Omicidio di Yara Gambirasio omicidio | |
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Tipo | pestaggio, accoltellamento |
Data | 26 novembre 2010 19:00 circa |
Stato | Italia |
Provincia | Bergamo |
Obiettivo | Yara Gambirasio |
Responsabili | Massimo Giuseppe Bossetti |
Conseguenze | |
Morti | 1 |
L'omicidio di Yara Gambirasio è un caso di cronaca nera che ha visto vittima Yara Gambirasio di 13 anni, scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata assassinata il 26 febbraio 2011[1].
Il caso ha assunto una grande rilevanza mediatica, oltre che per la giovane età della vittima, anche per l'efferatezza del crimine e per diversi avvenimenti peculiari verificatisi nel corso delle indagini, come l'arresto e il successivo proscioglimento di un primo sospettato, le circostanze del ritrovamento del corpo e le complesse modalità di individuazione dell'omicida. Il relativo procedimento giudiziario si è concluso il 12 ottobre 2018 con la definitiva condanna all'ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti, riconosciuto come unico colpevole [2][3][4].
Venerdì 26 novembre 2010 Yara Gambirasio, 13 anni (21 maggio 1997), residente a Brembate di Sopra, attorno alle ore 17:30 si reca presso il centro sportivo del suo paese, dove è solita allenarsi nella ginnastica ritmica. Lì rimane, secondo varie testimonianze, almeno fino alle ore 18:40 circa, dopodiché se ne perdono le tracce. Le telecamere di sorveglianza del centro sportivo sono tutte fuori uso e non risultano utili nel ricostruire i movimenti della ragazza. Alle 18:44 il suo telefono cellulare aggancia la cella di Ponte San Pietro in via Adamello, alle 18:49 la cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate di Sopra, e alle 18:55 la cella di Brembate di Sopra in via Ruggeri[nota 1]. In seguito il segnale scompare.
Il 5 dicembre 2010, a bordo di una nave diretta a Tangeri, viene fermato Mohammed Fikri, ventiduenne operaio marocchino del cantiere edile di Mapello dove i cani molecolari sembrano aver rilevato l'ultima traccia di Yara. L'operaio viene indagato per la scomparsa della ragazza a causa di un'intercettazione telefonica in cui parla in arabo, rivelatasi poi priva di valore a causa di una traduzione errata della frase "che Allah mi protegga" in "che Allah mi perdoni". L'operaio risulterà del tutto estraneo alla vicenda e racconterà per la prima volta[5] la sua storia e le sue ore in cella da innocente ad Alessio Ribaudo del Corriere della Sera[6], il primo quotidiano a pubblicarne la foto. Fikri riuscirà a dimostrare che il viaggio in nave che stava compiendo verso il Marocco era stato programmato da tempo e la sua posizione verrà così archiviata.[7]
Il corpo di Yara viene ritrovato in modo del tutto casuale esattamente tre mesi dopo la scomparsa, il 26 febbraio 2011, da un aeromodellista in un campo aperto a Chignolo d'Isola, distante circa 10 chilometri da Brembate di Sopra in direzione sud-ovest. Vengono rilevati sul corpo numerosi colpi di spranga, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. Nei mesi seguenti si ipotizza che la morte sia sopraggiunta in un momento successivo all'aggressione, a causa del freddo e dell'indebolimento dovuto alle lesioni. Sul corpo non appaiono segni di violenza carnale.
Il 28 maggio si svolgono i funerali nel centro sportivo dove Yara si allenava, seguiti da migliaia di persone e celebrati dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi. Durante la cerimonia funebre viene anche letto un messaggio del presidente della Repubblica[8].
Il 16 giugno 2014 viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore di Mapello incensurato, il cui DNA nucleare è risultato sovrapponibile con quello dell'uomo definito "Ignoto 1", rilevato sugli indumenti intimi di Yara nella zona colpita da arma da taglio e ritenuto dall'accusa l'unico riconducibile all'assassino.[9] A dare l'annuncio dell'arresto è l'allora ministro dell'Interno Angelino Alfano, fatto che suscita reazioni di disapprovazione da parte della Procura di Bergamo.[10]
A Bossetti si arriva attraverso un lungo percorso iniziato dalla scoperta che l’aplotipo Y del DNA di "Ignoto 1" è identico a quello di un frequentatore di una discoteca vicina al luogo del ritrovamento del corpo (persona estranea ai fatti e fra i tanti sottoposti a prelievo del DNA in un'indagine "screening"), dal quale, tramite l'esame di vari soggetti del ramo familiare con profilo genetico via via più strettamente correlato, si risale a Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno deceduto nel 1999[11], identificato come il padre naturale di "Ignoto 1". Solo dopo molti tentativi, e anche con l'aiuto della confidenza di un collega di Guerinoni riguardante una relazione affettiva dell'autista risalente a molti anni addietro, cercando l'allele 26 presente nel profilo nucleare di "Ignoto 1", ereditato sicuramente dalla madre in quanto non presente nel DNA di Guerinoni, si riesce a risalire ad Ester Arzuffi, la donna il cui DNA nucleare corrisponde alla metà materna del profilo di "Ignoto 1".
