Federico Caffè (Pescara, 6 gennaio 1914 – Roma, dopo il 15 aprile 1987, morte presunta[1]) è stato un economista e accademico italiano.
Fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche quanto di economia del benessere. Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli.[2] La sua improvvisa scomparsa è un mistero rimasto irrisolto.
Nacque a Pescara da una famiglia di condizioni economiche modeste. Si laureò all'Università di Roma nel 1936 con Lode in Scienze Economiche e Commerciali. I suoi maestri furono Guglielmo Masci, con cui si era laureato, e Gustavo Del Vecchio. Dal 1939 fu assistente presso la facoltà di Economia della stessa università. Nonostante la sua bassa statura, prestò il servizio militare e, dopo l'8 settembre 1943, fu renitente alla leva. Nel 1945 fu consulente e successivamente capo di gabinetto del Ministro della Ricostruzione Meuccio Ruini durante il governo Parri.[3] Con una borsa di studio, dopo la guerra passò un anno alla London School of Economics, a Londra, un periodo che fu per lui molto fecondo e dove approfondì la sua conoscenza del pensiero keynesiano e delle politiche sociali del governo laburista.
Lavorò inizialmente presso la Banca d'Italia, per poi insegnare Politica economica e finanziaria nell'Università degli Studi di Messina. Insegnò poi Economia politica a Bologna. In seguito (dal 1959), fino al suo ritiro dall'insegnamento, fu professore ordinario di Politica economica e finanziaria presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Dal 1967 al 1969 ha fatto parte del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Torino.
Oltre ai suoi scritti accademici, fu un attento commentatore dell'attualità economica su giornali e riviste. In particolare, collaborò assiduamente a Il Messaggero e a il manifesto. Gli scritti su il manifesto, spesso sollecitati dal suo amico Valentino Parlato e dal suo allievo Roberto Tesi, sono stati raccolti in volume[4]. Gli articoli per Il Messaggero, dovuti alla richiesta di collaborazione avanzata da Aldo Maffey, e l'Ora, sono anch'essi stati raccolti in volume[5].
Relatore della tesi di laurea di più di mille studenti, ha formato numerosi economisti italiani.[6] Tra i suoi studenti vi sono stati il governatore della Banca d'Italia, presidente della Banca Centrale Europea e Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, il preside della Facoltà di economia e commercio della Sapienza Università di Roma, Giuseppe Ciccarone. Fu mentore e amico di Franco Archibugi, Giorgio Ruffolo,[7] Luigi Spaventa, Marcello De Cecco[8], Fernando Vianello, Ezio Tarantelli (assassinato dalle BR nel 1985),[9] Nicola Acocella, Sergio Baldini, Fausto Vicarelli, Bruno Amoroso, Guido M. Rey, Gian Cesare Romagnoli, Pierluigi Ciocca, Vieri Ceriani, Marco Ruffolo, Enrico Giovannini, Daniele Archibugi, Nino Galloni, e di altri economisti italiani.
Svolse per vari anni l'attività di consulente per l'economia della casa editrice Laterza, nella persona del direttore editoriale Enrico Mistretta. Giuseppe (Pepe) Laterza si laureò con lui nel 1981. Mantenne rapporti frequenti anche con sindacalisti, quali Antonio Lettieri.
Federico Caffè lavorò sempre sui temi della politica economica e del welfare, con particolare attenzione agli aspetti sociali e alla distribuzione dei redditi.[10]
Dedicò particolare attenzione agli economisti scandinavi e alle esperienze di tali paesi nel welfare. Divulgò in Italia il pensiero e gli scritti di economisti scandinavi quali Gunnar Myrdal e Frederick Zeuthen.
Il suo testo universitario Lezioni di politica economica è rappresentativo del suo pensiero. In esso Caffè definì la politica economica:
«La politica economica è quella parte della scienza economica che usa le conoscenze dell'analisi teorica come guida per l'azione pratica.» |
La decennale esperienza didattica del suo autore si riscontra nel libro: le possibili domande del lettore sembrano essere già considerate. In nessun punto appaiono salti concettuali.
Come Keynes, Caffè appare eclettico nel suo accettare contributi eterogenei nella costruzione del grande edificio della scienza economica (per esempio include Marx e i marginalisti). Ciò fa apparire più forti le sue critiche al pensiero liberista.
