Crac Parmalat

1leftarrow blue.svgVoce principale: Parmalat.

Il crac Parmalat fu uno scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio finito col fallimento della Parmalat. Considerato il più grande scandalo del genere perpetrato da una società privata in Europa,[1][2] venne scoperto solo verso la fine del 2003, nonostante successivamente sia stato dimostrato come le difficoltà finanziarie dell'azienda fossero rilevabili già agli inizi degli anni novanta.

L'ammanco lasciato dalla società di Collecchio, mascherato dal falso in bilancio, si aggirava sui quattordici miliardi di euro[3]; al momento della scoperta se ne stimavano la metà[4]. Con l'accusa di bancarotta fraudolenta, è stato rinviato a giudizio e in seguito condannato a diciotto anni di reclusione il patron della Parmalat, Calisto Tanzi, nonché numerosi suoi collaboratori tra dirigenti, revisori dei conti e sindaci. Il crollo finanziario della Parmalat è costato l'azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti, mentre i risparmiatori che avevano investito in bond hanno ricevuto solo un parziale risarcimento.

L'impresa italiana, grazie agli effetti della legge 18 febbraio 2004, n. 39, fu salvata dal fallimento e la sua direzione fu affidata all'amministrazione straordinaria speciale di Enrico Bondi, che ne risanò parzialmente i conti a partire dal 2005.

Gli appoggi politici e le operazioni finanziarie di Tanzi

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Calisto Tanzi.

Negli anni ottanta l'iniziativa di Gregorio Maggiali, esponente della Democrazia Cristiana del tempo e amico di Calisto Tanzi, consentì a quest'ultimo di entrare in contatto per la prima volta con Ciriaco De Mita, in seguito Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, con il quale l'imprenditore di Collecchio strinse una forte amicizia.[5][6] Per esprimere la sua gratitudine a Maggiali, Tanzi gli avrebbe concesso il libero uso dei mezzi di trasporto della Parmalat,[2] ed emise diversi assegni circolari destinati alla Rayton Fissore, azienda automobilistica di Maggiali, che versava in cattive acque, per un totale di 1,5 miliardi di lire; questi finanziamenti illeciti furono rendicontati in bilancio a beneficio di una società fantasma[1]. A seguito di questi rilevamenti, si ipotizzò che Tanzi dirottasse grosse somme di denaro alla DC tramite la Rayton Fissore: De Mita fu indagato per concussione, ma l'indagine aperta a suo carico fu in seguito archiviata.[1]

Dopo il terremoto in Irpinia del 1980 e lo stanziamento di finanziamenti previsti dalla legge 14 maggio 1981, n. 219. per la ricostruzione post evento Tanzi chiese aiuti per otto miliardi di lire con dieci giorni di ritardo dalla scadenza ma ne vennero erogati undici.[1][5] Nel 1984 la società aprì un secondo stabilimento industriale nel sud Italia, a Nusco, il paese natale di De Mita, per la cui costruzione degli impianti fu commissionata a Michele De Mita, segretario locale della DC e fratello di Ciriaco,[1][5] e presso il medesimo furono trovati rifiuti tossici provenienti da La Spezia,[1] infine per commercializzare il latte a lunga conservazione, che la Parmalat aveva iniziato a produrre, servivano delle normative a livello nazionale, che furono emanate durante il governo De Mita con la legge del 3 maggio 1989, n. 169, per restituire il favore, Tanzi avrebbe acquisito tramite Parmalat un'ottantina di agenzie di viaggio riconducibili a De Mita, che rischiavano l'insolvenza.[1]

Successivamente, grazie all'influenza di personalità politiche di allora, la Parmalat acquistò:

  • la Cipro Sicilia, oberata da debiti per 150 miliardi di lire, acquisizione resa possibile grazie all'influenza e appoggio di Calogero Mannino.[1][7]

