Gino Bartali | ||
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Nazionalità | Italia | |
Ciclismo | ||
Specialità | Strada | |
Termine carriera | 1954 | |
Carriera | ||
Squadre di club | ||
1934 | S.S. Aquila | |
1935 | Fréjus S.S. Aquila | |
1936-1945 | Legnano | |
1946-1948 | Legnano Tebag | |
1949-1951 | Bartali | |
1952 | Tebag Bartali | |
1953-1954 | Bartali | |
Nazionale | ||
1936-1946 | Italia | |
1946-1953 | Italia | |
Carriera da allenatore | ||
1957-1963 | San Pellegrino | |
1967 | Vittadello | |
1968 | Pepsi Cola | |
1971 | Cosatto | |
Gino Bartali (Ponte a Ema, 18 luglio 1914 – Firenze, 5 maggio 2000) è stato un ciclista su strada e dirigente sportivo italiano.
Professionista dal 1934 al 1954, soprannominato Ginettaccio, vinse tre Giri d'Italia (1936, 1937, 1946) e due Tour de France (1938, 1948), oltre a numerose altre corse tra gli anni trenta e cinquanta, tra le quali spiccano quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia.
In particolare la sua vittoria al Tour de France 1948, a detta di molti, contribuì ad allentare il clima di tensione sociale in Italia dopo l'attentato a Palmiro Togliatti. La carriera di Bartali fu comunque notevolmente condizionata dalla seconda guerra mondiale, sopraggiunta proprio nei suoi anni migliori; nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni per la sua attività a favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Fu grande avversario di Fausto Coppi, di cui era più vecchio di cinque anni: leggendaria fu la loro rivalità, che divise l'Italia nell'immediato dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due): celebre nell'immortalare un'intera epoca sportiva – tanto da entrare nell'immaginario collettivo degli italiani – è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta d'acqua durante l'ascesa al Col du Galibier al Tour de France 1952.[1]
«L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare![2]» |
Gino Bartali esordì come ciclista dilettante nei primi anni trenta con la società "Aquila divertente". Nel 1934 vinse la quinta edizione della Coppa Bologna, valida come terza prova del Campionato toscano dilettanti, e con questa vittoria si laureò campione di Toscana.[3] Nel 1935 si sentì pronto al passaggio al professionismo, ma si iscrisse alla Milano-Sanremo come indipendente. Incredibilmente si trovò in testa dopo avere staccato Learco Guerra ma, sia a causa di un guasto meccanico sia a seguito del disturbo creato dal direttore de La Gazzetta dello Sport Emilio Colombo[4], venne ripreso e arrivò quarto in volata.
Venne quindi ingaggiato dalla società Fréjus, con la quale corse il suo primo Giro d'Italia, finendo settimo con una vittoria di tappa. Concluderà la stagione con la vittoria all'Escalada a Montjuïc, alla Vuelta al País Vasco e ai campionati italiani.
Nel 1936 passò alla Legnano, diretta da Eberardo Pavesi e capitanata da Learco Guerra, il quale, intuite le qualità del nuovo arrivato, si mise al suo servizio come gregario per permettergli il successo alla corsa rosa di quell'anno, successo che arrivò in modo trionfale per il toscano, con tre vittorie di tappa. Pochi giorni dopo Bartali pensò seriamente di abbandonare la carriera in seguito alla morte del fratello minore Giulio, avvenuta a causa di un incidente in una gara di dilettanti. L'anno si chiuse con la vittoria nel Giro di Lombardia.
Nel 1937, ormai capitano della Legnano e numero uno del ciclismo italiano, vinse il suo secondo Giro d'Italia e fu designato come capitano della Nazionale per tentare la conquista del Tour de France, vinto solo due volte da un italiano, Ottavio Bottecchia, nel 1924 e nel 1925. Mentre era in maglia gialla una brutta caduta nel torrente Colau durante la tappa Grenoble-Briançon con conseguenti ferite alle costole e una grave bronchite lo costrinsero però al ritiro. Sempre nel 1937 divenne terziario carmelitano con il nome di Fra Tarcisio di S. Teresa di Gesù Bambino.[5]
Nel 1938 fu spinto dal regime fascista a saltare il Giro d'Italia per preparare il Tour de France, nel quale trionfò aggiudicandosi anche due vittorie di tappa e alla cui premiazione rifiutò di rispondere con il saluto romano. L'anno dopo riuscì finalmente a vincere la Milano-Sanremo ma, malgrado quattro vittorie di tappa, perse il Giro a favore di Giovanni Valetti.
