Giacomo Matteotti

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Giacomo Matteotti
Giacomo Matteotti.jpeg

Deputato del Regno d'Italia
Legislature XXV, XXVI, XXVII (fino al 10 giugno 1924)
Gruppo
parlamentare
Socialista
Collegio Ferrara e Rovigo
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politico Partito Socialista Italiano (1907-1922)
Partito Socialista Unitario (1922-1924)
Titolo di studio Laurea in giurisprudenza
Università Università di Bologna
Professione Giornalista, dirigente politico

Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, 22 maggio 1885Roma, 10 giugno 1924) è stato un politico, giornalista e antifascista italiano, segretario del Partito Socialista Unitario, formazione nata da una scissione del Partito Socialista Italiano al Congresso di Roma dell'ottobre 1922.

Fu rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini probabilmente per volontà di Benito Mussolini[1], a causa delle sue denunce dei brogli elettorali e del clima di violenza [2] messi in atto dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e delle sue indagini sulla corruzione del governo, in particolare sulla vicenda delle tangenti della concessione petrolifera alla Sinclair Oil. Matteotti, nel giorno del suo omicidio (10 giugno) avrebbe dovuto infatti presentare un nuovo discorso alla Camera dei deputati, dopo quello sui brogli del 30 maggio, in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti lo scandalo finanziario coinvolgente anche Arnaldo Mussolini, fratello minore del Duce.[3] Il corpo di Matteotti fu ritrovato circa due mesi dopo, dal brigadiere Ovidio Caratelli.

In ogni caso, il 3 gennaio 1925, di fronte alla Camera dei deputati, Benito Mussolini si assunse pubblicamente la "responsabilità politica, morale e storica" del clima nel quale l'assassinio si era verificato.

Biografia

Origini e formazione

Giacomo Matteotti.

Matteo Matteotti, nonno del politico, era nato a Comasine, nella Val di Peio in Trentino, paese della famiglia Matteotti. Dopo alcuni anni di pendolarismo si era trasferito a Fratta Polesine e morì tragicamente il 9 giugno 1858. Suo figlio Girolamo Stefano (nato a Comasine nel 1839) portò avanti e allargò l'attività paterna: commerciante in ferro e rame, aveva investito i profitti in case e in terreni, e raggiunse un'invidiabile posizione economica. L'accusa rivolta al padre di aver costruito la sua fortuna prestando denaro ad interesse provenne dalla stampa cattolica locale di quegli anni, avversaria del figlio socialista, e non è mai stata definitivamente provata[4].

Velia Titta, moglie di Giacomo Matteotti.

Il 7 febbraio 1875 Girolamo sposò Lucia Elisabetta Garzarolo[5] (chiamata comunemente Isabella). Ebbero sette figli, quattro dei quali morirono in tenera età: degli adulti, Giacomo Lauro[6] fu il secondo, dopo Matteo (1876-1909) e prima di Silvio (1887-1910), e l'unico a sopravvivere ai fratelli, morti ancor giovani di tisi. Tutti i giovani Matteotti si impegnarono in politica nelle file del Partito socialista, seguendo l'esempio del padre che era stato consigliere comunale di Fratta Polesine dal 1896 al 1897. Girolamo morì a Fratta nel 1902.

Giacomo Matteotti frequentò il ginnasio "Celio" di Rovigo e fu compagno di classe del suo futuro avversario politico cattolico, Umberto Merlin. Si laureò in Giurisprudenza, all'Università di Bologna, nel 1907 ed entrò in contatto con i movimenti socialisti, nei quali divenne ben presto una figura di spicco. Durante la prima guerra mondiale, in cui non fu arruolato in quanto unico figlio superstite di madre vedova, si dimostrò un convinto sostenitore della neutralità italiana. Le sue posizioni antimilitariste e il suo attivismo contro la guerra gli costarono l'allontanamento dal Polesine per tre anni e il confino in una zona montagnosa nei pressi di Messina. Nel gennaio 1916 aveva sposato con rito solo civile la poetessa romana Velia Titta, sorella del baritono Titta Ruffo. Nel 1918, mentre era ancora in Sicilia al confino, nacque a Roma il suo primogenito Giancarlo, che seguì le orme del padre dedicandosi anche lui all'attività politica.

Il socialismo e l'elezione a Deputato

Tavolo di lavoro di Giacomo Matteotti a Montecitorio, nella Biblioteca della Camera dei deputati.
"Votate Matteotti", slogan elettorale dipinto su un muro a Venezia. Foto di Paolo Monti, 1965.

Matteotti fu eletto in Parlamento per la prima volta nel 1919, in rappresentanza della circoscrizione Ferrara-Rovigo. Fu rieletto nel 1921 e nel 1924, e veniva soprannominato Tempesta dai suoi compagni di partito per il suo carattere battagliero ed intransigente[7]. In pochi anni, oltre a preparare numerosi disegni di legge e relazioni, intervenne 106 volte in Aula, con discorsi su temi spesso tecnici, amministrativi e finanziari[8]. Per il carattere meticoloso e l'abitudine allo studio, passava ore nella Biblioteca della Camera «a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare, con la parola e con la penna, badando a restare sempre fondato sulle cose»[9]. Dopo i fatti del dicembre 1920 a Ferrara divenne il nuovo segretario della camera del Lavoro cittadina, e questo produsse un rinnovato impegno nella sua lotta antifascista, con frequenti denunce delle violenze che venivano messe in atto[10]. Nel 1921 pubblicò una famosa "Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia", in cui si denunciavano, per la prima volta, le violenze delle squadre d'azione fasciste durante la campagna elettorale delle elezioni del 1921.

Nell'ottobre del 1922 Matteotti fu espulso dal Partito Socialista Italiano con tutta la corrente riformista legata a Filippo Turati. I fuoriusciti fondarono il nuovo Partito Socialista Unitario di cui Matteotti divenne segretario. Nel 1924 venne pubblicata a Londra, dove Matteotti si era recato in forma strettamente riservata nell'aprile di quell'anno, la traduzione del suo libro Un anno di dominazione fascista, col titolo: The Fascists exposed; a year of Fascist Domination, in cui riportava meticolosamente gli atti di violenza fascista contro gli oppositori[11].

Nell'introduzione del libro esplicitamente ribatteva alle affermazioni fasciste, che affermavano l'uso della violenza squadrista utile allo scopo di riportare il paese a una situazione di legalità e normalità col ripristino dell'autorità dello Stato dopo le violenze socialiste del biennio rosso, affermando la continuazione delle spedizioni squadriste contro gli oppositori anche dopo un anno di governo fascista. Inoltre sosteneva che il miglioramento delle condizioni economiche e finanziarie del paese, che stava lentamente riprendendosi dalle devastazioni della guerra, era dovuto non all'azione fascista, quanto alle energie popolari. Tuttavia, ancora secondo Matteotti, a beneficiarne sarebbero stati solo gli speculatori ed i capitalisti, mentre il ceto medio e proletario ne avrebbe ricevuto una quota proporzionalmente bassa a fronte dei sacrifici.[12]

La contestazione delle elezioni del 1924

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924.

Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile. Mentre dai banchi fascisti si levavano contestazioni e rumori che lo interrompevano più volte (un deputato fascista, Giacomo Suardo, abbandonò l'aula per protesta) Matteotti, denunciando una nuova serie di violenze, illegalità ed abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni, pronunciava un discorso che sarebbe rimasto famoso:

«[...] Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. [...] L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. [...] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... [...] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse[13][14]

Giacomo Matteotti, nell'ultima fotografia scattata prima dell'omicidio

Terminato il discorso disse ai suoi compagni di partito:

«Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.[15]»

In un'altra occasione aveva pronunciato una frase che si sarebbe rivelata profetica:

«Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai[16]»

La proposta di Matteotti di far invalidare l'elezione almeno di un gruppo di deputati - secondo le sue accuse, illegittimamente eletti a causa delle violenze e dei brogli - venne respinta dalla Camera con 285 voti contrari, 57 favorevoli e 42 astenuti.[17] Renzo De Felice ha definito "assurda"[18] l'interpretazione di questo discorso come una richiesta di Matteotti basata su una realistica possibilità di ottenere un successo: secondo lo storico, Matteotti non mirava realmente all'invalidamento del voto, bensì a dare il via dai banchi del parlamento ad un'opposizione più aggressiva nei confronti del fascismo[19], accusando in un colpo solo sia il governo fascista che i "collaborazionisti" socialisti[20]. Una volontà di opposizione intransigente che aveva già espresso in una lettera a Turati precedente alle elezioni:

«Innanzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell'arbitrio dev'essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all'Italia un regime di legalità e libertà, (...) Perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano."[21]»

In questa sua intransigenza - tuttavia - Matteotti non riusciva a trovare un collegamento con l'operato e l'ideologia dei comunisti, che vedevano tutti i governi borghesi uguali fra loro e quindi da combattere indifferentemente:

«Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell'altro.[22]»

Il discorso del 30 maggio - secondo lo storico Giorgio Candeloro - "diede a Mussolini e ai fascisti la sensazione precisa di avere di fronte in quella Camera un'opposizione molto più combattiva di quella esistente nella Camera precedente e non disposta a subire passivamente illegalità e soprusi".[23]

Il rapimento e l'omicidio

La Lancia Lambda sulla quale fu forzatamente caricato Matteotti durante il rapimento

Il 10 giugno 1924, intorno alle ore 16.15, Matteotti uscì di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio, dove aveva trascorso parte della mattinata nella Biblioteca della Camera, decidendo di percorrere il lungotevere Arnaldo da Brescia (per poi tagliare verso Montecitorio), piuttosto che incamminarsi lungo la via Flaminia per poi raggiungere il Corso attraverso gli archi di Porta del Popolo. Qui, secondo le testimonianze dei due ragazzini presenti all'evento,[24] era ferma un'auto con a bordo alcuni individui, poi in seguito identificati come i membri della polizia politica: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo.