I debiti della società e l'occultamento

Intanto i debiti della Parmalat ammontavano a un centinaio di miliardi di lire già verso la fine degli anni ottanta: per evitare il peggio, Tanzi decise di quotare alla Borsa Italiana, trasformandola in una società per azioni. Ciò avrebbe richiesto all'impresa un risanamento dei conti, ma le forti perdite di Odeon TV, controllata dal gruppo di Collecchio, obbligarono Tanzi a rivolgersi alle banche per un prestito: nonostante l'opposizione del presidente e di alcuni sindaci revisori, un gruppo di banche, capeggiato da Icle (Istituto Nazionale del Credito per il Lavoro italiano all’Estero) insieme a Sanpaolo IMI, Banco di Napoli, Cassa di Risparmio di Roma, Banca di New York e Finanziaria Centro Nord, erogò 120 miliardi di lire, garantite dal 52,24% del capitale della società parmigiana.[8][9] Per completare l'operazione Parmalat dovette liberarsi anche dell'emittente televisiva italiana, gravata da debiti per 160 miliardi e nel 1990 ne cedette il pacchetto azionario di controllo alla Sasea del finanziere Florio Fiorini, già dirigente ENI.

Tanzi si preoccupò anche di stipulare accordi finanziari con i mass-media cartacei: attraverso una sua società, la Europa Service, aveva acquistato azioni per 250 milioni di lire del quotidiano di sinistra il manifesto, regolarmente registrati;[1] finanziò anche il Il Foglio, di Giuliano Ferrara. Si stima che circa un miliardo e cento milioni di lire fossero passati, tramite la finanziaria uruguaiana Wishaw Trading, a persone ignote[1]: il tramite sarebbe stato Sergio Piccini, il quale era tuttavia deceduto. Al suo posto Tanzi aveva indicato Romano Bernardoni, già venditore d'auto. Al fine di eludere i controlli della Consob, fu attuata una quotazione servendosi di un'impresa già presente sul listino di Milano, la "Finanziaria Centro Nord": questa passò di mano dal titolare Giuseppe Gennari alla holding dei Tanzi e rilevò, in due operazioni distinte, il 55,4% di Parmalat, grazie a un aumento di capitale di 583 miliardi, di cui 283 destinati a rilevare il controllo di Parmalat dai Tanzi e 300 per la successiva ricapitalizzazione.[10][11] Il gruppo di Collecchio fu così riorganizzato attorno alla ex società di Gennari che mutò nome in "Parmalat Finanziaria", controllante di un gruppo di 58 aziende (25 all'estero) e più di 300 miliardi di lire di fatturato.[12][13]

Tuttavia i conti della società non migliorarono e i debiti avrebbero potuto decretarne il fallimento: per occultare questi dati Tanzi affidò per anni all'avvocato Gian Paolo Zini il compito di creare una rete di società distribuite tra i Caraibi, il Delaware e le isole Cayman. L'avvocato Zini operava direttamente da New York e, su idea di Fausto Tonna, aveva creato il fondo Epicurum, tramite il quale la Parmalat riversò circa 400 milioni di euro sulla Parmatour: questi soldi venivano registrati come crediti per la società e conferiti nel fondo. L'operazione era del tutto fittizia, ma bastò per ingannare il mercato, inoltre al fine di simulare un'ottima salute della società, venne fatto sistematico ricorso a false fatturazioni. Dal momento che le fatture figurano come crediti, i quali vanno incassati, Tonna e Bocchi inventarono un fittizio conto corrente presso la Bank of America, intestato alla società Bonlat, con sede alle isole Cayman, in cui figuravano 3,9 miliardi di euro, al fine di avere la credibilità delle banche per ottenerne finanziamenti.

Il ruolo e i rapporti con la politica italiana e le banche

Poco dopo la fine della prima Repubblica, la procura di Milano indagò anche dietro alcune dichiarazioni di Tanzi circa finanziamenti a lui imputabili e risalenti già all'anno della nascita di Forza Italia, che sarebbero stati erogati mediante un meccanismo di mancato sconto agli spot pubblicitari in onda sulle reti Mediaset.[1] In questo modo il potenziale sconto di cui poteva godere una grande azienda come la Parmalat con le sue campagne pubblicitarie massive sarebbe confluito indirettamente a Forza Italia: a questo proposito Tanzi dichiarò di aver trasferito quote di pubblicità destinate a essere trasmesse dalla RAI a Publitalia. L'autore di questo accordo sarebbe stato Genesio Fornari, successivamente deceduto.[1]