Nel 1940 bissò il successo alla Milano-Sanremo e si preparò per cercare di vincere il suo terzo Giro. Nella squadra della Legnano era arrivato un promettente ragazzo alessandrino di nome Fausto Coppi, voluto da Bartali stesso come gregario. Durante la seconda tappa, la Torino-Genova, attardato da una foratura, Bartali cadde e si fece male a causa di un cane che gli tagliò la strada nei pressi di Boasi proprio mentre si stava ricongiungendo alla testa della corsa.[6][7][8] Pavesi, direttore del team, decise allora di puntare su Coppi, che era il meglio piazzato in classifica.
All'arrivo della tappa Bartali fece i complimenti a Coppi e si mise al suo servizio, come aveva fatto Guerra con lo stesso Bartali nel 1936. Proprio su una salita sulle Alpi Bartali era davanti di poche decine di metri a Coppi, che era alle prese con la classica "cotta" e forti dolori alle gambe. Fausto stava per scendere dalla bici con l'intenzione di lasciare la corsa. Bartali se ne accorse, tornò indietro, e ricordandogli i sacrifici fatti, riuscì a farlo risalire in bicicletta urlandogli: «Coppi, sei un acquaiolo! Ricordatelo! Solo un acquaiolo!». Bartali intendeva dire che chi non si impegna fino allo spasimo non è un vero ciclista, ma soltanto un acquaiolo, cioè un portatore d'acqua; un gregario insomma, non un campione. A Bartali piaceva mangiare e bere anche prima delle gare, a differenza di Fausto Coppi che era molto attento alla dieta.
Coppi alla fine vinse il Giro. La corsa, già disertata dagli stranieri, si chiuse il giorno prima dell'entrata in guerra dell'Italia, e la guerra sancì per cinque anni l'interruzione della carriera per i due campioni.
Costretto a lavorare come riparatore di ruote di biciclette, fra il settembre 1943 e il giugno 1944, indossata la divisa della GNR[9], Bartali si adoperò in favore dei rifugiati ebrei come membro dell'organizzazione clandestina DELASEM[10] compiendo numerosi viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-Cortona fino ad Assisi, trasportando documenti e foto tessere nascosti nei tubi del telaio della bicicletta affinché una stamperia segreta potesse falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati, tanto che nel 2006 il Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la medaglia d'oro al merito civile per avere contribuito al salvataggio di «circa 800 cittadini ebrei».[11]
Ricercato dalla polizia, sfollò a Città di Castello, dove rimase cinque mesi, nascosto da parenti e amici.
Ripresa la carriera nel 1945 Bartali, ormai trentunenne, era dato per "finito", mentre Coppi, di cinque anni più giovane, era considerato l'astro nascente, benché la prigionia in tempo di guerra gli avesse reso difficile la ripresa dell'attività.
Nel 1946 Bartali vinse il Giro d'Italia, mentre Coppi, passato alla Bianchi, terminò alle sue spalle a soli 47 secondi; stravinse poi il Tour de Suisse. Nel frattempo Jacques Goddet fondava un nuovo quotidiano, L'Équipe, e si preparava per l'anno dopo a riprendere l'organizzazione del Tour de France in un paese da ricostruire.
Nel 1947 Bartali vinse la Milano-Sanremo e perse il Giro d'Italia a favore di Coppi, anche per un banale guasto meccanico. Bissò comunque il successo al Tour de Suisse, all'epoca la più ricca, e una tra le più prestigiose, tra le corse a tappe.
Il 1948 vide Bartali in difficoltà per vari motivi nella parte iniziale della stagione. Fu attardato da una caduta al Giro d'Italia, in cui terminò solo ottavo, facendo da spettatore a una conclusione che vide Coppi ritirarsi per protesta per la mancata squalifica di Fiorenzo Magni a causa delle spinte ricevute in salita (spinte che costarono il Giro a Ezio Cecchi, giunto secondo a soli undici secondi da Magni). Bartali fu quindi l'unico tra i big a potere rappresentare l'Italia al Tour de France (Coppi non si riteneva pronto e Magni non era "gradito" ai francesi per ragioni politiche, essendo sospettato di simpatie fasciste[12]) e venne designato capitano. Messa in piedi una "squadra da quattro soldi", come era stata definita, si apprestò al più grande trionfo della carriera.