Sulla base di alcuni indizi, in un controllo stradale, mediante l'etilometro viene prelevato il DNA a Massimo Bossetti, uno dei due figli della Arzuffi, e viene verificata la corrispondenza del suo DNA nucleare con quello rinvenuto sulla vittima[12]. La pubblica accusa, con la certezza virtuale propria della prova genetica, identifica Bossetti come "Ignoto 1". Altro elemento portato dall'accusa è il fatto che le telecamere di sorveglianza della strada della palestra di Yara avrebbero filmato diversi transiti del furgone di Bossetti davanti al centro sportivo. Tuttavia, per ammissione del colonnello del RIS Lago, il filmato diffuso dallo stesso RIS sarebbe stato creato, in accordo con la procura di Bergamo, per esigenze di comunicazione alla stampa.[13]
La difesa contesta la prova genetica per la mancanza di DNA mitocondriale di Bossetti nella traccia genetica rinvenuta ed esaminata. Inoltre, un DNA mitocondriale minoritario presente nel campione 31-G20, non appartenente né alla vittima né a Bossetti, è riferibile per la difesa a un altro individuo. La procura sostiene che tale traccia genetica potrebbe essere eteroplasmia di Yara,[14] e alcuni genetisti dell'accusa affermano trattarsi di una sequenza parziale, con un tracciato elettroforetico non univocamente interpretabile, sostenendo, comunque, la validità del test anche se relativo al solo DNA nucleare. Bossetti si dichiara fin da subito innocente e sostiene il trasferimento accidentale di DNA da alcuni attrezzi che gli sarebbero stati rubati, sporchi del suo sangue a causa di epistassi, di cui soffrirebbe regolarmente. La moglie di Bossetti afferma che il marito era con lei a casa la sera del delitto[15], mentre la sorella gemella denuncia misteriose aggressioni, accuse che per la procura sono infondate.[16]
Il 26 febbraio 2015 la Procura della Repubblica di Bergamo chiude ufficialmente le indagini[17], indicando Massimo Giuseppe Bossetti come unico colpevole e chiedendone il rinvio a giudizio. La difesa ne chiede invece la scarcerazione, valutando poi l'opportunità del rito abbreviato, sostenendo che il DNA mitocondriale minoritario apparterrebbe ad un altro individuo, definito dagli avvocati "Ignoto 2"[18]. Inoltre, sostenuta dal criminologo Alessandro Meluzzi, consulente di parte, la difesa contesta il processo di identificazione di Bossetti con Ignoto 1 in quanto il DNA sarebbe contaminato[19][20][21][22], e chiede anche un'indagine sugli intestatari dei numeri di telefono presenti nella rubrica del cellulare di Yara, molti dei quali sono stati sentiti dagli investigatori[23].