Nel 1995, a seguito di un'interrogazione parlamentare sui prestiti concessi alla Parmalat dalla Cassa di Risparmio di Parma (per 650 miliardi di lire) e dal Monte dei Paschi di Siena (per 90 miliardi di lire), la procura incaricò il ragioniere Mario Valla di Parma di rivederne i bilanci degli ultimi tre anni. Presumibilmente Tanzi intendeva crearsi delle vie privilegiate per ottenere facili prestiti dai due gruppi bancari: d'altro canto Silingardi era stato sindaco per la Parmalat e Gorreri ne era un dipendente. Tra il 1995 e il 1996, si collocherebbe inoltre la promozione di alcune joint-venture tra diverse agenzie viaggi controllate dalla Parmalat e la Compagnia Italiana Turismo, società turistica delle Ferrovie dello Stato che cedette cinquantacinque agenzie di viaggo alla Parmatour: questo progetto sarebbe stato avallato da Ciriaco De Mita e Claudio Burlando, allora Ministro dei Trasporti e della Navigazione per il governo Prodi I e avrebbe permesso a Tanzi di scaricare i debiti della Parmalat sul partner pubblico. A tal riguardo la procura della Repubblica di Roma indagò anche l'ex-amministratore delegato delle Ferrovie, Lorenzo Necci. Su questa vicenda Burlando dichiarò che non era di sua competenza, e che peraltro Cimoli, poi nominato amministratore delle FS, aveva ritenuto di non procedere alla trattativa[14] Nel 1996, durante il governo Prodi, Tanzi aveva partecipato al potenziamento del capitale di Nomisma, società di cui Romano Prodi fu il fondatore, diventandone socio,[5] versando ingenti somme per finanziare la campagna elettorale di Prodi per le elezioni politiche italiane del 1996 prima e per quella di Berlusconi poi, in occasione delle elezioni politiche italiane del 2001.[1][5]

Durante un procedimento penale il giudice dell'udienza preliminare (GUP) Adriano Padula archiviò l'inchiesta e nel 1998 assolse Tanzi e Tonna dall'accusa di false comunicazioni sociali. Una delle operazioni più controverse fu poi l'acquisto nel 1999 di Eurolat dal gruppo Cirio, che comportò un aumento vertiginoso dell'esposizione debitoria; l'impresa pur avendo un elevato fatturato, presentava un indebitamento ritenuto eccessivo.

Nel 2001 Parmalat commercializzò un nuovo tipo di latte chiamato "Fresco Blu", ampiamente pubblicizzato perché portava la data di scadenza a otto giorni dal momento che era stato microfiltrato e pastorizzato, secondo un procedimento esclusivo. Tuttavia, dal momento che le aziende concorrenti insorsero contro la scritta "fresco" che, per legge, doveva essere applicato solo a quel latte la cui data di scadenza era di quattro giorni, la Parmalat fu multata per frode.[15] Così Tanzi decise di mandare Bernardoni da Gianni Alemanno, allora Ministro per le Politiche Agricole e Forestali sotto il governo Berlusconi II: il Ministro fu prosciolto dall'accusa di corruzione, per cui era stato indagato avendo rinunciato all'immunità parlamentare.

Quando nel 2002 Tanzi necessitò di 50 milioni di euro per risollevare le perdite generate da Parmatour, si rivolse a Cesare Geronzi e alla sua Banca di Roma, della quale era consigliere d'amministrazione. Matteo Arpe, amministratore delegato dell'istituto di Mediocredito Centrale attraverso il quale sarebbe stato concesso il prestito, si oppose all'operazione, ma Geronzi riuscì in ogni caso a far arrivare alle casse di Parmalat la cifra richiesta, che fu poi deviata al settore turismo. Contestualmente Tanzi acquisì la società sicula di acque minerali Ciappazzi, oberata di debiti sospesi, per la maggior parte con la Banca di Roma. I magistrati ipotizzarono che l'operazione fosse stata frutto di una costrizione imposta da Geronzi a Tanzi al fine di ripianare la suddetta esposizione debitoria: Parmalat avrebbe rilevato la Ciappazzi con soldi ricavati mediante l'emissione di un bond, i quali sarebbero stati girati alla Banca di Roma, che così, oltre a riottenere il credito, avrebbe lucrato sulle commissioni legate a tale operazione. In tal modo, pertanto, il debito della società insolvente sarebbe stato ripartito, tramite il bond Parmalat, sul pubblico degli investitori. Le cifre che le banche concedevano a Tanzi servirono anche per acquisizioni, in modo da dare l'idea che la Parmalat fosse una società solida e in crescita: ad esempio Citigroup propose l'acquisto di bond Parmalat ai risparmiatori fino a pochi giorni prima del crac, facendo leva sulla maschera dorata che la ditta si era creata. I finanziamenti erogati a questo fine venivano occultati dalle banche internazionali grazie a società site in paradisi fiscali, quale la "Buconero Spa", dietro al cui nome emblematico si presume operasse la Citibank: essa, secondo quanto riportato dallo scrittore Vittorio Malagutti, riuscì a far fluire 100 miliardi di lire attraverso un contratto di associazione di partecipazione, senza dunque che comparisse tra i debiti del gruppo Parmalat. Analogamente la Bank of America istituì una holding che, in compartecipazione alla Parmalat, si servì di un ente caritatevole delle isole Cayman per raccogliere quasi 300 milioni di dollari tra gli obbligazionisti e finanziare così la Parmalat Brasile, tecnicamente già fallita: l'accordo fu siglato tra Gregory Johnson, responsabile della security della banca statunitense, e Fausto Tonna.