Due degli aggressori, appena si accorsero del parlamentare social-unitario, gli balzarono addosso. Ciononostante Matteotti riuscì a divincolarsi buttandone uno a terra e rendendo necessario l'intervento di un terzo che lo stordì colpendolo al volto con un pugno. Gli altri due intervennero per caricarlo in macchina. In seguito i due ragazzini identificarono anche la vettura, da altri testimoni descritta semplicemente come "un'automobile, nera, elegante, chiusa",[25] per una Lancia Kappa[26]. I due ragazzini, avvicinatisi al veicolo, furono allontanati rudemente, poi la macchina ripartì ad alta velocità.

Nel frattempo all'interno della vettura scoppiò una rissa furibonda[27] e dall'abitacolo della vettura Matteotti riuscì a gettare fuori il suo tesserino da parlamentare che fu ritrovato da due contadini presso il Ponte del Risorgimento.[28] Non riuscendo a tenerlo fermo Giuseppe Viola, dopo qualche tempo, estrasse un coltello e colpì Matteotti sotto l'ascella e al torace uccidendolo dopo un'agonia di diverse ore[29]. Per sbarazzarsi del corpo i cinque girovagarono per la campagna romana, fino a raggiungere verso sera la Macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano, a 25 km da Roma. Qui, servendosi del cric dell'auto, seppellirono il cadavere piegato in due. Poi ritornarono a Roma dove lasciarono la vettura in un garage privato. Subito informarono Filippelli e De Bono degli avvenimenti e poi si allontanarono cercando di nascondersi.[30].

Le ricerche e le indagini

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Secessione dell'Aventino.

L'assenza di Matteotti in Parlamento non fu immediatamente notata[31], ma già il giorno dopo, 11 giugno, la notizia della scomparsa era sui giornali. Più tardi Mussolini sostenne di aver appreso della morte di Matteotti soltanto la sera dell'11 giugno e di esserne stato, fino ad allora, del tutto ignaro[32].

Sopralluogo di polizia sul Lungotevere Arnaldo da Brescia

Il 12 giugno Mussolini rispose ad un'interrogazione parlamentare posta dal deputato Enrico Gonzales:

«Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell'onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l'ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento»

(Mussolini in risposta all'interrogazione parlamentare del deputato Enrico Gonzales[33])

Intanto, due giorni dopo il rapimento fu individuata l'auto che risultò proprietà del direttore del Corriere Italiano Filippo Filippelli grazie alla testimonianza di Ester Erasmi e del marito Domenico Villarini che, insospettiti da strani movimenti avvenuti la sera prima, avendo notato la vettura sospetta, si erano annotati la targa.[34] Da questo importante episodio nacquero le prime indagini, intentate dal magistrato Mauro Del Giudice, intransigente giurista, difensore dell'indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo, il quale, assieme al giudice Umberto Guglielmo Tancredi, fin dall'inizio individuò in Dumini la mano dell'assassino. In breve tutti i rapitori furono identificati ed arrestati, ma dopo pochissimo e dietro diretto interesse del Duce, l'incarico gli venne tolto e le indagini vennero fermate. Fu questa comunque l'occasione in cui Cesare Rossi deporrà il suo memoriale. Del Giudice invece fu successivamente allontanato dalla capitale e qualche anno dopo, portato al pensionamento forzato.

Il 17 giugno Mussolini impose le dimissioni a Cesare Rossi e ad Aldo Finzi che erano indicati dall'opinione pubblica[35] e anche dalle indagini del magistrato Del Giudice, come i più coinvolti a causa delle note frequentazioni con gli uomini di Dumini[36]. Fu dimissionato anche il capo della polizia Emilio De Bono e il giorno seguente anche Mussolini rinunciò alla guida del ministero dell'interno che affidò a Luigi Federzoni.

I socialisti unitari vicini a Filippo Turati nel frattempo diramarono un comunicato stampa che accusava il governo:

«L'autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l'ambiente da cui i delinquenti emersero.»

(Comunicato del Partito socialista unitario[37])

Il 22 giugno, si costituirono spontaneamente il Segretario amministrativo del PNF Giovanni Marinelli, ricercato come mandante del sequestro e il vicesegretario politico Cesare Rossi, dopo essere stati latitanti. Cesare Rossi si recò direttamente al carcere di Regina Coeli invece che in Questura, "per evitare la curiosità dei giornalisti, gli obiettivi fotografici e il trasporto a Regina Coeli" [38]. Lo stesso giorno, a Bologna, fu convocata da Dino Grandi un'imponente adunata in sostegno a Mussolini cui parteciparono circa cinquantamila fascisti.

Il 24 giugno fu riunito il Senato che, a larga maggioranza, riconfermò la fiducia a Mussolini con 225 voti favorevoli su 252[39]. Gli unici tre senatori a denunciare le responsabilità di Mussolini, nonostante le minacce ricevute, furono Carlo Sforza, Mario Abbiate e Luigi Albertini [40].

Il 27 giugno 1924[41] i parlamentari dell'opposizione si riunirono in una sala di Montecitorio, oggi nota come sala dell'Aventino, decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito dell'omicidio Matteotti.

Il giorno dopo alcuni parlamentari socialisti si recarono in pellegrinaggio sul luogo in cui Matteotti era stato rapito dove deposero una corona d'alloro. Lo stesso giorno Filippo Turati commemorò Matteotti alla Camera. Questo discorso fu da alcuni storici considerato come l'inizio effettivo[42] della Secessione dell'Aventino. L'obiettivo era quello di ottenere la caduta del governo e poter andare a nuove elezioni[43]

L'8 luglio il governo, approfittando dell'assenza dell'opposizione, varò nuovi regolamenti restrittivi relativi alla stampa, rafforzati due giorni dopo dall'obbligo per ciascun giornale di nominare un direttore responsabile. Costui poteva essere diffidato se contravveniva le leggi e il giornale messo in condizione di non poter più pubblicare. Il 24 luglio Roberto Farinacci in una lettera dichiarò di accettare l'incarico di avvocato della difesa nella causa contro Dumini e compagni che aveva precedentemente rifiutato[44].

Il ritrovamento del corpo e funerali

Ovidio Caratelli, il brigadiere dei Carabinieri che rinvenne il cadavere di Matteotti

Nonostante le ricerche continuassero il corpo di Matteotti fu ritrovato per caso solo il 16 agosto, tra le 7:30 e le 8 del mattino, dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza, Ovidio Caratelli, nella macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano.

Trasporto del corpo di Matteotti al Cimitero di Riano
18 agosto 1924 - I cognati di Matteotti alla Quartarella intervenuti per il riconoscimento del cadavere
18 agosto 1924 - i deputati socialisti unitari Enrico Gonzales, Filippo Turati e Claudio Treves alla Quartarella per rendere onore alla salma di Matteotti.

Il corpo fu trasferito momentaneamente nel cimitero di Riano dove il 18 si procedette all'identificazione da parte dei cognati. Il cadavere era ormai in avanzata fase di decomposizione quindi fu necessaria una perizia odontoiatrica.

Il 20 agosto, alle ore 18, quindi solo quattro giorni dopo il ritrovamento, partiva da Monterotondo (paese a 15 chilometri circa da Riano) il treno che avrebbe riportato a Fratta Polesine la bara con la salma di Matteotti.

Il convoglio, che procedette tra migliaia di persone assiepate ai bordi della ferrovia per omaggiare in silenzio la salma del deputato, arrivò a destinazione alle prime ore dell'alba del 21 agosto[45].

Mussolini ordinò al ministro degli Interni Luigi Federzoni che i funerali si tenessero direttamente a Fratta Polesine, città natale di Matteotti, in modo da non dare troppo nell'occhio[46].

La vedova di Matteotti il giorno prima dei funerali scrisse al ministro dell'Interno Federzoni chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del PNF e della Milizia:

«Chiedo che nessuna rappresentanza della Milizia fascista sia di scorta al treno: nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina, che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti; indi, nessuna vettura-salon, nessun scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio; ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall'orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d'ordine, sia esso affidato solamente a soldati d'Italia.»

(Lettera di Velia Matteotti pubblicata su il Corriere della Sera del 20 agosto 1924[47])

La popolazione del piccolo centro partecipò numerosa al funerale di colui che era affettuosamente chiamato il "Capo dei lavoratori". Il 12 settembre 1924 a Roma, Giovanni Corvi, al grido di "Vendetta per Matteotti!", uccise il deputato fascista Armando Casalini.[48] Dopo i funerali, il corpo di Matteotti venne sepolto nella tomba di famiglia del cimitero del suo comune natale.

La responsabilità diretta di Mussolini

Fin dai primissimi momenti successivi al sequestro e, ancor più dopo la scoperta che il rapimento era degenerato in omicidio, presso la gran parte della pubblica opinione si diffuse la convinzione che Mussolini fosse il responsabile ultimo dei fatti. Mussolini stesso, il 31 maggio 1924, giorno seguente al discorso del deputato socialista alla Camera di denuncia dei brogli elettorali, scrisse sul Il Popolo d'Italia che la maggioranza era stata troppo paziente e che la mostruosa provocazione di Matteotti meritava qualcosa di più concreto di una risposta verbale.

Già «venerdì 13 giugno l'Avanti! titola a tutta pagina: Un fosco delitto antisocialista. L'angosciosa attesa sulla sorte dell'on. Matteotti rapito martedì in pieno giorno a Roma. Assassinato? (...) Il 14 giugno il giallo è già praticamente risolto. Il delitto di Roma – titola l'Avanti!solleva l'indignazione di tutta l'opinione pubblica. Ormai è certo: l'on. Giacomo Matteotti è stato assassinato e il suo cadavere nascosto. I nomi degli esecutori del delitto sono noti, ma chi sono i mandanti?»[49].

Secondo una delle ricostruzioni, accreditata dal Ministero dell'interno italiano[50] e da Silvio Bertoldi[51], il presidente del Consiglio, rientrato al Viminale[52] dopo il famoso discorso del deputato socialista si rivolse a Giovanni Marinelli (a capo, insieme a Rossi, della polizia segreta fascista Ceka, capitanata dallo squadrista Amerigo Dumini) urlandogli: «Cosa fa questa Ceka? Cosa fa Dumini? Quell'uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare [...] ».[53]

Il fatto che queste parole fossero effettivamente una chiara e ben compresa autorizzazione di Mussolini, è sostenuto dalla maggior parte delle teorie storiografiche[54][55][56].