«Poiché il mercato è una creazione umana, l'intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio. Non si può non prendere atto di un recente riflusso neoliberista, ma è difficile individuarvi un apporto intellettuale innovatore.» |
«… i limiti intrinseci all'operare dell'economia di mercato, anche nell'ipotesi eroica che essa funzioni in condizioni perfettamente concorrenziali. È molto frequente nelle discussioni correnti rilevare un'insistenza metodica sui vantaggi operativi del sistema mercato, e magari su tutto ciò che ne intralci lo “spontaneo” meccanismo, senza alcuna contestuale avvertenza sui connaturali difetti del meccanismo stesso.» |
(pag. 38) |
Un aspetto ancora irrisolto della vita di Federico Caffè è la sua misteriosa scomparsa dalla sua casa di via Cadlolo, un'elegante strada di Monte Mario, avvenuta il 15 aprile 1987. Caffè, che viveva con il fratello Alfonso, professore di lettere all'Istituto Massimo di Roma, aveva da poco raggiunto i limiti d'età per l'insegnamento universitario ed era ormai professore fuori ruolo. A uno dei suoi più vecchi amici, il professor Carlo Ruini, aveva rivelato in una lettera di essere in ansia per le sue condizioni finanziarie che, sosteneva, sarebbero state insufficienti ad affrontare la vecchiaia.[11] In realtà fu poi appurato che l'economista non aveva alcun ragionevole motivo, almeno di tipo economico, di temere per il futuro. A un suo allievo confidò in più occasioni quanto fosse per lui doloroso smettere d'insegnare.[12] All'allievo Daniele Archibugi, che conosceva sin dalla nascita essendo stato testimone di nozze dei suoi genitori, aveva chiesto addirittura di aiutarlo a suicidarsi.[13] Federico Caffè scomparve all'alba.
Il fratello, che dormiva nella stanza a fianco, non si accorse di nulla; sul comodino trovò l'orologio, i documenti e gli occhiali che Federico usava per leggere[14]. Le ipotesi sulla sua scomparsa sono dunque varie. Quella di alcuni parenti parla esplicitamente di un'azione volontaria, escludendo un omicidio o un incidente, compiuta con gli accorgimenti necessari a non lasciar tracce.[15] Commosse l'opinione pubblica italiana la notizia di come i suoi studenti setacciarono la città di Roma nei giorni successivi alla scomparsa.[16]
Molti hanno d'altro canto parlato di allontanamento come una sorta di esilio, forse in un convento, paragonando la vicenda alla misteriosa sparizione di Ettore Majorana.[17] Altri hanno suggerito come unica alternativa a questa l'ipotesi del suicidio.[18] Caffè era apparso a molti conoscenti depresso per vari motivi, a parte il pensionamento e la situazione finanziaria: in particolare lo scarso seguito, nell'economia neoliberista, delle sue teorie. Nella vita privata, la morte della madre, della vecchia "tata", di alcuni degli allievi più cari (Ezio Tarantelli, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1985; Franco Franciosi, stroncato da un tumore nel 1986; Fausto Vicarelli, deceduto in un incidente stradale, sempre nel 1986), e la malattia del fratello lo avevano gettato nello sconforto.
Pochi giorni prima della scomparsa morì Primo Levi, forse suicida gettandosi dalla tromba delle scale; Caffè ne rimase molto colpito, affermando: «Perché così? Perché sotto gli occhi di tutti? Perché straziare i parenti?». Nel libro Memorie di un intruso, edito da Castelvecchi (2016), Bruno Amoroso, uno dei suoi allievi più cari, racconta di averlo rivisto dopo la scomparsa, lasciando aperta l'ipotesi del ritiro in convento dell'economista.[19]
L'8 agosto 1998 (quando Caffè, se in vita, avrebbe avuto 84 anni), il tribunale di Roma ne dichiarò la morte presunta, avvenuta in circostanze non appurate.[18]
A Federico Caffè sono dedicate:
I suoi allievi che insegnano presso La Sapienza ogni anno organizzano una Lezione annuale a lui intitolata, che viene svolta grazie anche al contributo della Banca d'Italia. Queste Lezioni in onore di Federico Caffè sono state tenute da alcuni dei più importanti economisti della nostra epoca[22]. Molte di esse sono state pubblicate in una collana della Cambridge University Press sotto la direzione di Nicola Acocella e Mario Tiberi.[23] Tali lezioni sono state a volte occasione per dibattiti molto accesi sulla eredità culturale di Federico Caffè, come avvenne in occasione di quella svolta il 24 maggio 2012 presso la Facoltà di Economia della Sapienza Università di Roma, introdotta dal Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco e tenuta dall'allora Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, entrambi allievi di Federico Caffè. Alcuni studenti contestarono le politiche monetarie della Banca Centrale Europea, evidenziando quanto Caffè sia stato sempre a favore di una politica economica più espansiva.[24]
Nella Facoltà di Economia dell'Università La Sapienza si conservano ancora la libreria e la scrivania utilizzate da Caffè.
I suoi collaboratori e allievi, che hanno insegnato e insegnano ancora nell'Università Roma Tre, gli hanno intitolato prima la Facoltà di Economia e poi la Scuola di Economia e Studi Aziendali, e hanno organizzato convegni in suo onore, tra cui quello del 2001 sul tema: Il futuro delle relazioni economiche internazionali, presso la Facoltà di Scienze Politiche e quello per la celebrazione del centenario della sua nascita, presso la Scuola suddetta, nel 2014.
Come studioso sempre aggiornato sulla letteratura economica internazionale, Caffè scrisse numerosissime recensioni e rassegne critiche della letteratura. Fu anche un prolifico traduttore di testi economici. Oltre a tradurre gran parte dei testi pubblicati nei volumi da lui curati (indicati sopra), tradusse anche diversi volumi, tra i quali:
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