I controlli della Consob e il fallimento

Nel 2003 la Consob avviò dei controlli sui bilanci della Parmalat. Per ovviare a una situazione che avrebbe inevitabilmente portato alla scoperta del catastrofico stato della società, Tanzi chiese aiuto a Silvio Berlusconi e ad altri politici per un suo intervento presso le banche e presso la Consob.[16] Le banche tuttavia non rimasero impassibili al mancato rientro dei prestiti e cominciarono a fare pressione su Tanzi: quando iniziarono a trapelare i primi sintomi di insolvenza, il patron della Parmalat fu messo da parte, le banche imposero alla guida del gruppo in qualità di amministratore straordinario Enrico Bondi e il titolo Parmalat fu sospeso dalle trattative in Borsa. Questi come nuovo amministratore delegato decise di intraprendere un'azione legale contro le banche creditrici prima del tracollo, accusandole di aver emesso bond fino all'ultimo momento pur essendo consapevoli della situazione disastrosa in cui versavano i bilanci dell'azienda. Bondi stimò che Deutsche Bank avesse, a fronte di un prestito di 140 milioni di euro, guadagnato interessi per 217 milioni (+140%), Unicredit Banca da 171 milioni di euro ne avrebbe ricavati 212 (+124%), mentre Capitalia avrebbe incassato il 123% in più di quanto aveva prestato alla Parmalat. Paradigmatico a questo proposito fu il bond di 420 milioni di euro emesso dalla banca svizzera UBS a Parmalat: effettivamente solo 110 milioni furono incassati, mentre i restanti 290 milioni tornarono indietro alla banca come assicurazione in caso di insolvenza. Il 4 dicembre si scoprì che i 600 milioni di euro del fondo Epicurum non esistevano. L'8 dicembre era il termine entro cui la Parmalat era costretta a onorare il bond da 150 milioni di euro che aveva emesso: Bondi promise di restituire i soldi entro il 15 dicembre, ma quando quattro giorni dopo riuscì a saldare il debito[17], si accorse anche che ne mancavano 80. Intanto dopo tre giorni di sospensione, il titolo Parmalat fu riammesso alle contrattazioni: da un valore precedente di 2,2375 euro, l'11 dicembre il titolo chiuse a 1,1900 euro, in calo del 46,8%[18]. Il 15 dicembre il consiglio di amministrazione, tra cui figuravano Tanzi, Tonna e Gorreri, si dimise. La notizia che accese i riflettori sullo scandalo arrivò però il 19 dicembre 2003: in quella data la Bank of America dichiarò che i 3,95 miliardi di euro intestati alla controllata Bonlat, che rappresentavano l'attivo della Parmalat, non esistevano[19]: qualche giorno dopo fu appurato che il documento che ne attestava l'esistenza era stato contraffatto[20]. Il 22 dicembre Tanzi fu iscritto nel registro degli indagati per falso in bilancio presso la Procura della Repubblica di Milano e nel frattempo il valore di un'azione della Parmalat era sceso a 0,11 centesimi di euro, ma anche gli indici delle banche connesse alla crisi finanziaria persero punti (Capitalia -6%, Monte dei Paschi -5%); lo stesso giorno gli obbligazionisti statunitensi, onde scongiurare il rischio di cross default, decisero di non intraprendere richieste di risarcimento fintantoché Bondi non avesse redatto un piano di salvataggio.[21]