Tale esplicita intenzione e la conseguente responsabilità diretta di Mussolini quale mandante dell'omicidio è messa in dubbio da quella parte degli storici più vicina alle posizioni allora sostenute dal partito fascista, giocando sulla sottigliezza delle parole di Mussolini. Esse sarebbero state arbitrariamente intese da Marinelli come un ordine, in base al quale questi avrebbe autorizzato poi Dumini a uccidere Matteotti.

I "memoriali" Filippelli e Rossi

Cappella funeraria della Famiglia Matteotti a Fratta Polesine, dov'è tumulata la salma.

Due memoriali accusavano Mussolini come mandante del delitto Matteotti. Il primo di Filippo Filippelli, coinvolto nel delitto per aver fornito ai sequestratori la Lancia Lambda su cui il deputato socialista era stato rapito ed ucciso[57]. In esso Filippelli accusava Amerigo Dumini, Cesare Rossi ed Emilio De Bono e lo stesso Mussolini in qualità di mandante. Si citava inoltre l'esistenza di un organismo di polizia politica interno al Partito nazionale fascista, la cosiddetta "Ceka" fascista (come la polizia politica sovietica), diretta dal Rossi, dal quale sarebbe stato organizzato l'assassinio su indicazione di Mussolini [58].

Il secondo, di analogo contenuto, del Cesare Rossi, su cui Mussolini stava tentando di rovesciare ogni responsabilità. Rossi, infuriato per essere stato usato come capro espiatorio, prima di costituirsi il 22 giugno, aveva scritto un memoriale che fu poi pubblicato sul giornale Il Mondo di Giovanni Amendola. Nel memoriale Rossi raccontava quali fossero le attività del gruppo di squadristi a cui veniva affidata l'esecuzione di rappresaglie e di vendette politiche. Questo gruppo era la citata "Ceka", antesignana dell'OVRA. Il documento era composto da 18 cartelle di appunti. Rossi, oltre a proclamare la propria estraneità rispetto al delitto Matteotti e ad altre azioni violente e a delitti perpetrati dal regime, accusò direttamente Mussolini per l'omicidio del leader socialista. Nel documento scrisse infatti che Mussolini gli avrebbe detto "Quest'uomo non deve più circolare”, in seguito all'intervento parlamentare di Matteotti del 30 maggio 1924, nel quale si denunciavano i brogli elettorali e le violenze del 6 aprile. Sempre secondo Rossi, Mussolini aveva approvato e spesso ordinato direttamente i delitti compiuti da quella organizzazione.[59]

L'ex capo della polizia Emilio De Bono confermò la presenza di Dumini presso il Viminale, sede del Ministero dell'Interno, di cui era titolare Mussolini:

«Io ebbi varie volte occasione di fare presente al presidente del Consiglio la inopportunità della presenza del Dumini negli ambienti del Viminale. Io devo ritenere che S.E. il presidente facesse cenno di questo a Cesare Rossi, perché il Dumini scompariva per qualche giorno (almeno così mi si diceva, giacché, ripeto, io il Dumini non lo vedevo mai), ma poi vi ritornava. Le sue assenze corrispondevano in massima a quando si verificavano atti di violenza sia a Roma che fuori; e certo anche questo ha contribuito a riaffermarmi nell'idea che il Dumini fosse compromesso nel delitto Matteotti.»

(Emilio De Bono nella sua deposizione[60])

Il memoriale Filippelli apparve invece sulla rivista antifascista fiorentina Non mollare, diretta da Carlo Rosselli, nel febbraio 1925.

Rapporti tra Mussolini, Dumini e Otto Thierschwald

Amerigo Dumini, il capo della banda di sequestratori ed uccisori di Matteotti

È storicamente accertato che autori dell'aggressione a Matteotti furono Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo e Augusto Malacria[61]. La squadra speciale capitanata dal Dumini (cosiddetta "Ceka") era formata anche da Filippo Panzieri, Aldo Putato e da Otto Thierschwald, di nazionalità austriaca[61].

L'intenzionalità del delitto Matteotti sarebbe dimostrata dal fatto che, Amerigo Dumini, in data 31 maggio 1924 - giorno successivo al discorso di denuncia di Giacomo Matteotti alla Camera - scrisse al direttore del carcere Poggioreale di Napoli di rilasciare il detenuto Otto Thierschwald. Essendo austriaco, Thierschwald parlava perfettamente il tedesco. Il 2 giugno successivo Dumini lo incontrò a Roma e gli dette istruzioni di pedinare Matteotti[62] e di seguirlo in Austria dove l'uomo politico avrebbe partecipato ad un congresso socialista. Pochi giorni dopo (il 5 giugno), fu improvvisamente concesso a Matteotti il permesso per recarsi a Vienna, sino ad allora costantemente negato. Nella capitale austriaca era stata preparata una trappola mortale per Matteotti, il cui assassinio sarebbe dovuto apparire come una faida interna al movimento socialista. L'organizzazione del delitto quindi era già stata avviata alcuni giorni prima del 10 giugno, se non che Matteotti preferì rinunciare al suo viaggio a Vienna: da ciò sarebbe nata l'improvvisazione oggetto delle argomentazioni di chi nega ogni premeditazione.[63]

Amerigo Dumini, nel "processo farsa" intentatogli dal regime (vedi appresso) fu condannato per omicidio "preterintenzionale" a cinque anni, undici mesi e venti giorni, di cui quattro condonati in seguito all'amnistia generale del 1926. Poco dopo la sua scarcerazione si presentò alla presidenza del Consiglio pretendendo di parlare con Mussolini: «Sono qui per lavarmi dal sangue di Matteotti». Per questo episodio, il Tribunale di Viterbo lo condannò, il 9 ottobre 1926, a quattordici mesi di detenzione per porto abusivo d'armi e oltraggio a Mussolini. Tuttavia, nel 1927 era di nuovo libero, per grazia sovrana, e si trasferì poi in Somalia nell'estate 1928[64], con una pensione garantita di cinquemila lire al mese, che per l'epoca era una somma altissima. Anche qui però Dumini riprese a delinquere e in ottobre venne nuovamente arrestato, rispedito in Italia e condannato a cinque anni di confino[64]. Tra gli altri luoghi, scontò parte del confino alle Isole Tremiti.
Nel 1933, di nuovo in carcere, fece sapere a Emilio De Bono di aver consegnato a dei notai texani un manoscritto con la verità sul delitto Matteotti. Il ricatto ancora una volta funzionò e venne posto di nuovo in libertà su ordine di Mussolini[64], con un indennizzo di cinquantamila lire.

Su proposta del capo della polizia Bocchini, nella primavera del 1934 Dumini si trasferì in Cirenaica, dove si diede all'attività di imprenditore agricolo e commerciale, ricevendo ingenti finanziamenti dal governo italiano, ammontanti, fra il 1935 e il 1940, a più di due milioni e mezzo di lire[64].

A supporto dell'ipotesi di un diretto coinvolgimento del Duce nel delitto Matteotti ci sarebbe, quindi, la pressoché immediata scarcerazione, dopo la condanna penale, del capo della squadra responsabile dell'assassinio del deputato socialista e il sostegno economico e politico fornitogli, a fronte delle sue minacce ricattatorie di divulgare il ruolo di Mussolini nella decisione dell'omicidio.

Assunzione della responsabilità di Mussolini stesso

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Discorso del 3 gennaio 1925.

Il 3 gennaio 1925, alla Camera, Mussolini respinse inizialmente l'accusa di un suo coinvolgimento diretto nel delitto Matteotti, sfidando anzi i Deputati a tradurlo davanti alla Suprema Corte in forza dell'articolo 47 dello Statuto Albertino.[65] Successivamente, con un improvviso cambio di tono, si assunse personalmente, in due vicini passaggi del suo discorso, la responsabilità sia dei fatti avvenuti e sia di aver creato il clima di violenza in cui tutti i delitti politici compiuti in quegli anni erano maturati, trovando anche parole per riaffermare, di fronte ad alleati ed avversari, la sua posizione di capo indiscusso del fascismo:

«Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.»

(Benito Mussolini, discorso alla Camera, 3 gennaio 1925[66])

Infine Mussolini denunciò l'Aventino come sedizioso e concluse con una dichiarazione minacciosa verso l'opposizione:

«State certi che entro quarantott'ore la situazione sarà chiarita su tutta l'area.»

(Benito Mussolini, discorso alla Camera, 3 gennaio 1925)

Nella notte Luigi Federzoni, ministro dell'Interno, inviò ai prefetti due telegrammi riservati che traducevano in pratica i propositi autoritari di Mussolini. Le disposizioni invitavano, in particolare, le autorità ad esercitare la sorveglianza più vigile su circoli, associazioni, esercizi pubblici che potessero costituire pericolo per l'ordine pubblico e, se del caso, ad attuarne la chiusura forzata. Le autorità erano altresì autorizzate ad avvalersi senza scrupoli del fermo temporaneo nei confronti degli oppositori politici. Inoltre i prefetti venivano invitati ad applicare con rigore assoluto il decreto legge atto a "reprimere gli abusi della stampa periodica", approvato durante il Consiglio dei ministri del 7 luglio 1924, ma fino a questo momento usato quasi esclusivamente nei confronti della stampa di ispirazione comunista. Il decreto conferiva ai prefetti, ossia al governo, il potere di diffidare o addirittura sequestrare il giornale che diffondesse "notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico".

