I soliti ignoti | |
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Titoli di testa del film | |
Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1958 |
Durata | 102 min |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,33:1 |
Genere | commedia |
Regia | Mario Monicelli |
Soggetto | Age & Scarpelli |
Sceneggiatura | Mario Monicelli, Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli |
Produttore | Franco Cristaldi |
Casa di produzione | Vides Cinematografica, Cinecittà (Stabilimenti Cinematografici), Lux Film |
Distribuzione in italiano | Lux Film |
Fotografia | Gianni Di Venanzo |
Montaggio | Adriana Novelli |
Musiche | Piero Umiliani |
Scenografia | Vito Anzalone |
Costumi | Piero Gherardi |
Trucco | Romolo De Martino |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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I soliti ignoti è un film del 1958 diretto da Mario Monicelli.
Considerato uno dei capolavori del cinema italiano,[2] il film è anche noto come caposcuola del genere caper movie.[3] Si aggiudicò due Nastri d'argento e una candidatura ai premi Oscar 1959 come miglior film straniero. È stato successivamente inserito, come opera rappresentativa, nella lista dei 100 film italiani da salvare.[4][5][6][7]
L'idea di base del film e soprattutto il finale sono tratti dalla novella Furto in una pasticceria nell'antologia Ultimo viene il corvo di Italo Calvino.[8][9]
Cosimo e il vecchio "Capannelle", due ladruncoli di Roma, tentano di rubare un'autovettura ma vengono sorpresi dalla polizia: il primo viene arrestato mentre l'anziano riesce a fuggire. Detenuto nel carcere di Regina Coeli, Cosimo apprende da un altro detenuto il piano per un colpo di facile realizzazione presso il Monte di Pietà; incarica così Capannelle di trovare una pecora, termine gergale malavitoso per indicare qualcuno che dietro compenso sconti la pena al posto di un altro.
Capannelle si rivolge a degli amici dell'ambiente — il prestante Mario, il siciliano Michele detto "Ferribotte" e il fotografo Tiberio —, ma visto il rifiuto deve ripiegare tra gli incensurati optando per Peppe "er Pantera", un pugile suonato che va puntualmente al tappeto. Il commissario tuttavia non si lascia ingannare e lo fa condannare con Cosimo. Durante la detenzione Cosimo accenna a Peppe del piano, poiché costui fa credere all'altro di aver subìto una lunga condanna affinché gli confidi i dettagli; egli in realtà sta per essere scarcerato il giorno stesso, avvalendosi della condizionale. Dovendo restituire agli amici il denaro sottoscritto per l'incarcerazione, decide di assoldarli per il colpo.
Il piano consiste nel raggiungere la stanza del Banco dei Pegni dove si trova la "comare", ovvero la cassaforte, introducendosi prima nell'appartamento contiguo, ritenuto disabitato, e abbattendo la parete divisoria. Per mezzo di un filmato, fatto con una macchina da presa rubata da Tiberio al mercato di Porta Portese e sottoposto in visione a Dante Cruciani, un noto scassinatore a riposo che svolge oramai il ruolo di "consulente", la banda viene da questi istruita sulle modalità per realizzare il colpo.
Le cose tuttavia si complicano: nell'appartamento sono nel frattempo andate ad abitare due donne anziane, che hanno a servizio una ragazza di nome Nicoletta. Peppe s'incarica quindi di sedurre la giovane per ottenere informazioni. Nel frattempo Cosimo, uscito dal carcere grazie a un'amnistia, raggiunge la banda per vendicarsi, ma viene tramortito da Peppe con un pugno. Quest'ultimo gli offre di partecipare al furto, ma Cosimo rifiuta per orgoglio e tenta di rapinare da solo il Monte di Pietà. Allo sportello troverà l'impiegato che, per nulla intimorito dalla pistola, gliela sottrae dalle mani e la tratta come un qualunque bene da impegnare per una modesta somma. Successivamente Cosimo si ridurrà a un tentativo di scippo ai danni di una signora, ma nella fuga muore travolto da un tram.