Il 1º gennaio 2004 Bondi - nominato intanto commissario straordinario - stabilì che il primo asset che la Parmalat avrebbe ceduto sarebbe stato il Parma[22] e qualche giorno più tardi la Consob depositò una richiesta di annullamento del bilancio dell'anno precedente della Parmalat[23]. Il 20 gennaio seguirono le dimissioni di Silingardi[24], mentre il 23 gennaio un ex-collaboratore dei direttori finanziari Tonna e Del Soldato, Alessandro Bassi, il quale era stato già sentito come testimone dai pubblici ministeri, fu trovato morto, precipitato da un ponte[25]: l'ipotesi più accreditata dagli inquirenti fu il suicidio. Non mancano però ipotesi di omicidio come quella formulata nel libro di Livio Consigli Il tesoro di Tanzi. Nel contempo, sia lo Stato, attraverso un finanziamento di 150 milioni[26], sia Banca Intesa dopo un appello promosso da Bondi[27] si occuparono del risanamento del gruppo di Collecchio perché potesse continuare l'attività. Intanto gli istituti di credito si dichiararono vittime della frode della Parmalat e lo stesso Governatore della Banca d'Italia del tempo, Antonio Fazio, in un'audizione al Senato del 2004, si disse convinto che tanto le banche italiane quanto quelle straniere non fossero consapevoli della situazione in cui versava la società di Tanzi.

Nel 2005 il Ministro della giustizia Roberto Castelli avviò un'ispezione a carico di Padula durante il suo operato quale GUP di Parma. Emerse che questi aveva insistito con Tanzi per avere sconti per i viaggi nei villaggi Parmatour, che pagò peraltro solo dopo che fu scoperto l'ammanco, oltre due anni dopo; per questo il magistrato fu sanzionato dal Consiglio Superiore della Magistratura nel 2006 col trasferimento presso altro ufficio e con la decurtazione di sei mesi di anzianità.[28]

Le indagini e i processi

Dopo alcuni indagini ed i primi arresti, viene stabilita dalla Cassazione, il 1º marzo 2004, la celebrazione di due indagini (e processi) paralleli. Alla procura di Milano venne attribuita la competenza delle indagini per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni (sociali e ai revisori) e ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob. A quella di Parma, l'associazione a delinquere e bancarotta. Il 29 maggio la Procura di Milano ottenne il rinvio a giudizio di 29 persone fisiche, tra cui Calisto Tanzi, e tre persone giuridiche, componenti del consiglio di amministrazione Parmalat, sindaci, direttori, contabili, revisori dei conti, funzionari di Bank of America. Tra le persone giuridiche imputate vi furono la Bank of America e le società di revisione Grant Thornton (ex Italaudit) e Deloitte & Touche.