Una successiva circolare interpretativa del ministro Federzoni aveva subito sgombrato il campo dagli equivoci: il giornale poteva essere sequestrato anche se la notizia pubblicata si fosse rivelata vera. Era evidente, pertanto, lo scopo illiberale e dittatorio che il provvedimento doveva raggiungere: l'annientamento, grazie ai continui sequestri, di tutta la stampa d'opposizione. Nell'arco di una settimana il Ministro dell'Interno poté illustrare in sede di Consiglio dei ministri i risultati raggiunti dai provvedimenti adottati nella notte fra il 3 ed il 4 gennaio: i prefetti si avvalevano senza esitazione dei poteri che gli erano stati attribuiti, centinaia di persone erano state arrestate. Lunga era anche la lista di locali ed associazioni che erano stati chiusi usando qualsiasi pretesto. Il 14 gennaio la Camera approvò in blocco e senza discussione moltissimi decreti legge emanati dal governo, poi denominati leggi fascistissime. Il discorso di Mussolini costituì quindi un atto di forza, con cui convenzionalmente si fa iniziare la fase dittatoriale del fascismo.[67]

Successivamente Mussolini ebbe a dire del rapimento e poi del delitto che era «una bufera che mi hanno scatenato contro proprio quelli che avrebbero dovuto evitarla» (alla sorella Edvige)[68] in chiaro riferimento ad alcuni suoi collaboratori (De Bono, Finzi, Marinelli e Rossi, con frequentazioni massoniche).[69] In un'altra occasione ebbe a definire il delitto «un cadavere gettato davanti ai miei piedi per farmi inciampare».[70] Nel discorso alla Camera del 13 giugno Mussolini gridò:

«Solo un nemico che da lunghe notti avesse pensato a qualcosa di diabolico contro di me, poteva effettuare questo delitto che ci percuote di orrore e ci strappa grida di indignazione.»

Procedimenti giudiziari

I processi farsa durante il regime

Il primo procedimento fu sostanzialmente una farsa e si svolse dal 16 marzo al 24 marzo 1926 a Chieti (istruito fra il 1925 e il 1926) contro gli squadristi materialmente responsabili del rapimento e dell'omicidio: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Di questi, Dumini, Volpi e Poveromo furono condannati per omicidio preterintenzionale[71] alla pena di anni 5, mesi 11 e giorni 20 di reclusione, nonché all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre per Panzeri, che non partecipò attivamente al rapimento, Malacria e Viola ci fu l'assoluzione. Il collegio di difesa degli imputati, a seguito di richiesta di Dumini, venne guidato da Roberto Farinacci, a quel tempo segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista. L'enfasi di Farinacci nella difesa degli imputati fu tale da indurre Mussolini, che viceversa aveva chiesto un processo senza molto clamore, a costringerlo alle dimissioni dalla carica nazionale una settimana dopo la sentenza del processo.[72] Inoltre, già nel 1924, nei giorni immediatamente successivi ai drammatici fatti, era stato aperto un procedimento davanti dall'Alta Corte di Giustizia del Senato nei confronti dell'allora capo della Pubblica Sicurezza e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), il quadrumviro Emilio De Bono, costretto alle dimissioni da Mussolini, per il quale era stato poi ravvisato il non luogo a procedere.[73]

Il secondo dopoguerra

Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica, nel 1947, in seguito al Decreto Luogotenenziale del 27.7.1944 n.159 (che rendeva potenzialmente nulle le condanne avvenute in epoca fascista superiori ai tre anni), la Corte d'Assise di Roma re-istruì il processo nei confronti di Giunta, Rossi, Dumini, Viola, Poveromo, Malacria, Filippelli, Panzeri (Giovanni Marinelli ed Emilio de Bono erano stati fucilati a Verona dagli stessi fascisti).

Con la revisione del processo, Dumini, Viola e Poveromo furono condannati all'ergastolo (poi commutato in 30 anni di carcere), Cesare Rossi venne assolto per insufficienza di prove, mentre per gli altri imputati si ravvisò il non luogo a procedere a causa dell'amnistia Togliatti disposta dal Dpr 22.6.1946 n.4. Solo sei anni dopo il Dumini verrà amnistiato. In nessuno dei tre processi venne mai accertata la responsabilità diretta di Mussolini[74], ma tutti coloro che sono stati riconosciuti implicati nell'omicidio furono esponenti o sostenitori del regime fascista.

Ricostruzioni alternative

Roma, stele commemorativa per Giacomo Matteotti vicina al monumento

La vicenda delle tangenti della Sinclair Oil

Il dossier Matteotti

Giacomo Matteotti aveva con sé una borsa quando fu sequestrato. Se ne impossessò Amerigo Dumini. Quand'egli venne arrestato, la borsa passò al capo della Polizia, Emilio De Bono, che la conservò per vent'anni. Come successivamente sostenuto da Renzo De Felice, tale borsa avrebbe contenuto preziosi documenti sui rapporti tra re Vittorio Emanuele III e la compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil[75]. Nel gennaio 1944 Emilio De Bono fu processato a Verona con l'accusa di alto tradimento (era prevista la pena capitale). Per cercare di evitare la condanna, il militare consegnò a Benito Mussolini le carte di Matteotti. Secondo le ricostruzioni di Renzo De Felice, Marcello Staglieno, Fabio Andriola e Matteo Matteotti, i documenti del dossier Matteotti sarebbero stati custoditi da Mussolini e furono inventariati fra quelli sequestrati dai partigiani a Dongo al momento della cattura di quest'ultimo il 27 aprile 1945[76]. Anche Guglielmo Salotti avvalora, con maggior prudenza, questa ricostruzione. Tuttavia, tra i documenti sequestrati, quelli di Matteotti sarebbero andati perduti ed ogni sforzo di De Felice di recuperarli presso gli archivi o il Ministero dell'interno risultò vano.

Per quasi tutto il XX secolo gli storici ritennero che la principale causa del delitto Matteotti fosse stato il suo discorso di denuncia pronunciato alla Camera il 30 maggio 1924. L'ipotesi di un delitto legato alla scoperta di un affare illecito non fu esclusa da Renzo De Felice (le insistenti voci di un delitto affaristico “non possono essere lasciate cadere a priori”),[77] ma rimase sempre sullo sfondo. Successive ricostruzioni hanno tuttavia dato maggiore peso a tale ipotesi.

«Il Nuovo Paese», venerdì 13 giugno 1924, prima pagina. Il quotidiano filo-fascista ammette indirettamente un legame tra il delitto Matteotti e l'«affare Sinclair».

Lo storico statunitense Peter Tompkins nel volume Dalle carte segrete del Duce (2001), aderisce alla tesi secondo cui Giacomo Matteotti sarebbe stato assassinato, oltre che per l'incisiva denuncia delle irregolarità e delle violenze compiute dai fascisti nelle elezioni politiche del 1924, anche perché in possesso di documenti attestanti le tangenti versate dalla compagnia petrolifera Sinclair Oil Company ai ministri Gabriello Carnazza e Orso Maria Corbino, entrambi massoni di Piazza del Gesù[78].

Negli anni ottanta un ricercatore fiorentino, Paolo Paoletti, ritrovò nell'Archivio Nazionale di Washington una lettera redatta da Amerigo Dumini nel 1933. In quell'anno Dumini, temendo di essere eliminato dal regime, aveva scritto e fatto pervenire ad alcuni legali negli Stati Uniti d'America una lettera-testamento, con l'ordine di renderla pubblica solo nell'eventualità del suo assassinio[79]. In tale documento egli ammetteva di avere ricevuto l'ordine di uccidere Matteotti poiché nei vertici del fascismo si temeva che il deputato socialista, nel discorso annunciato per l'11 giugno 1924 in Parlamento, avrebbe denunciato il pagamento di tangenti dalla Sinclair Oil al governo italiano, in cui – avrebbe dichiarato Dumini - era coinvolto Arnaldo Mussolini, il fratello del Duce. Paoletti pubblicò la lettera-testamento sulla rivista «Il Ponte»[80].

Secondo ulteriori ricerche, apparse alla fine degli anni novanta, Benito Mussolini avrebbe dato l'ordine di assassinare il deputato socialista[81] per impedire che Matteotti denunciasse alla Camera il grave caso di corruzione esercitato dalla compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil (fungente in quell'occasione da battistrada degli interessi della più potente Standard Oil of New Jersey) nei confronti dello stesso Mussolini e di alcuni gerarchi fascisti a lui vicini.

Il governo italiano, infatti, poche settimane prima del delitto, aveva concesso alla società petrolifera statunitense Sinclair Oil of New Jersey (al tempo sostenuta economicamente da alcuni dei principali gruppi finanziari di New York, tra cui la banca del magnate John Davison Rockefeller, fondatore della Standard Oil[82] originale, divisa nel 1911, e azionista della Standard of New Jersey) l'esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento per 50 anni di tutti i giacimenti petroliferi presenti in Emilia e in Sicilia (RDL n.677 del 4 maggio 1924). Le richieste della compagnia petrolifera per poter effettuare scavi in ulteriori territori della penisola prevedevano condizioni estremamente vantaggiose per la Sinclair stessa, come la durata novantennale delle concessioni e l'esenzione da imposte.

Da parte del governo italiano vennero scelti come mediatori per l'accordo un insieme di politici, imprenditori e diplomatici (tra cui i ministri dell'economia nazionale Orso Mario Corbino e dei lavori pubblici Gabriello Carnazza) strettamente collegati tra di loro da imprese commerciali (molte delle quali attive proprio in Sicilia), conflitti di interesse e legami con diversi gruppi finanziari ed aziendali statunitensi (tra cui la casa Morgan, uno dei finanziatori della Sinclair Oil). I responsabili italiani, seppur con pareri leggermente diversi e nonostante le condizioni palesemente vantaggiose per la Sinclair, appoggiarono all'unanimità l'idea dell'accordo. La possibile presenza della Sinclair Oil sul mercato italiano destò la preoccupazione della Anglo-Iranian Oil Company (controllata dal governo del Regno Unito), anch'essa interessata allo sfruttamento di possibili giacimenti.[83]

Sulla scia dell'interpretazione di Mauro Canali risalente al 1997, anche il giornalista ed ex dirigente dell'ENI Benito Li Vigni in un successivo saggio del 2004, Le guerre del petrolio, in cui dedica alcuni capitoli alla situazione del mercato petrolifero nell'Italia degli anni venti, collega l'affare Sinclair con la morte di Matteotti. Agli inizi degli anni venti l'80% del fabbisogno di idrocarburi italiano era garantito dalla Standard Oil, tramite la controllata Società Italo-Americana pel Petrolio (S.I.A.P.), mentre la restante quota era fornita dalla filiale italiana della Royal Dutch Shell. Secondo Mauro Canali, la Standard Oil avrebbe stipulato un accordo sottobanco con la Sinclair Oil, delegando ad essa l'operazione in Italia diretta anche a bloccare la temuta espansione del Regno Unito sul mercato italiano.