Una sera, approfittando dell'assenza delle proprietarie, arriva per la banda il momento buono per il colpo. Mario però rinuncia e in cambio promette di vegliare su Carmelina, sorella di "Ferribotte", con la quale è nata una sincera relazione. Dopo aver superato numerose difficoltà, che tra l'altro il povero Tiberio è costretto ad affrontare con un braccio ingessato, risultato dell'incontro con il venditore al quale aveva rubato la macchina da presa, i quattro "soci" rimanenti arrivano finalmente a introdursi nell'appartamento. Qui riescono a demolire quella che pensano sia la parete designata, ma con loro meraviglia si ritrovano nella cucina della casa: infatti le proprietarie avevano di recente cambiato la disposizione dell'arredamento, spostando la camera da pranzo che confinava con il Monte di Pietà. Vista l'ora ormai tarda la banda è costretta a rinunciare, non senza, però, approfittare della pasta e ceci trovata in cucina. Una perdita provocata dai ladruncoli a un tubo del gas, tuttavia, causa un'esplosione, per cui devono battere precipitosamente in ritirata ancora più laceri e disastrati di prima.
Alle prime luci dell'alba la banda mestamente si scioglie. Tiberio prende il tram e va a riprendersi suo figlio, lasciato in custodia alla moglie detenuta a Regina Coeli per contrabbando. "Ferribotte" rincasa, e Capannelle, rimasto solo con Peppe, attrae l'attenzione di due carabinieri in bicicletta con il suono imprevisto di una sveglia rubata nell'appartamento. I due, per sfuggire al controllo, sono costretti a mescolarsi con degli aspiranti manovali che si affollano davanti al cancello di un cantiere; sicché Peppe viene assunto suo malgrado, mentre Capannelle, buttato fuori in malo modo, avverte inutilmente e sarcasticamente l'amico che lì lo faranno lavorare sul serio.
Il giorno dopo, un trafiletto di cronaca su un quotidiano riferisce delle gesta dei "soliti ignoti", il cui misero bottino rimane un piatto di pasta e ceci.
Con questa pellicola di Monicelli, la critica e la storiografia del cinema italiano sanciscono l'esordio ufficiale di un nuovo genere cinematografico, in seguito ribattezzato Commedia all'italiana,[10] che si accompagnerà al neorealismo, al filone storico mitologico peplum e lo spaghetti-western, consacrando il cinema italiano del dopoguerra.
Con I soliti ignoti nasce in Italia un nuovo tipo di commedia comica che abbandona i canoni consueti,[11] ispirati alla tradizione dell'avanspettacolo, del varietà o del Cafè Chantant, e che ereditando il testimone del neorealismo, ha per tema la quotidianità, la gente comune, con precisi riferimenti sociali nei quali il pubblico può riconoscersi.
«La commedia all'italiana è questo: trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia all'italiana da tutte le altre commedie...[12]» |
Gli interpreti di questa pellicola abbandonano il ruolo di maschera teatrale - che gioca la comicità basandosi sulla gag, il gioco di parole od il nonsense - qui articolando i dialoghi e le trovate umoristiche su prove definite, a volte caricaturali, ma riferite comunque ad una sceneggiatura chiara.
Molti critici vedono nel personaggio interpretato da Totò un ipotetico passaggio generazionale della Commedia Italiana, dall'epoca del geniale attore napoletano - il "Principe della Risata" - a quella che un gruppo agguerrito di sceneggiatori (come Sergio Amidei, Rodolfo Sonego, Age & Scarpelli, Ettore Scola e Ruggero Maccari) baseranno nel raccontare la realtà in un momento storico critico ed importante, ricco di contraddizioni, di incompatibilità tra vecchio e nuovo, di identità fallaci ed effimere, costruite spesso su dei condizionamenti sociali ed ingerenze culturali esterne.
L'ideazione de I soliti ignoti nasce in chiave caricaturale. Come lo stesso Monicelli ammette, si voleva in principio parodiare un certo genere di film noir francese o di gangster statunitense, particolarmente in voga in quegli anni, ed apprezzato da un vasto pubblico italiano. Il soggetto si ispira al film drammatico francese Rififi di Jules Dassin del 1955, dove una banda di quattro criminali professionisti intraprende un colpo perfetto che si rivelerà fallimentare e come narra il regista, uno dei titoli provvisori era il parodistico Rifufu.[13]
Sarebbe tuttavia erroneo ritenere I soliti ignoti limitarsi a mera parodia di altri titoli illustri in quanto lo stesso film si arricchisce di novità importanti e di contesti originali nel corso della sua produzione, in quanto era concezione del regista darvi una connotazione tragicomica.