Durante il processo, Tanzi ha dichiarato alla magistratura italiana di aver finanziato fin dagli anni sessanta diverse banche, per ottenere crediti e condizionarne le nomine. Dai verbali di queste dichiarazioni inoltre risultano tra i finanziati molti nomi di politici, gran parte dei quali riconducibili alla Democrazia Cristiana di allora: Arnaldo Forlani, Emilio Colombo, Paolo Cirino Pomicino, Fabio Fabbri, Claudio Signorile, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani, Francesco Speroni, Stefano Stefani, Massimo D'Alema, Lamberto Dini, Gianfranco Fini, Ciriaco De Mita, Bruno Tabacci, Adriano Sansa, Oscar Luigi Scalfaro, Pier Luigi Bersani, Renzo Lusetti, Giuseppe Gargani, tutti i quali hanno peraltro negato la circostanza. Hanno invece ammesso di aver ricevuto somme inferiori ai cinquemila euro, e quindi esenti da dichiarazione, Pier Ferdinando Casini, Romano Prodi, Rocco Buttiglione, Pierluigi Castagnetti e Mariotto Segni. Mentre la procura di Parma ha accertato e rintracciato questi flussi di denaro, molti si sono difesi in virtù del fatto che pensavano che i fondi in questione provenissero direttamente da Tanzi e non dalle casse della sua società.[1] Nel 2004 Fausto Tonna avrebbe parlato del coinvolgimento di Donatella Zingone, moglie del politico Lamberto Dini, e di Franco Bonferroni. La prima aveva posseduto una linea di supermercati in Costa Rica: uno stabilimento di questi sarebbe stato comprato da un consulente di Tanzi, Ottone, «a un prezzo a dir poco osceno» con i soldi di Parmalat Nicaragua[7]. Il secondo avrebbe consigliato l'acquisto di certi stabilimenti in Vietnam e Cambogia, operazioni per cui avrebbe percepito delle commissioni. In merito al finanziamento al quotidiano Il Foglio, Tanzi ha dichiarato di aver versato dai 500 milioni al miliardo di lire, ma interpellato dal procuratore di Bologna, Vito Zincani, Ferrara non ha ritenuto di dover deporre[1]. L'autorità giudiziaria italiana rilevò che sono uscite dalle casse della Parmalat, coperti in bilancio dalla voce sponsorizzazione, circa 12 milioni di euro.[1] Inoltre riguardo l'acquisizione di Eurolat la magistratura ha supposto che l'operazione d'acquisto da parte di Parmalat fosse stata pilotata da gruppi bancari per alleggerire la loro esposizione in posizioni "incagliate"[29] con un'operazione contestata anche dall'Autorità per la Concorrenza[30].

Il 18 dicembre 2008 il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza, definita "a sorpresa", sul caso Parmalat. Dei 29 imputati, dopo patteggiamenti e applicazioni di leggi "controverse" (come la ex Cirielli), tra le persone fisiche giudicate con rito ordinario, risultò condannato il solo Calisto Tanzi, a 10 anni di reclusione. Tra le persone giuridiche, anche la Grant Thornton/Italaudit, sanzionata con 240.000 euro e una confisca di 455.000 euro.[31] Tra quelli che avevano scelto il patteggiamento: condannate, con una serie di pene che vanno dai cinque mesi e 10 giorni ai due mesi, otto persone fisiche, tra le quali Paola Visconti (nipote di Calisto Tanzi), la Deloitte & Touche e Dianthus (che avevano, nel frattempo, già risarcito migliaia di parti civili). Tra i prosciolti figurano: Enrico Barachini, Giovanni Bonici (di Parmalat Venezuela), Paolo Sciumè (ex membro del C.d.A. di Parlamat di Collecchio) e il banchiere Luciano Silingardi. Per quanto riguarda la posizione di Bank of America, prosciolta, il P.M. Francesco Greco dichiarava che «è stata riconosciuta la prescrizione per altro modificata dalla legge Cirielli».[31] Il 18 aprile 2011 il Tribunale di Milano ha assolto le banche coinvolte per il reato di aggiotaggio informativo: Morgan Stanley, Bank of America, CitiGroup e Deutsche Bank. La decisione del Tribunale di Milano inoltre negò il risarcimento per circa 30.000 piccoli risparmiatori che avevano sottoscritto i bond emessi dalla Parmalat prima del crac.[32]

Nel 2014 la quinta sezione penale della Cassazione ha confermato la pena a Calisto Tanzi. La condanna definitiva di Tanzi è stata di 17 anni, mentre il direttore finanziario Fausto Tonna è stato condannato a 9 anni di reclusione.[33]