Gli avvocati contestano anche la presunta non ripetibilità del test del DNA, effettuato senza la presenza della difesa[24]; tuttavia, nel momento della determinazione del profilo genetico di Ignoto 1, Bossetti era completamente incensurato, quindi non era né noto alle forze dell'ordine né tantomeno indagato. Il 27 aprile 2015 si apre con l'udienza preliminare davanti al GUP del tribunale di Bergamo il processo di primo grado, con l'accusa di omicidio volontario aggravato e calunnia nei confronti di un collega. Il GUP decide l'apertura del processo davanti alla Corte d'assise per il 3 luglio 2015[25]. La difesa di Bossetti convoca ben 711 testimoni, sostenendo che Yara sia rimasta vittima di bullismo[26] o collegando il fatto ad altri delitti avvenuti nella stessa zona.[27]
Il 1º luglio 2016 la Corte d'Assise di Bergamo condanna Massimo Giuseppe Bossetti all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio e lo assolve dall'accusa di calunnia. La Corte riconosce inoltre l'aggravante della crudeltà e revoca a Bossetti la responsabilità genitoriale sui suoi tre figli; non viene invece accolta la richiesta del Pubblico Ministero, che aveva chiesto per l'imputato anche l'isolamento diurno per sei mesi. La Corte dispone i risarcimenti per ciascun genitore e per ogni fratello di Yara e per gli avvocati.[28]
Il processo d'appello incomincia il 30 giugno 2017. La difesa esibisce come nuova prova una foto satellitare, sostenendo che il corpo della vittima sarebbe stato spostato e il DNA depositato molto dopo il delitto, cosa negata dalla procura e dalla sentenza di primo grado.[29][30] Il 17 luglio 2017 la Corte d'Appello di Brescia conferma la sentenza del primo grado di giudizio, giudicando Bossetti colpevole e condannandolo all'ergastolo.[31] Il 12 ottobre 2018 la Corte di cassazione conferma la condanna all'ergastolo di Bossetti.[32][33]
Nel mese di ottobre 2019, Massimo Giuseppe Bossetti spedisce una lettera indirizzata a Vittorio Feltri, direttore di Libero, in cui accusa di esser stato preso di mira e aver subìto pressioni, dichiarandosi innocente e chiedendo sostegno allo stesso Feltri.[34] In seguito ad altri interventi del collegio difensivo di Bossetti sulla validità del test, anche il noto avvocato Carlo Taormina[35] (non membro del team legale del muratore) presenta come privato cittadino un'istanza di riesame del DNA alla procura, al fine di ottenere la revisione del processo per Massimo Giuseppe Bossetti. Il giorno 29 novembre 2019, la corte d'assise di Bergamo autorizza la difesa di Massimo Bossetti a riesaminare i reperti, tra cui gli indumenti della ragazza e le tracce di DNA conservate presso l'ospedale San Raffaele di Milano.[36]
Il giorno 3 giugno 2021 tutte le istanze presentate dagli avvocati di Massimo Bossetti sono state rigettate dalla Corte d’Assise di Bergamo: la difesa chiedeva di potere rianalizzare i reperti delle indagini, confiscati dopo la sentenza definitiva, al fine di una possibile revisione del processo. L’interesse, in particolare, verteva sui campioni di Dna, anche se, per stessa ammissione dei legali, a dibattimento era emerso che la traccia decisiva, quella da cui fu estratto il DNA di "Ignoto 1", non è più utilizzabile in quanto "definitivamente esaurita". I difensori non potranno nemmeno effettuarne la ricognizione di altri reperti[37].
Il movente è stato individuato dai giudici "in un contesto di avances a sfondo sessuale" [38], mentre riguardo alla dinamica è rimasta oscura la modalità di aggancio della vittima, cioè se Yara sia salita sul furgone di Bossetti volontariamente o meno [39] [40].
Nel 2013 lo scrittore e giornalista Roberto Saviano, nel suo libro ZeroZeroZero, dichiarò di ritenere possibili alcuni legami tra l'omicidio di Yara, i cantieri edili del bergamasco, la criminalità organizzata ed il traffico di cocaina. Saviano affermò che il padre di Yara, il geometra Fulvio Gambirasio, nel 2011 lavorava per la Lopav, un'impresa edile di Ponte San Pietro che all'epoca era amministrata da Patrizio Locatelli, figlio di Pasquale Claudio Locatelli, imprenditore considerato coinvolto nel narcotraffico. Secondo Saviano, Fulvio Gambirasio era stato testimone in un processo contro la famiglia Locatelli e l'omicidio della figlia sarebbe stato una ritorsione malavitosa. Questa circostanza fu in seguito smentita, in quanto Gambirasio, interrogato dal pubblico ministero Maria Cristina Rota, dichiarò di non aver mai testimoniato contro Locatelli; per questo motivo Saviano venne accusato di diffamazione nei confronti di Gambirasio e Locatelli, accusa poi archiviata[41][42]. Tuttavia nel 2016 Saviano tornò sulla questione, affermando di ritenere inquietante che non si fosse indagato in quella direzione, visto che la Lopav aveva un appalto proprio nel cantiere di Mapello, in cui i tre cani molecolari usati nelle indagini avevano condotto gli investigatori.[43]
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Il contenuto presentato dell'articolo di Wikipedia è stato estratto 2021-11-27 sulla base di https://it.wikipedia.org/?curid=5343500