Il Regno Unito, che possedeva numerosi pozzi petroliferi in Medio Oriente, aveva valutato la posizione geografica dell'Italia (inserita al centro del bacino del Mediterraneo) come molto vantaggiosa per il trasporto del greggio. Il governo britannico avviò contatti con lo Stato italiano per la costruzione di una raffineria e di un centro di stoccaggio del greggio sulla penisola. Contestualmente gli inglesi si interessarono all'eventuale presenza di giacimenti di petrolio in Italia[84].

La Standard Oil, timorosa che i progressi dell'azienda petrolifera del Regno Unito nel mercato italiano potessero essere coronati da successo, avrebbe deciso di intervenire in Italia direttamente. Nel febbraio del 1923 gli americani proposero al governo italiano una convenzione per la ricerca del petrolio italiano, senza successo, e, successivamente, associandosi con la Banca Commerciale Italiana e richiedendo i permessi per esplorazioni in diversi territori, tra cui la Sicilia, dove erano ancora pendenti le richieste della Sinclair. A conferma di questa tesi Mauro Canali documenta come Filippo Filippelli (personaggio molto influente, legato economicamente ad Arnaldo Mussolini di cui gestiva le fonti di finanziamento, fondatore del «Corriere Italiano», giornale a cui peraltro era stato intestato il noleggio dell'auto con cui venne prelevato Matteotti) pochi giorni prima della stipula della concessione, avesse ricevuto una prima rata di alcuni milioni di lire, a cui ne avrebbero dovute seguire altre, dalla Società Italo-Americana pel Petrolio, ovvero proprio la filiale italiana della Standard Oil[85].

Il Governo italiano nella primavera del 1924 accelerò la stipula degli accordi con la Sinclair Oil, che furono firmati il 29 aprile e ratificati dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento pochi giorni dopo[83] In cambio di tangenti, la Sinclair avrebbe inoltre ottenuto di non permettere a un ente petrolifero statale di intraprendere trivellazioni nel deserto libico.[86][87]

Roma, monumento a Giacomo Matteotti al Lungotevere Arnaldo da Brescia (Jorio Vivarelli, 1947).

Il Governo del Regno Unito (che aveva ottenuto i dettagli dell'accordo tra Sinclair Oil e governo italiano fin da prima che questi venissero ratificati ufficialmente e resi pubblici) percepì la concessione come un attacco diretto ai propri interessi e sui media del Regno Unito del tempo questo accordo venne pesantemente criticato. Proprio durante quest'accesa campagna di stampa contro l'operato dell'Italia, Matteotti effettuò un viaggio in forma privata a Londra: secondo Mauro Canali, il politico socialista avrebbe acquisito (da fonti vicine al Partito laburista)[84] le carte che provavano la corruzione del Governo italiano nell'affare Sinclair, o per lo meno avrebbe completato le informazioni già in suo possesso. Li Vigni, a sua volta, fa notare che la tesi in base alla quale le informazioni sulla corruzione provenissero dal Regno Unito, venne citata, dopo la morte dell'uomo politico, sia dai quotidiani statunitensi sia dalle stesse fonti vicine al partito fascista (l'articolo non firmato La grande piovra del «Popolo d'Italia», sull'edizione del 10 agosto 1924), in questo caso incolpando "la mano stessa che forniva a Londra all'on. Matteotti i documenti mortali (petroli - prestito polacco - buoni germanici ecc.)" di essere anche la mandante dell'omicidio[84].

La tesi che legava l'omicidio di Matteotti al timore del rivelamento della corruzione venne ampiamente sostenuta dalla stampa del Regno Unito, soprattutto da quella vicina ai Laburisti: proprio l'organo di partito del Labour, il «Daily Herald», accusò apertamente Arnaldo Mussolini di essere tra i politici destinatari di una tangente di 30 milioni di lire pagata dalla Sinclair Oil per ottenere la concessione[83]. Sulla rivista English Life venne pubblicato postumo un articolo di Matteotti[88] in cui il deputato affermava di avere la certezza che vi era stata corruzione tra la Sinclair Oil e alcuni esponenti del governo, di cui avrebbe potuto rivelare l'identità[89].
Mussolini decise di cancellare gli accordi con la Sinclair Oil nel novembre del 1924, anche a causa delle contrastanti opinioni emerse nella commissione parlamentare che doveva approvare la convenzione[90].

Le reazioni di politici non "aventiniani"

A parte le violentissime accuse a Mussolini da parte delle opposizioni, alcune alte personalità liberali, a partire da Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi e Benedetto Croce, non ritennero Mussolini quale mandante, almeno inizialmente. Subito dopo un discorso di Mussolini (26 giugno 1926) alla Camera fu anzi lo stesso senatore Croce, a Palazzo Madama[91], a farsi promotore di un ordine del giorno[92] a favore del governo Mussolini e, una volta che esso fu approvato attraverso il voto, definì «prudente e patriottico»[93] quel voto.

Guglielmo Salotti - nella sua biografia di Nicola Bombacci - afferma che l'anziano rivoluzionario (in seguito avvicinatosi al fascismo), avrebbe passato molto tempo nella spasmodica ricerca delle prove dell'innocenza di Mussolini. Bombacci non fece mai nomi sui mandanti dell'omicidio, ma confidò a Silvestri che:

«Purtroppo gli imputati non sono qui. Magari dopo essere stati manutengoli dei tedeschi saranno oggi al servizio degli inglesi o meglio ancora degli americani.»

Salotti ritiene invece del tutto "fantascientifica" la tesi secondo cui nell'affaire Matteotti sarebbero stati implicati i servizi segreti sovietici.[94]

Ricostruzioni di storici favorevoli a Mussolini

Il pubblicista Bruno Gatta ha elencato vari nomi di studiosi della materia, storici o testimoni (fra cui Federico Chabod, Benedetto Croce e Renzo De Felice) i quali in epoche diverse espressero dubbi sul fatto che Mussolini avesse avuto responsabilità dirette nell'omicidio Matteotti[95]. In effetti, De Felice espresse la considerazione secondo cui la rabbia di Mussolini contro il deputato socialista fosse nata solo dal 30 maggio, dopo il discorso di Matteotti teso a invalidare le elezioni[96]: "partendo appunto dall'idea che l'ira del Presidente fosse nata dopo[97] il famoso discorso alla Camera", la conclusione di questo autorevole storico sarebbe stata quella, "sostanzialmente assolutoria", secondo cui quella medesima ira avrebbe "avuto tutto sommato il tempo di sbollire fino al 10 di giugno, data dell'assassinio di Matteotti"[98], tanto più che sarebbe stata in atto - proprio in quei giorni - una complessa manovra di riavvicinamento alla sinistra.

Renzo De Felice dedica numerose pagine alle aperture mussoliniane verso sinistra prima e dopo le contestate elezioni del 1924, e bruscamente interrotte dal delitto Matteotti. In particolare al discorso parlamentare del 7 giugno 1924 (tre giorni prima del rapimento di Matteotti), nel quale lo storico individuerebbe fra le righe l'offerta "ai confederali di entrare nel governo".[99] De Felice prosegue anche nel notare che erano proprio i socialisti più intransigenti (Matteotti, Turati, Kuliscioff etc.) i più preoccupati (oltre, ovviamente, all'ala destra del fascismo) da questo possibile "spostamento a sinistra" di Mussolini.[100]

Fra le motivazioni del rapimento o comunque fra gli strascichi del delitto[101], una tra le interpretazioni sarebbe che vi fosse il tentativo del fascismo intransigente di colpire direttamente Mussolini e la sua politica di apertura a sinistra e di parziale legalità parlamentare, impedendogli un riavvicinamento con i sindacalisti di sinistra (Mussolini aveva appena chiesto ad Alceste De Ambris[102] di assumere incarichi di governo, ottenendone rifiuto) e perfino coi socialisti e la Confederazione Generale del Lavoro (CGL).[103]

Dubbio è l'episodio a discolpa di Mussolini, citato dal suo intimo amico e consigliere, il giornalista Carlo Silvestri. Silvestri — giornalista al tempo in forza al Corriere della Sera, di fede socialista e amico fraterno di Filippo Turati — era stato uno fra i grandi accusatori di Benito Mussolini in rapporto al delitto Matteotti, ma successivamente, riavvicinatosi a Mussolini, durante la Repubblica Sociale Italiana (al punto da esserne definito come l'ultimo suo amico)[104] disse di aver accentuato le proprie accuse per fini di convenienza politica.[105]

Egli sostenne che fu lo stesso Marinelli ad addossarsi la completa responsabilità e decisione dell'omicidio di Matteotti, confidandolo a Cianetti e Pareschi vent'anni più tardi, quando, nel gennaio 1944, si trovò con loro ed altri tre firmatari dell'ordine del giorno Grandi nel carcere di Verona per essere processato[106]

L'opinione della famiglia Matteotti

I figli di Matteotti, Matteo e Giancarlo, divennero anch'essi politici tra le file socialiste. Matteo Matteotti ha sempre sostenuto l'intenzionalità della morte del padre: secondo lui il fatto che i rapitori non avevano con sé né una pala né un piccone per seppellire il corpo una volta consumato il delitto, non bastava a provare che esso non fu premeditato. A sapere che Giacomo Matteotti doveva essere ucciso, sempre secondo Matteo, erano Amerigo Dumini e Amleto Poveromo; mentre ad assassinarlo furono i ripetuti colpi vibrati da Poveromo stesso[107], il quale, dopo aver chiesto a Dumini (al volante dell'auto) di uscire da Roma, seppellì sommariamente il cadavere con gli altri complici nel bosco della Quartarella (dove il 16 agosto verrà ritrovato da un brigadiere dei carabinieri) presso la via Flaminia, a 25 chilometri dalla città. Matteo Matteotti presume che fu un seppellimento volontariamente sommario: nell'auto non c'erano appunto strumenti da scavo, perché (secondo Matteo Matteotti questo lo sapevano a priori soltanto Dumini e Poveromo) in caso d'arresto l'assassinio doveva apparire omicidio preterintenzionale.