Filmografia

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p Report: Buconero S.p.A., Rai 3, 28 ottobre 2007. URL consultato il 1º dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 17 luglio 2017).
  2. ^ a b Notizie.parma.it, Rassegna stampa del Wall Street Journal, redazione di Parma: "Behind Parmalat Chief's Rise: Ties to Italian Power Structure" Archiviato il 12 ottobre 2008 in Internet Archive.
  3. ^ Paolo Biondani, "Associazione per delinquere nel crac Parmalat", Corriere della Sera, 5 novembre 2004, p. 18.
  4. ^ Notizie.parma.it, Rassegna stampa del Corriere della Sera: "Parmalat, ecco tutte le accuse a Tanzi" Archiviato il 12 ottobre 2008 in Internet Archive.
  5. ^ a b c d e Osservatorio sulla Legalità ONLUS: Notiziaro del 9 gennaio 2003
  6. ^ La Stampa, articolo del 24 gennaio 2002
  7. ^ a b c Il Sole 24 Ore.com: "Tonna fa i nomi di politici e banchieri", su ilsole24ore.com. URL consultato il 4 novembre 2007 (archiviato dall'url originale il 7 ottobre 2008).
  8. ^ repubblica.it
  9. ^ ilsole24ore.com. URL consultato il 22 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 23 dicembre 2016).
  10. ^ G. Romano, Strategie aziendali e quotazione in borsa, Giuffrè
  11. ^ repubblica.it
  12. ^ After Enron, Improving Corporate Law and Modernising Securities Regulation in Europe and the US, John Armour, Joseph A. McCahery, Bloomsbury
  13. ^ Armando Zeni, Tanzi è a caccia di soldi, su ricerca.repubblica.it, 17 agosto 1990.
  14. ^ Repubblica.it: "Inchiesta Cit-Parmalat, indagato anche l'ex-ministro Burlando"
  15. ^ Crack Parmalat e il processo, su reportonline.it.
  16. ^ Processo Parmalat, Tanzi: «Finanziai Berlusconi spostando pubblicità su Mediaset», su st.ilsole24ore.com, 30 novembre 2009.
  17. ^ Repubblica.it: "Parmalat rimborsa il bond da 150 milioni di euro"
  18. ^ Repubblica.it: "Parmalat torna in Borsa e perde quasi il 50%"
  19. ^ GR1 DEL 19/12/2003 DELLE ORE 11:00 Archiviato il 28 settembre 2013 in Internet Archive. - grr.rai.it - URL consultato il 26 set 2013.
  20. ^ Repubblica.it: "Parmalat, indagini serrato sul falso documento"
  21. ^ Repubblica.it: "Parmalat, Tanzi indagato a Milano. Il titolo crolla. Male le banche
  22. ^ Repubblica.it: "Bondi: prima dismissione la squadra di calcio"
  23. ^ Corriere.it: "Consob, nullo il bilancio 2002 di Parmalat"
  24. ^ Notizie.parma.it: "Parmalat, Silingardi si dimette dalla Fondazione Cariparma" Archiviato il 12 ottobre 2008 in Internet Archive.
  25. ^ Repubblica.it: "Parmalat: collaboratore di Tonna si uccide gettandosi da un ponte"
  26. ^ Repubblica.it: "Parmalat, prestito di 150 milioni arriva il via libera del governo"
  27. ^ Corriere.it: "Banca Intesa, aderiremo al prestito Parmalat
  28. ^ Giorgio Maletti, Capitalisti da rapina, la lezione dimenticata del caso Parmalat, su ilfattoquotidiano.it, 27 dicembre 2013.
  29. ^ IlSole24Ore.com Archiviato il 7 ottobre 2008 in Internet Archive.
  30. ^ Agcm.it Archiviato il 3 dicembre 2008 in Internet Archive.
  31. ^ a b Sole24Ore, 18 dicembre 2008
  32. ^ Repubblica.it Parmalat, assolte le banche estere erano accusate di aggiotaggio
  33. ^ Parmalat, Cassazione conferma le 15 condanne. Sconto di pena per Tanzi, su ilfattoquotidiano.it, 7 marzo 2014.

Bibliografia

  • Lyndon LaRouche, Parmalat: pungere la grande, grande, grande bolla, 3 gennaio 2004 [1]
  • Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà, Presentate a Parma le alternative programmatiche del Movimento Solidarietà, 16 gennaio 2004 [2]
  • Sigfrido Ranucci, BUCONERO S.p.a., su report.rai.it, inchiesta di Report, trasmesso il 28 ottobre 2007. URL consultato il 7 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 23 ottobre 2009).
  • editore: Class Editori Gabriele Capolino, Fabrizio Massaro, Paolo Panerai, Parmalat: la grande truffa, Milano Finanza, p. 366, ISBN 977-15-9467701-5, 40221.
  • Arnaldo Mauri, La tutela del risparmio dopo i casi Argentina e Parmalat, Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi, Università degli Studi di Milano, Working Paper n. 8/2005.[3]
  • Giulio Sapelli, Giochi proibiti. Enron e Parmalat capitalismi a confronto, Mondadori Bruno, 2004
  • Marco Vitale, "Parmalat, crisi di sistema", Rinascimento Popolare, n. 2, 2004.

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