I soliti ignoti, secondo il regista Carlo Lizzani, porta il comico fuori dei confini abituali della farsa acquisendone una propria consistenza cinematografica. Per la prima volta in una commedia italiana si assiste alla morte tragica di uno dei protagonisti.[14] La morte o comunque il fallimento è una tematica fondamentale nella cinematografia di Monicelli, in quanto come egli spiega, facente parte della stessa essenza e della tradizione della commedia dell'arte, caratterizzata da presenze maligne, da sventure e da personaggi miseri, emuli delle maschere di Arlecchino e Pulcinella, che si adoperano nella vana ricerca di un espediente definitivo e risolutivo. [15]
La vena drammatica della pellicola non si esaurisce solo nei personaggi, bensì si accompagna al ritratto di una Roma estranea ai processi economici del boom di quegli anni. È la Roma dei quartieri popolari, della periferia degradata, del sottoproletariato urbano, a far da sfondo tragico alle gesta della miserabile banda del buco, la stessa Roma ritratta dal coevo Pier Paolo Pasolini in Ragazzi di vita. È significativo il breve dialogo tra Capannelle con un ragazzino al quale si rivolge per chiedere informazioni su un certo Mario, perfetta memoria della narrativa pasoliniana.
La fotografia fu particolarmente curata da quest'ultimo punto di vista.[16] Le immagini dovevano restituire l'idea di una Roma drammatica, per cui furono evitati volutamente i toni eccessivamente luminosi, si preferirono i contrasti e i tagli decisi e nei costumi si evitarono le concessioni al vezzo e alla comodità, curando invece quello che doveva fornire l'estemporaneità di un abbigliamento dettato solo dallo stato di indigenza (vedansi i pantaloni da cavallerizzo che Capannelle indossa per tutto il film).
Il film per la sua novità non fu accolto favorevolmente dalla critica ufficiale, che aveva ben chiari i riferimenti. Da principio non fu apprezzata la scelta di sostituire i comici d'arte con degli attori seri già affermati in contesti drammatici (Vittorio Gassman); Totò, notoriamente non amato dalla critica colta ma fortemente caldeggiato dai produttori, fu giudicato eccessivo nonostante la sua interpretazione limitata. In sostanza, l'ambiente ufficiale non era pronto ad accogliere quella che si rivelerà la trovata ad effetto del film, la trasformazione di attori seri in "caratteri" della commedia, dotati di una grande vis comica. La scena del set comico, nella opinione dei critici più severi, avrebbe dovuto somigliare ancora al palcoscenico di un varietà dove i maestri solitari, coadiuvati da abili spalle, si avvicendavano nell'intrattenimento del pubblico.
Gli stessi produttori contrastarono a lungo la scelta di Vittorio Gassman[17] (la produzione pensò ad Alberto Sordi). La sua aria intellettuale e soprattutto il suo repertorio teatrale drammatico unito ai ruoli "cattivi" che aveva interpretato in precedenza non davano alcuna garanzia di successo. Ma regista e sceneggiatori seppero resistere alle richieste dei produttori. Avevano modellato tutti i personaggi intorno ad un baricentro realistico e li avevano poi corredati di un patrimonio farsesco sul quale si sarebbe dovuta giocare tutta la comicità. Per "il Pantera" si ricorse ad un trucco pesante che abbassò l'attaccatura dei capelli, ridusse la fronte spaziosa accentuando il naso e rendendo cadenti le labbra, in quell'aria da ebete caratteristica di un pugile suonato di periferia. Fu studiata l'andatura e infine concepita la balbuzie, con effetti comici esilaranti.
Al di là delle caratterizzazioni dei personaggi è importante definire quello che sarà un tema importante e ricorrente del genere, una costante che seppur trasformata rimarrà centrale nel corso della storia decennale della commedia all'italiana, dal suo nascere, alla fine degli anni cinquanta, sino al suo tramonto, alle metà degli anni settanta: la rappresentazione del sistema sociale attraverso le classi e la critica dura alla società del benessere, colta nei suoi scompensi e nelle sue contraddizioni.