Secondo lo studio di Canali sulle tangenti della Sinclair, la vedova Velia Matteotti, e i figli Giancarlo e Matteo non accusarono mai Mussolini, neppure dopo la sua uccisione e la caduta del regime nel 1945 e - cosa altrimenti inspiegabile e straordinaria - non si costituirono parte civile nemmeno al processo del 1947, in quanto il fascismo (che però nel 1947 non esisteva più) ne aveva comprato il silenzio.

Secondo la documentazione di Canali, infatti, la famiglia Matteotti si sarebbe trovata, a seguito della morte del deputato socialista, in una situazione finanziaria drammatica ed a rischio bancarotta. Ciò avrebbe costretto la vedova ad accettare alcuni milioni dalla polizia fascista; in cambio, si sarebbe impegnata all'acquiescenza nei confronti del regime, a non espatriare e ad interrompere tutti i rapporti con il mondo antifascista esule. L'ultima prova di ravvedimento che il regime volle fu che uno dei figli, che fino ad allora erano andati tutti e tre in scuole private, si iscrivesse e frequentasse una scuola pubblica, cosa che puntualmente avvenne[108] (si trattò di Matteo, che venne iscritto al Liceo Mamiani di Roma).

I Matteotti, peraltro, pur restando intimamente antifascisti, avrebbero creduto più in una responsabilità di Casa Savoia (i fascisti avrebbero agito come sicari, mentre il duce si sarebbe assunto solo la colpa morale), mentre Canali si dichiara invece convinto della tesi sulla colpevolezza diretta di Mussolini come mandante.[109]

«I familiari di Matteotti hanno sempre sospettato che mandante dell'omicidio fosse re Vittorio Emanuele, secondo loro proprietario di quote della Sinclair. Invece, io sono giunto alla conclusione che fu proprio Mussolini, che aveva intascato tangenti direttamente da questa operazione, a ordinare l'eliminazione del suo avversario politico. Il fatto che gli statunitensi avessero individuato nella Ipsa la società con la quale Mussolini gestiva i profitti dell'estrazione del petrolio conferma un dato importante del consolidamento della sua posizione personale e del movimento fascista.»

(Mauro Canali, intervista ad Oggi 2000, n° 51, di Gennaro De Stefano[109])

L'influenza culturale

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Brigate Matteotti.

Sandro Pertini, eletto consigliere comunale di Stella, il suo paese natale, il 24 ottobre 1920, in una lista composta da esponenti dell'Unione Liberale Ligure, dell'Associazione Liberale Democratica, del Partito dei Combattenti e del Partito Popolare Italiano[110], si sarebbe iscritto al Partito Socialista Unitario, presso la federazione di Savona, il 18 agosto 1924, proprio sull'onda dell'emozione e dello sdegno per il ritrovamento, due giorni prima, del cadavere di Matteotti, che di quel partito era il Segretario.

Durante la Resistenza Italiana il PSI-PSIUP costituì le Brigate Matteotti, la cui azione più nota e clamorosa fu a Roma il 24 gennaio 1944 la liberazione dal carcere di Regina Coeli di due dei suoi principali esponenti, i futuri presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, insieme a Luigi Andreoni e ad altri quattro militanti socialisti, in un'azione dai connotati rocamboleschi ideata e diretta da Peppino Gracceva e Giuliano Vassalli[111][112][113].
L'evasione dei sette antifascisti salvò con tutta probabilità la loro vita: non v'è dubbio infatti che, se ancora detenuti alla data del 24 marzo 1944, i loro nominativi sarebbero stati inclusi nell'elenco dei Todeskandidaten (condannati a morte o colpevoli di reati passibili di condanna a morte) da fucilare per rappresaglia alle Fosse Ardeatine.

Riconoscimenti

Monumenti e musei

Sul luogo del ritrovamento del corpo di Matteotti è stato eretto un monumento in ricordo[114]. Gli sono state inoltre intitolate diverse strade e piazze in gran parte delle principali città italiane e un Premio.

Nel comune natale di Fratta Polesine è situata la tomba del deputato presso il cimitero comunale, meta ancora oggi della visita e dell'omaggio di molti cittadini e personalità della politica.

La "Casa museo Giacomo Matteotti"

Casa di Giacomo Matteotti a Fratta Polesine (RO).

Dopo la scomparsa dei figli di Matteotti la casa di famiglia nel piccolo paese del Polesine è rimasta chiusa al pubblico per molti anni e lasciata in stato di abbandono e disordine. Soltanto in anni recenti si è avviata un'importante opera di recupero di ambienti e mobili ad opera dell'Accademia dei Concordi di Rovigo, proprietaria della casa, e del Comune di Fratta Polesine, che ne ha la gestione. Nell'aprile 2012 l'abitazione viene riaperta al pubblico al termine dei lavori di restauro e trasformata in Casa Museo Giacomo Matteotti. L'edificio ospita al piano terra e al primo piano una ricostruzione fedele degli ambienti così come si presentavano negli anni venti, completi di mobili e cimeli di famiglia restaurati in maniera conservativa. Il secondo piano ospita una mostra fotografica e multimediale sulla vita e il martirio del deputato. La villa, che è il centro delle celebrazioni che ogni 10 giugno si svolgono a Fratta Polesine, è stata riconosciuta nel 2018 monumento nazionale dal Presidente della Repubblica Mattarella[115]. La Casa Museo è dotata di un Comitato scientifico che ha promosso la creazione di un sito web (www.casamuseogiacomomatteotti.it) nel quale sono stati riversati gli scritti di Matteotti (discorsi politici, testi giuridici, saggi economico-sociali, interventi sul fascismo), del fratello Matteo e della moglie Velia Titta e molte testate di giornale relative ai mesi del rapimento e dell'assassinio. Inoltre un'ampia antologia di studi sul Polesine tra secondo Ottocento e primo Novecento, cioè sull'ambiente in cui Matteotti visse ed operò.[116]

Nella cultura di massa

Letteratura

Vignetta sul delitto Matteotti nella rivista satirica antifascista Becco Giallo, 1925

Matteotti fu anche il soggetto di canzoni antifasciste, tra cui Povero Matteotti, sulle note del canto popolare di protesta Povero Cavallotti (1898 circa), che negli anni settanta fu usata come base per Povero Pinelli e Ballata per Franco Serantini.

«Povero Matteotti / te l'hanno fatta brutta
e la tua vita / te l'han tutta distrutta!...
E mentre che moriva / morendo lui dicea:
"Voi uccidete l'uomo / ma non la sua idea".
E mentre che moriva, / con tutto il suo eroismo
gridava forte forte: / "Evviva il Socialismo!"
Vigliacchi son, / l'hanno fatto assassinare!
Noialtri proletari / lo sapremo vendicare.»

(Versione di Ivan Della Mea[117])
Gabriele Galantara, Mussolini sulla bara di Giacomo Matteotti, Becco Giallo, 1925.

Significativamente una canzonetta che iniziò a circolare all'epoca, poi ribattezzata il "Canto di Matteotti", recita:

«Or, se a ascoltar mi state,
canto il delitto di quei galeotti
che con gran rabbia vollero trucidare
il deputato Giacomo Matteotti.

Erano tanti:
Viola Rossi e Dumin,
il capo della banda
Benito Mussolin.

Dopo che Matteotti avean trovato,
mentre che stava andando al Parlamento,
venne su di una macchina caricato
da quegl'ignobil della banda nera.

In mezzo a un bosco
fu trasportato là
e quei vili aguzzini
gli disser con furor:

"Perché tu il fascismo hai sempre odiato,
ora dovrai morì qui sull'istante"
e dopo averlo a torto bastonato
di pugnalate gliene dieder tante.

Così, per mano
di quei vili traditor,
moriva Matteotti,
capo dei lavorator.»

(Anonimo, 1924[118][119])

Rimase anche famosa una vignetta sulla rivista satirica antifascista Becco giallo nella quale un truce Mussolini siede sulla bara di Matteotti.[120]

Filmografia

Opere

  • La recidiva. Saggio di revisione critica con dati statistici, Milano, Fratelli Bocca, 1910.
  • Un anno di dominazione fascista, Roma, Tip. italiana, 1923; rist., con un saggio di Umberto Gentiloni Silveri, prefazione di W. Veltroni, Milano, Rizzoli, 2019, ISBN 978-88-171-3894-9.
    • edizione inglese: The fascisti exposed. A Year of Fascist Domination, translated by E. W. Dickes, Londra, Indipendent Labour Party Publication Department, 1924; rist. Howard Fertig, 1969.
    • edizione tedesca: Fascismus in Italien. Grundlagen - Aufstieg - Niedergang (con Hanns Erich Kaminski), Berlino, Verlag für Sozialwissenschaft, 1925.
    • edizione francese: Une année de domination fasciste, Bruxelles, Maison nationale d'edition, 1924.
  • Il fascismo della prima ora. Pagine estratte dal "Popolo d'Italia", Roma, Tipografica italiana, 1924.
  • Reliquie, Milano, Corbaccio, 1924.
  • Contro il fascismo, Milano-Roma, Avanti!, 1954; Prefazione di Sergio Luzzatto, Milano, Garzanti, 2019, ISBN 978-88-116-0484-6.
  • Discorsi parlamentari, 3 voll., Roma, Stabilimenti tipografici Carlo Colombo, 1970.
  • Scritti e discorsi, Milano, Aldo Garzanti, 1974.
  • Scritti e discorsi, Venezia, Marsilio, 1981.
  • Scritti sul fascismo, a cura di Stefano Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 1983, ISBN 978-88-838-1208-8.
  • Giacomo Matteotti 1885-1985. Riformismo e antifascismo. Scritti e discorsi, testimonianze, contributi, Roma, Ediesse, 1985.
  • Lettere a Velia, a cura di S. Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 1986, ISBN 978-88-838-1209-5.
  • Sulla scuola, a cura di S. Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 1990, ISBN 978-88-838-1210-1.
  • Sul riformismo, a cura di S. Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 1992, ISBN 978-88-838-1211-8.
  • Lettere a Giacomo, a cura di S. Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 2000, ISBN 88-8381-384-7.
  • Scritti giuridici, 2 voll., a cura di S. Caretti, Pisa, Nistri-Lischi, 2003, ISBN 88-8381-425-8.
  • La questione tributaria, a cura di S. Caretti, Manduria, P. Lacaita, 2006, ISBN 88-89506-27-X.
  • Scritti economici e finanziari, a cura di S. Caretti, 2 voll., Pisa, PLUS, 2009, ISBN 978-88-8492-609-8.
  • L'avvento del fascismo, a cura di S. Caretti, Premessa di Alessandro Roncaglia, Pisa, PLUS, 2011, ISBN 978-88-8492-781-1.
  • Epistolario: 1904-1924, a cura di S. Caretti, Pisa, PLUS, 2012, ISBN 978-88-8492-850-4.
  • Socialismo e guerra, a cura di S. Caretti, Premessa di Ennio Di Nolfo, Pisa, Pisa University Press, 2013, ISBN 978-88-6741-083-5.
  • Scritti e discorsi vari, a cura di S. Caretti, Premessa di Gianpasquale Santomassimo, Pisa, Pisa University Press, 2014, ISBN 978-88-6741-301-0.
  • La lotta semplice, Roma, Edizioni di Comunità, 2019, ISBN 978-88-320-0528-8.
  • Il fascismo tra demagogia e consenso. Scritti 1922-1924, a cura di Mirko Grasso, Collana Saggi, Roma, Donzelli, 2020, ISBN 978-88-552-2104-7.