Malgrado la non eccelsa squadra, l'astio dei francesi nei confronti degli italiani e l'età (con i suoi 34 anni era uno dei più anziani corridori presenti), entrò nel mito del Tour. Leggendaria in particolare la sua fuga sulle Alpi che gli consentì di vincere la Cannes-Briançon, attraverso il Colle d'Allos, il Colle di Vars e il Colle dell'Izoard (dove è ricordato con una stele), recuperando gli oltre venti minuti di svantaggio che lo separavano da Louison Bobet. Il giorno successivo vinse nuovamente nella tappa da Briançon a Aix-les-Bains, di 263 km, attraverso i colli del Lautaret, del Galibier della Croix-de-Fer del Coucheron e del Granier, conquistando la maglia gialla.
Secondo molti l'impresa di Bartali aiutò a distogliere l'attenzione dall'attentato di cui era stato vittima Palmiro Togliatti, allora segretario del PCI, avvenimento che aveva provocato una grande tensione politica e sociale in Italia, che rischiava di sfociare in una guerra civile.[13] È comprovato che Alcide De Gasperi telefonò allo stesso Bartali, amico, estimatore e compagno dell'Azione Cattolica, per incitarlo, chiedendogli un'impresa epica che potesse rasserenare gli animi, la sera della vigilia della Cannes-Briançon. Erano passati 10 anni dall'impresa del 1938 sui medesimi colli, e ora aveva un distacco di 21 minuti da Louison Bobet, maglia gialla[14]. Durante il corso della tappa fu seguito da Vittorio Pozzo, che al suo attacco sul Colle dell'Izoard gli gridò: "Sei immortale"[15]. A Parigi i francesi applaudirono a lungo Gino, riconoscendogli valore sportivo e politico e riabilitando l'immagine degli Italiani, rei colpevoli della "coltellata alle spalle" della seconda guerra mondiale[senza fonte]. Vincendo stabili due record: la distanza maggiore in anni fra il primo e ultimo Tour vinto (10 anni, ancora ineguagliato[16]), e il distacco maggiore fra il primo e secondo classificato[17]. Al rientro dalla Francia il campione venne ricevuto dallo stesso De Gasperi, che gli chiese cosa avrebbe voluto in regalo per quell'impresa: Bartali, si racconta, chiese di non pagare più le tasse.[13]
L'anno si chiuse con il disastroso campionato del mondo su strada di Valkenburg in cui lui e Coppi, strafavoriti, anziché collaborare rimasero nelle retrovie controllandosi a vicenda, e si ritirarono tra la delusione dei tanti immigrati italiani in Olanda.
Nel 1949 Bartali giunse secondo nel Giro d'Italia vinto da Coppi e lo aiutò poi nella vittoria al Tour de France, giungendo egli stesso secondo. L'anno dopo vinse una terribile Milano-Sanremo sotto il diluvio, ma decise poi di ritirarsi al Tour de France mentre Magni conduceva la corsa, causa l'aggressione dei tifosi francesi sul Colle d'Aspin.
Quarto nei Tour del 1951 e del 1952, in cui aiutò Coppi a vincere, vinse a trentotto anni il suo ultimo grande titolo, il campionato italiano. Nel 1953, dopo avere vinto a trentanove anni il Giro della Toscana, ebbe un incidente stradale che rischiò di fargli perdere la gamba destra per gangrena. Dopo pochi mesi però rientrò in scena alla Milano-Sanremo. Anche se non colse un grande risultato la folla fu tutta per lui.
A Città di Castello, dove passò diversi mesi da sfollato protetto dalla popolazione, volle concludere la sua attività da professionista correndo in un circuito creato apposta per l'occasione nel 1954.
Profondamente cattolico, nel 1950 fece una donazione di circa 100 000 pesetas, per contribuire a continuare i lavori della Sagrada Família a Barcellona.[18]
Nel 1959 ingaggiò nella sua squadra, la San Pellegrino Sport, il "Campionissimo" Fausto Coppi, allora in declino, con l'obiettivo di rilanciarlo. Coppi aveva invitato il suo ex rivale e ora caposquadra nel famoso viaggio in Alto Volta che avrebbe finito per costargli la vita, ma Bartali rinunciò, volendo passare i momenti liberi da gare con la famiglia, composta dall'amata moglie Adriana Bani (sposata nel 1940 a Firenze) e da tre figli, Andrea, Luigi e Bianca, con i quali era solito trascorrere le estati nella montagna di Pistoia, nel piccolo paese di Spignana[19]. Negli anni seguenti il fiorentino via via rarefece la sua presenza nel mondo del grande ciclismo, non esitando però a lanciare strali contro i mali del ciclismo: il doping, la corruzione e gli ingaggi troppo alti. Nel 1992 condusse il TG satirico Striscia la notizia.
