La locuzione cancel culture o call-out culture (in italiano cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) è un termine usato per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno viene estromesso da cerchie sociali o professionali - sia online sui social media, che nel mondo reale, o in entrambi.[1] Il termine si è diffuso a partire dal cosiddetto Black Twitter (una comunità informale su Twitter composta per lo più da utenti afroamericani) e definiva inizialmente lo "smettere di dare supporto a una determinata persona" con mezzi come il "boicottaggio" o la "mancata promozione" delle sue attività nel tentativo di danneggiare anche economicamente quella persona, secondo il principio dell'"economia dell'attenzione" che prevede che "quando privi qualcuno della tua attenzione, lo stai privando di un sostentamento"[2].
In Italia la locuzione è utilizzata per lo più come "termine ombrello in cui sono ricadute l'iconoclastia, la censura preventiva degli editori, le polemiche sulle favole", eccetera.[3]
L’esistenza effettiva della cancel culture ha ricevuto anche critiche in quanto viene ritenuto un termine sproporzionato all'effettiva portata dei fenomeni descritti. Non sono in ogni caso registrati casi effettivi di cancellazione di opere, né censure di artisti, intellettuali, autori, che possano essere oggettivamente attribuiti a una presunta “cultura” o fenomeno univoco e riconoscibile come tale. A sostegno di queste tesi, si fa notare come ogni caso di "cancel culture" possa essere considerato una del tutto ordinaria critica o applicazione di scelte editoriali eseguita da soggetti provati.[4][5][6][7][8] Quest'ultimo elemento è anche il principale argomento per chi condanna questo fenomeno, ovvero uno sproporzionato potere decisionale di piattaforme o enti privati sulla effettiva possibilità di comunicare, esprimersi o diffondere idee. In molte situazioni viene indicata come "cancel culture" anche la demonetizzazione di voci difformi dalle politiche della piattaforma ospitante.
L'espressione cancel culture ha infatti connotati per lo più negativi e viene comunemente usata nei dibattiti che sostengono presunte minacce alla libertà d'espressione in nome del cosiddetto politicamente corretto.[9] Tuttavia spesso si tratta solo di minacce ipotetiche, spesso a opere o artisti regolarmente pubblicati e attivi. Viene utilizzata relativamente a figure pubbliche, ma anche aziende e film, dopo che hanno fatto o detto qualcosa considerato discutibile o offensivo, in forma di protesta e boicottaggio, e dunque non in forma di effettiva “cancellazione”. Talvolta viene utilizzata relativamente a figure pubbliche, ma anche aziende e film, dopo che hanno fatto o detto qualcosa considerato discutibile o offensivo, in forma di protesta e boicottaggio, venendo rimosso dai cataloghi o, nel caso di opere, semplicemente subendo delle modifiche.[10][11][12][13][14]
Spesso viene detto che questa presunta cancel culture si manifesterebbe verso opere d'ingegno del passato, come libri e film, sentite portatrici di valori deprecati e talvolta offensivi, togliendole dal contesto in cui sono state ambientate o scritte,[15][16] oppure verso personaggi famosi storicamente apprezzati (tra cui Dr. Seuss, Winston Churchill, Eminem o Wolfgang Amadeus Mozart) attuando quindi un processo di revisionismo (storico, ideologico, ecc.). Ma anche in questi casi non sono riportati casi effettivi di censura o cancellazione di opere del passato, ma al massimo legittime e normali critiche, più o meno autorevoli che siano.
Dopo la morte di George Floyd avvenuta il 25 maggio 2020, a seguito di un abuso di violenza durante l'arresto da parte della polizia di Minneapolis, si sono registrati (particolarmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito) numerosi episodi di iconoclastia volti a rimuovere statue o monumenti considerati simboli di un passato razzista e schiavista[17]. In controtendenza, il 7 luglio 2020 circa 150 intellettuali (tra cui Noam Chomsky, J.K. Rowling, Salman Rushdie, Margaret Atwood e Francis Fukuyama) hanno pubblicato su Harper's Magazine una lettera aperta (A Letter On Justice And Open Debate[18]) per lanciare un avvertimento sui pericoli di "una nuova serie di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto in favore del conformismo ideologico". La lettera ha sollevato diverse critiche, soprattutto da sinistra[15], fra le quali un'altra lettera aperta dall'ironico titolo A More Specific Letter on Justice and Open Debate[19].
Il 27 dicembre 2020 un articolo sul Wall Street Journal[20] riportava alcuni casi di grandi classici letterari avversati dal movimento #DisruptTexts[21]: fra questi l'Odissea di Omero e La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne. Tuttavia, l'articolo è stato criticato dagli stessi sostenitori di #DisruptTexts, che lo hanno giudicato non veritiero [22], anche perché il movimento è contro qualsiasi tipo di censura[23].
Il 31 dicembre 2020, il musicista australiano Nick Cave ha identificato la cancel culture come "opposto della pietà" e degenerazione del politicamente corretto, divenuto "la più infelice religione del mondo"[24]. Ma si tratta ovviamente solo della opinione personale di un artista.
Sono state sollevate delle critiche sui limiti dei social media, e in particolare di Twitter, nel condurre delle campagne di giustizia sociale. I social favoriscono lo scambio di commenti veloci, ma semplicistici e contraddittori, a svantaggio di un serio confronto sul tema. Il razzismo viene decontestualizzato e depoliticizzato; mentre la fruizione del social verte in favore di una condivisione edonistica e narcisistica della propria morale.[25]
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