Note

  1. ^ Emilio Gentile, In Italia ai tempi di Mussolini Archiviato il 22 novembre 2015 in Internet Archive.
  2. ^ Giacomo Matteotti, Un anno di dominazione fascista, Roma, Tip. italiana, 1923; rist., con un saggio di Umberto Gentiloni Silveri, prefazione di W. Veltroni, Milano, Rizzoli, 2019, ISBN 978-88-171-3894-9
  3. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, pag. 33
  4. ^ Gianpaolo Romanato, Un italiano diverso. Giacomo Matteotti, Longanesi, 2011
  5. ^ Registro degli Atti di Matrimonio del 1875 - Comune di Fratta Polesine
  6. ^ Registro degli Atti di Nascita del 1885 - Comune di Fratta Polesine
  7. ^ Corriere.it-10 giugno 1924:l'omicidio di Giacomo Matteotti Archiviato il 10 giugno 2015 in Internet Archive.
  8. ^ Discorsi parlamentari di Giacomo Matteotti pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, Roma, Colombo, 1970, 3 v., con introduzione di Sandro Pertini.
  9. ^ G. Matteotti, Scritti economici e finanziari, a cura di S. Caretti, Pisa, Ed. Plus, 2009, p. 25 dell'introduzione di Stefano Caretti che cita Oddino Morgari.
  10. ^ Giacomo Matteotti a Ferrara, su artecultura.fe.it, Comune di Ferrara, 7 giugno - 27 luglio 2014. URL consultato il 31 marzo 2016 (archiviato il 23 marzo 2016).
  11. ^ Gino Bianco, Matteotti a Londra Archiviato il 22 dicembre 2015 in Internet Archive.
  12. ^ Stanislao G. Pugliese, Fascism, Anti-fascism, and the Resistance in Italy
  13. ^ vedi il testo integrale del Discorso di denuncia di brogli elettorali pronunciato da Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924 alla Camera dei Deputati su Wikisource, su it.wikisource.org. URL consultato il 12 settembre 2016 (archiviato il 7 ottobre 2016).
  14. ^ Il discorso di Giacomo Matteotti alla Camera del 30 maggio 1924 è udibile quasi integralmente nell'interpretazione dell'attore Franco Nero nel film "Il delitto Matteotti" Archiviato il 27 gennaio 2017 in Internet Archive. di Florestano Vancini del 1973.
  15. ^ Citata in Emilio Lussu, "Marcia su Roma e dintorni", Einaudi, 1976, e riportata qui Archiviato il 3 giugno 2015 in Internet Archive.. Secondo Il Blog di Pier Archiviato il 23 luglio 2011 in Internet Archive. invece la frase fu "Ed ora preparatevi a farmi l'elogio funebre.", rivolta verso l'On. Costantini.
  16. ^ senato.it - Il Presidente - Commemorazione di Giacomo Matteotti[collegamento interrotto].|
  17. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista, Einaudi, Torino, 1995, p. 617 n.
  18. ^ Ibidem
  19. ^ "il suo vero scopo era quello di inaugurare dalla tribuna più risonante d'Italia, dalla Camera, e fin dalle primissime battute della nuova legislatura, un nuovo modo di stare all'opposizione, più aggressivo, intransigente, violento, addirittura". In R. De Felice, Mussolini il fascista cit.
  20. ^ "un discorso di doppia opposizione, contro il governo fascista, contro il fascismo tout court, ma anche e forse soprattutto, contro i collaborazionisti del proprio partito e della CGL". In R. De Felice, Mussolini il fascista cit., p. 618
  21. ^ Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti (1880-1925) a cura di A. Schiavi, Laterza, 1947, p. 247
  22. ^ A. G. Casanova, Matteotti: una vita per il socialismo, pag.225
  23. ^ Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna Archiviato il 20 maggio 2011 in Internet Archive.
  24. ^ ASR, FM, vol 1, Testimonianze Amilcare Mascagna e Renato Barzotti, vol.1, fol.22
  25. ^ ASR, FM, vol 1, fol.8 Testimonianza Giovanni Cavanna
  26. ^ Gianni Mazzocchi, Quattroruote Luglio 1984, pag. 54"
  27. ^ Giuliano Capecelatro, La banda del Viminale, Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 70: "L'unica certezza è che, all'interno della Lancia, si scatena una lotta furibonda"
  28. ^ Giuliano Capecelatro, La banda del Viminale, Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 21
  29. ^ Guido Gerosa - Gian Franco Vené, Il delitto Matteotti, Milano, Mondadori, 1972, pag. 123
  30. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 421
  31. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag 354: "Alla Camera pochi si accorgono quel giorno che il suo posto è vuoto."
  32. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 421: "Mussolini stesso ha raccontato: "L'11 giugno del 1924 non pensavo minimamente a quanto nell'ombra la sorte stava tramando a danno del fascismo...Quella sera giunse come una folgore la triste notizia""
  33. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 422
  34. ^ Testimonianza di Domenico Villarini, in Giuliano Capecelatro, La banda del Viminale, Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 22: "Andava avanti e indietro dal numero 5 al numero 12 della detta via e anche un po' oltre (...) chiusi il portone alle 22 e andai in compagnia di mia madre e di mio fratello a bere della birra, al ritorno avendo notata ancora quell'automobile mi segnai su un pezzo di carta il numero, temendo che potesse trattarsi di qualche tentativo di furto. Il numero della macchina era 55.12169"
  35. ^ Giuliano Capecelatro, La banda del Viminale, Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 54: "Nelle indiscrezioni di quelle ore, Marinelli e Rossi sono indicati come i mandanti del delitto, su incarico affidato da Mussolini"
  36. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 425: "Quel giorno, oltre alle dimissioni imposte a Cesare Rossi e a Finzi, che i noti contatti avuti con Dumini e con altri individui di quella banda designavano ai peggiori sospetti dell'opinione pubblica, furono annunciati altri arresti..."
  37. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 425
  38. ^ La Stampa, 23 giugno 1924, pag. 1.
  39. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 441
  40. ^ Carlo Sforza, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, Mondadori, 1945, pag. 129
  41. ^ Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Giulio Einaudi editore, 1976, p. 391. "…il 27 [giugno] - il giorno in cui Turati commemora Matteotti e nasce ufficialmente l'Aventino".
  42. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag 354: "La soluzione Aventiniana prende l'avvio da un commovente discorso che Filippo Turati tiene alla Camera per commemorare Giacomo Matteotti, sulla cui sorte ormai non esistono più dubbi."
  43. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag 354: "...nella speranza che una tale azione secessionistica getti nella crisi completa il governo fascista e induca il Re a intervenire con un decreto di scioglimento della Camera."
  44. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, pag 460
  45. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 119-121.
  46. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag 356: "Egli ordina al ministro degli Interni Federzoni di predisporre funerali che non facciano rumore. Roma non deve vedere Matteotti. La salma del parlamentare, chiusa in una bara, viene subito trasferita a Fratta Polesine, paese natale della vittima, dove si svolgono imponenti funerali."
  47. ^ Giuliano Capecelatro 1996
  48. ^ Enzo Biagi, Storia del fascismo, vol. 1, Sadea-Della Volpe, 1964, pag. 356
  49. ^ Ugo Intini, Un'indagine al di sopra di ogni sospetto, in Mondoperaio, n.6/2014, p. 40.
  50. ^ Ministero dell'Interno Italiano, La storia - Il primo dopoguerra e il pericolo fascista, Dalla CEKA fascista all'OVRA.
  51. ^ Silvio Bertoldi, La polizia del duce al servizio del crimine, in Corriere della sera, 25 luglio 1994.
  52. ^ Il Palazzo del Viminale, sito a Roma nella omonima piazza sul colle del Viminale nel rione Monti, dal 1925 fu sede della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell'Interno; nel 1961 la Presidenza del Consiglio della Repubblica Italiana si spostò a Palazzo Chigi e l'edificio rimase sede del solo dicastero degli Interni.
  53. ^ La polizia del duce al servizio del crimine Archiviato il 20 maggio 2011 in Internet Archive.
  54. ^ Claudio Fracassi, Matteotti e Mussolini: 1924: il delitto del Lungotevere, Mursia, 1º gennaio 2004, pp. 496, 18, 60. URL consultato il 14 settembre 2016.
  55. ^ ""Il delitto Matteotti"" [collegamento interrotto], su www.fiapitalia.eu. URL consultato il 14 settembre 2016.
  56. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, 1º gennaio 2015, ISBN 978-88-15-25841-0. URL consultato il 14 settembre 2016.
  57. ^ Enzo Magrì books.google.it
  58. ^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Marco Tropea, Milano, 2001, p. 174
  59. ^ Cit. Ch. Seton-Watson, L'Italia dal liberalismo al fascismo (1870-1925), vol. II, Laterza, 1973.
  60. ^ Giuliano Capecelatro, La banda del Viminale, 'Il saggiatore', Milano, 1996, pag. 63
  61. ^ a b R. De Felice, cit., p. 619
  62. ^ Dagli atti istruttori, riprodotti in Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 313 ss.
