolamento, ma che 4 mila sarebbero stati lasciati liberi di circolare perché non presentavano sintomi. Nonostante i dubbi sollevati dalle testate giornalistiche sudcoreane, il 9 marzo 2020 il regime nordcoreano, tramite il quotidiano controllato Rodong Sinmun, ha dichiarato che l'infezione non era ancora presente nel Paese.[366]
Il 23 aprile 2020, il Daily NK ha riferito che un nordcoreano disertore a cui hanno sparato mentre tentava di attraversare il fiume Tumen, che segna il confine tra Corea del Nord e Cina, è risultato positivo al virus.[367]
Turkmenistan
Anche il Turkmenistan, ufficialmente repubblica presidenziale, de factodittatura personale, dichiara che la pandemia non ha ancora raggiunto il suo territorio, tuttavia la trasparenza nel comunicare le informazioni è ambigua. Non esiste una stima del vero numero di infetti nel paese.[368]