Morì per un attacco di cuore nel primo pomeriggio del 5 maggio 2000, a 85 anni, nella sua casa di piazza cardinal Dalla Costa a Firenze. Fu sepolto nel cimitero di Ponte a Ema.
«Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca.» |
(Gino Bartali[20]) |
Secondo alcune fonti, Bartali trasportò, all'interno della sua bicicletta, dei documenti falsi per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità. Questa attività sarebbe nata dalla sua collaborazione con l'organizzazione clandestina DELASEM che a Firenze era diretta dal rabbino Nathan Cassuto e dell'arcivescovo della città Elia Angelo Dalla Costa.[21] Anche se occorre ricordare che lo storico Michele Sarfatti ha messo fortemente in dubbio la veridicità di questa ricostruzione, mostrando come la fonte originaria dell'informazione non possa considerarsi attendibile e sia probabilmente opera di fantasia, per quanto la notizia si sia poi ampiamente diffusa nell'opinione pubblica e venga citata anche da fonti successive ritenute autorevoli [22].
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Nel maggio 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato alla moglie di Bartali, Adriana, la medaglia d'oro al valore civile (postuma) allo scomparso campione per avere aiutato e salvato molti ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il 2 ottobre 2011, inoltre, Bartali è stato inserito tra i Giusti dell'Olocausto nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, sempre per l'aiuto offerto agli ebrei durante la seconda guerra mondiale.[23][24]
Il 23 settembre 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell'olocausto fondato nel 1953, riconoscimento per i non ebrei che hanno rischiato la vita per salvare quella anche di un solo ebreo durante le persecuzioni naziste. Nella motivazione dello Yad Vashem si legge che Bartali,
«cattolico devoto, nel corso dell'occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa.» |
Questa straordinaria attività a favore dei perseguitati è stata descritta nel libro "Gino Bartali, mio papà" di Andrea Bartali. Il figlio del campione ha fatto una lunga opera di ricerca di testimonianze e, insieme alla propria figlia Gioia, ha continuato a mantenere viva l'immagine di Gino.
Il 16 maggio 2017, alla vigilia della partenza dell’undicesima tappa del Giro d’Italia (da Ponte a Ema a Bagno di Romagna), la squadra israeliana di ciclismo Cycling Academy fondata da Ron Baron ha organizzato una corsa con partenza dalla stessa Ponte a Ema fino ad Assisi, sullo stesso tragitto che ‘Ginettaccio’ percorse molte volte per aiutare gli ebrei perseguitati[25].
Il 22 aprile 2018 il portavoce di Yad Vashem, Simmy Allen, conferma la notizia, anticipata dal sito "Pagine Ebraiche", secondo la quale Gino Bartali ha ricevuto la nomina postuma a cittadino onorario di Israele, nel corso di una cerimonia tenutasi il 2 maggio dello stesso anno, due giorni prima della partenza del Giro d'Italia da Gerusalemme.[26]
Nell'album Un gelato al limon del cantautore astigiano Paolo Conte si trova la canzone "Bartali". La stessa canzone verrà ripresa da Enzo Jannacci nell'album Foto ricordo.
Bartali ha partecipato ad alcuni film:
Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana | |
— Roma 27 dicembre 1986[27] |
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana | |
— Roma, 27 dicembre 1992[28] |
Medaglia d'oro al Merito civile | |
«Nel corso dell'ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò con una struttura clandestina che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell'alta Toscana, riuscendo a salvare circa ottocento cittadini ebrei. Mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà. 1943 - Lucca» — Roma 31 maggio 2005[29] |
Collare d'oro al merito sportivo | |
«"Alla memoria"» — Roma, 2000[30] |
Medaglia d'oro al valore atletico | |
— Roma, 1965[30] |
Medaglia d'argento al valore atletico | |
— Roma, 1938[31] |
Controllo di autorità | VIAF (EN) 8298035 · ISNI (EN) 0000 0000 2410 5668 · LCCN (EN) n79006821 · GND (DE) 123541352 · BNF (FR) cb11985674x (data) · BNE (ES) XX5647093 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n79006821 |
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