  63. ^ Chiara Valentini, Matteotti? Uccidetelo a Vienna!, in: L'Espresso, 17 maggio 1996
  64. ^ a b c d Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Mondadori, Milano 2003, pp. 211-3.
  65. ^ "Art. 47: La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i Ministri del Re, e di tradurli dinanzi all'Alta Corte di Giustizia."
  66. ^ Il discorso di Benito Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925 è udibile quasi integralmente nell'interpretazione dell'attore Mario Adorf nel film "Il delitto Matteotti" Archiviato il 6 luglio 2015 in Internet Archive. di Florestano Vancini del 1973.
  67. ^ P. Lyttelton, 2003
  68. ^ F. Andriola, Mussolini, prassi politica e rivoluzione sociale, ed. f.c.
  69. ^ ibidem
  70. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista tomo I, Einaudi
  71. ^ I veri capi d'imputazione dovevano essere: sequestro di persona, omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione ed occultamento di cadavere.
  72. ^ Alexander J. De Grand Italian Fascism
  73. ^ Girolamo Arnaldi, Storia d'Italia: Dalla crisi del primo dopoguerra alla fondazione della Repubblica, UTET, Torino, 1959.
  74. ^ F. Andriola, Mussolini, prassi..., cit.
  75. ^ Marcello Staglieno, in: Storia illustrata, Milano, n.336, novembre 1985, pp. 54-61.
  76. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista, op. cit., p. 601.
  77. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, Einaudi 1966, p. 626.
  78. ^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, 2001, pag. 115
  79. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 503 ss.
  80. ^ Il Ponte, anno XLII, n.2, marzo-aprile 1986, pp. 76-93.
  81. ^ Mauro Canali. Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Bologna, Il Mulino, 1997 (nuova ed. 2004).
  82. ^ Benito Li Vigni, Le guerre del petrolio, Editori Riuniti, 2004, ISBN 88-359-5462-2, p. 177.
  83. ^ a b c Benito Li Vigni, Le guerre del petrolio, Editori Riuniti, 2004, ISBN 88-359-5462-2, capitoli Affare Sinclair uno scandalo italiano, pp. 173ss., e Scandalo Sinclair e delitto Matteotti, pp. 183ss.
  84. ^ a b c Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell'Italia, Milano: Chiarelettere, 2011.
  85. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 271 ss.
  86. ^ Le prime prospezioni geologiche in Libia finalizzate alla ricerca di petrolio, infatti, furono commissionate ad Ardito Desio solo nel 1936, portando l'anno successivo ad un ritrovamento di tracce di olio durante la perforazione di un pozzo per acqua. Cfr: Franco di Cesare, Francesco Guidi, Ardito Desio, in "SPE Italian section Bulletin", 2004, n.3 online Archiviato il 21 novembre 2008 in Internet Archive.
  87. ^ La presenza di giacimenti di petrolio, rivelatisi enormi, in Libia venne rivelata pubblicamente dal governo nel 1939. Floriano Bodini, Storia dell'Agip, allegati a "Il Gazzettino"
  88. ^ Giacomo Matteotti, Machiavelli, Mussolini and fascism, su "English Life" del luglio 1924, p. 87.
  89. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 70 ss.
  90. ^ Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 287 ss.
  91. ^ Benito Mussolini, La situazione politica interna, in Atti parlamentari dei senatori. Discussioni. Legislatura XXVII. Ia Sessione 1924. Volume I. Tornate dal 24 maggio al 20 dicembre 1924, Tornata del 26 giugno 1924, Roma, Tipografia del Senato, 1925, pp. 74-82, poi in Opera Omnia di Benito Mussolini, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, XXI, Dal delitto Matteotti all'attentato Zaniboni (14 giugno 1924 – 4 novembre 1925), Firenze, La Fenice, 1956, pp. 4-12.
  92. ^ Luigi Salvatorelli-Giovanni Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, I, Milano, Mondadori Oscar, 1972 (4ª ed.), p.376
  93. ^ Benedetto Croce, Pagine sparse, II, Napoli, Ricciardi, 1944, pp.376 segg. (cfr. anche: Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-1925, p. 653; Marcello Staglieno, Don Benedetto e il fascismo, il Giornale, 20 novembre 1977,p.3; id., Quando Croce disse sì al Duce, il Nuovo, Milano, 16 ottobre 2001)
  94. ^ Guglielmo Salotti, Nicola Bombacci: un comunista a Salò, Mursia, 2008 pp. 206 e ss.
  95. ^ Bruno Gatta, Mussolini, Rusconi, Milano 1988, pag. 142.
  96. ^ R. De Felice, Mussolini il fascista (1921-1925), vol. I, Torino, Einaudi, 1995, p.622.
  97. ^ DANILO VENERUSO, Il contrasto tra Mussolini e Matteotti sulla vita politica, Rivista di Studi Politici Internazionali, NUOVA SERIE, Vol. 81, No. 2 (322) (APRILE-GIUGNO 2014), pp. 231-243 evidenzia però il contrasto ideologico tra i due, risalente alle vicende del decennio precedente.
  98. ^ Enzo Sardellaro, Aldo Finzi e il delitto Matteotti, "Totale parziale giugno", StoriaXXI secolo, pagina 10, il quale peraltro contesta recisamente questa lettura dimostrando come, da molti mesi, Matteotti fosse la punta di lancia della più pericolosa attività parlamentare antifascista.
  99. ^ ibidem, p. 600
  100. ^ ibidem, 617
  101. ^ Nei quali, ad ogni modo, l'esistenza di successivi depistaggi messi in atto da apparati alle dipendenze dell'Esecutivo è un fatto storicamente acclarato: "un depistaggio financo personale del Duce, quando ricevette la vedova di Giacomo Matteotti che chiedeva la verità sulla sparizione del marito" (Valdo Spini, Giacomo Matteotti: “un eroe tutto prosa”, Patria indipendente, 15 giugno 2017).
  102. ^ De Ambris sarebbe stato accusato da Roberto Farinacci di essere uno dei massoni mandanti del delitto proprio per colpire Mussolini. Come riferisce De Felice (op.cit.), tuttavia, questa tesi è caduta nel vuoto.
  103. ^ Renzo De Felice, op. cit., pp. 597-618
  104. ^ Antonio Pitamiz Silvestri: L'ultimo amico di Mussolini in Storia Illustrata n.271 giugno 1980 p.13
  105. ^ Vedi Archiviato il 29 settembre 2007 in Internet Archive. i riferimenti al libro di Carlo Silvestri Matteotti, Mussolini e il dramma italiano pubblicato nel 1947 dall'editore Ruffolo.
  106. ^ Carlo Silvestri, Matteotti, Mussolini e il dramma italiano, Roma, Nicola Ruffolo editore, 1947.
    «Nel secondo processo sul delitto Matteotti la deposizione di Silvestri, le cui tesi assolutorie su Mussolini erano conformi a quanto scritto nel libro venne considerata del tutto inaffidabile e stralciata ai fini del giudizio. si veda: Mussolini e Hitler: la Repubblica sociale sotto il Terzo Reich di Monica Fioravanzo pagg. 32-33».
  107. ^ Matteo Matteotti nell'intervista: "Me lo confessò, piangente e pentito, Poveromo in persona nel carcere di Parma dov'ero andato a trovarlo nel gennaio 1951, poco prima della morte di lui"
  108. ^ Archivio Centrale dello Stato, Fondo della Polizia politica, busta n. 34 della Serie B, fascicolo Famiglia Matteotti
  109. ^ a b Matteotti fu ucciso perché scoprì le mazzette di Mussolini Archiviato il 29 maggio 2008 in Internet Archive.
  110. ^ Egli rimase in carica fino alla primavera del 1922, epoca in cui rassegnò le dimissioni. Cfr. Archivio di Stato di Genova, Prefettura di Genova, Sala 21, Pacco n. 283, Elezioni Comunali del 1920; Comune di Stella, Atti dei Consigli Comunali del 1920-22
  111. ^ Cfr. Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini, Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista Archiviato il 17 agosto 2016 in Internet Archive., in Patria Indipendente, pubblicazione ANPI del 20 aprile 2008, pagg.44-45
  112. ^ Cfr. Davide Conti (a cura di), Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio, Roma, Edizioni Odradek, 2006, ISBN 88-86973-75-6. - Vedi anche Recensione del libro di Avio Clementi Archiviato il 27 settembre 2013 in Internet Archive., in Patria Indipendente, pubblicazione ANPI del 23 marzo 2008, pagg.42-43
  113. ^ cfr. Vico Faggi (a cura di), Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni, Mondadori, Milano, 1978.
  114. ^ Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna: Il Fascismo e le sue guerre, Feltrinelli, 2002.
  115. ^ Legge 20 dicembre 2017, n. 2013, su normattiva.it (archiviato il 30 gennaio 2018).
  116. ^ Casa museo Giacomo Matteotti, Fratta Polesine (RO), su unife.it, Università degli Studi di Ferrara. URL consultato il 6 maggio 2018 (archiviato il 6 maggio 2018).
  117. ^ È possibile ascoltare "Povero Matteotti" su Youtube, sia nella versione cantata da Ivan Della Mea Archiviato il 4 febbraio 2017 in Internet Archive., sia in quella cantata dal Canzoniere delle Lame di Bologna Archiviato il 4 febbraio 2017 in Internet Archive.
  118. ^ Fonte: ildeposito.org Archiviato il 2 gennaio 2014 in Internet Archive.
  119. ^ È possibile ascoltare il "Canto di Matteotti" su Youtube Archiviato il 4 febbraio 2017 in Internet Archive.
  120. ^ La vignetta del "Becco giallo" sul sito www.ossimoro.it Archiviato il 25 settembre 2013 in Internet Archive.

Bibliografia

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