I soliti ignoti da questo punto di vista è un grande mosaico storico che ci restituisce con leggerezza l'immagine complessa di un'epoca.[18] Un mondo di povertà urbana che resiste nei suoi valori tradizionali all'attacco della nuova società di massa della quale però sente un'attrazione sempre più forte. Società che viene nel film rappresentata esclusivamente dai miti di importazione americana: facile benessere economico, liberalizzazione dei costumi sessuali, comfort abitativi. La connotazione farsesca nasce sul modo di rapportarsi che i protagonisti hanno con questa doppia identità, divisi tra tradizione e innovazione. I valori tradizionali di riferimento rimangono sempre benevoli ed evidenti sullo sfondo della vicenda e sono rappresentati via via da quasi tutti i personaggi: da Carmelina Claudia Cardinale (la sicurezza del vero legame affettivo), dalla dolcissima Nicoletta Carla Gravina (l'innocenza) e dallo stesso Cruciani Totò (la saggezza della vecchiaia). Il gruppo rimane titubante per tutta la durata del film, nessuno riesce con convinzione ad abbracciare quello spirito nuovo che viene riflesso dalla società del benessere, nemmeno il protagonista, "il Pantera", che solitario in un'opera di autoconvincimento continua a ripetere: «È sc-sc-scientifico!», quindi moderno, quindi giusto, legale, morale.
Inizialmente il film avrebbe dovuto intitolarsi Le Madame,[20] ma tale nome venne rigettato per problemi di censura, dato che quello pensato da Monicelli evocava il soprannome dato in ambiente criminale alla polizia. La pellicola uscì nelle sale italiane il 26 luglio del 1958, venne poi esportato nei seguenti paesi, con i seguenti titoli:[21]
Venne in seguito presentato anche in Grecia, in Egitto, in Finlandia e nelle Filippine.[22]
L'incasso accertato è stato di 901.562.000 lire.[23]
«Questo ballo di ladri rischia di essere il film più divertente della stagione. Non è tutto, uno dei film comici italiani più garbati e intelligenti degli ultimi anni. D'acchito può sembrare soltanto una parodia di celebri film polizieschi di Rififi per esempio. Le analogie non mancano. Ma il ricalco è appena accennato, la comicità del film è autonoma, affidata alla ricchezza delle invenzioni e delle annotazioni, alla varietà dei tipi, alla bravura degli interpreti, alla fluidità del racconto, al ritmo. C'è anche qualcosa di più: I soliti ignoti, è un film a doppio fondo. C'è un'aria di malinconia e di tristezza che è quasi sempre il risvolto della comicità autentica, c'è il segno di una pietà che non diventa mai giulebbosa. A questi ladri, a questi soliti ignoti, s'addice il motto che, secondo Longanesi, è una bandiera degli italiani: «Ho famiglia!». Quali sono i coefficienti di questa riuscita tanto più gradevole quanto meno attesa? La serietà, il coraggio e l'intelligenza di un regista, che non ha ancora trovato la propria strada ma che può dare più di quello che finora ha fatto. Mastroianni è quello che si può dire sicurezza.»
« [...] L'aver tenuto insieme tanti divi è il primo grosso merito del regista Mario Monicelli e gliene deve essere grato soprattutto Vittorio Gassman, primo attore quanto mai dotato, la cui carriera cinematografica, tuttavia, appariva limitata, fin dalle origini, ad esibizioni di truce gigionismo. Qui, dopo essersi calato scherzosamente dentro un personaggio grottesco e insolito per lui, recita in una maniera fresca, divertentissima e meno superficiale di quanto si possa credere a prima vista.»
Il successo de I soliti ignoti ha varcato i confini nazionali per approdare ad Hollywood, che lo ha apprezzato al punto da realizzarne alcuni remake nel corso degli anni[senza fonte]:
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Il contenuto presentato dell'articolo di Wikipedia è stato estratto 2021-07-27 sulla base di https://it.wikipedia.org/?curid=109153