Anniversario della liberazione | |
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Emblema della Repubblica Italiana | |
Tipo | nazionale |
Data | 25 aprile |
Celebrata in | Italia |
Oggetto della ricorrenza | Liberazione d'Italia dall'occupazione nazista e dal fascismo, a coronamento della resistenza italiana al nazifascismo. |
Ricorrenze correlate |
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Data d'istituzione | 22 aprile 1946[1] |
Altri nomi |
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L'anniversario della liberazione d'Italia, noto anche come festa della Liberazione (o semplicemente il 25 aprile), è una festa nazionale della Repubblica Italiana, che si celebra ogni 25 aprile per commemorare la liberazione d'Italia dall'occupazione nazista e dal fascismo, a coronamento della resistenza italiana al nazifascismo.[2]
È un giorno fondamentale per la storia d'Italia, come simbolo della lotta condotta dai partigiani e dall'esercito a partire dall'8 settembre 1943 (giorno in cui gli Italiani seppero dell'armistizio di Cassibile, appena firmato con gli Alleati).
Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) – il cui comando aveva sede a Milano ed era presieduto da Alfredo Pizzoni, Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani (presenti, tra gli altri, il presidente designato Rodolfo Morandi, Giustino Arpesani e Achille Marazza) – proclamò l'insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia, facenti parte del Corpo volontari della libertà, di attaccare i presìdi fascisti e tedeschi, imponendo la resa, giorni prima dell'arrivo delle truppe alleate. Parallelamente il CLNAI emanò alcuni decreti: uno relativo all'assunzione di poteri da parte del CLNAI, «delegato dal solo Governo legale italiano, in nome del popolo italiano e dei Volontari della Libertà»;[3][4] un altro relativo all'amministrazione della giustizia, che all'articolo 5 stabiliva la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti,[5] senza citare esplicitamente Benito Mussolini, che fuggì da Milano il giorno stesso e che sarebbe stato catturato e fucilato tre giorni dopo.
«Arrendersi o perire!» fu l'intimazione che i partigiani quel giorno e in quelli immediatamente successivi diedero ai nazifascisti ancora in armi.[6]
«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»
Entro il 1º maggio tutta l'Italia settentrionale fu liberata: Bologna (il 21 aprile), Genova (il 23 aprile) e Venezia (il 28 aprile). La Liberazione mise così fine all'occupazione tedesca, a vent'anni di dittatura fascista e a cinque anni di guerra; la data del 25 aprile simbolicamente rappresenta il culmine della fase militare della Resistenza e l'avvio effettivo di una fase di governo da parte dei suoi rappresentanti, che porterà prima al referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra monarchia e repubblica, poi alla nascita della Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della Costituzione.
Il termine effettivo della guerra sul territorio italiano, con la resa definitiva delle forze nazifasciste all'esercito alleato, si ebbe solo il 2 maggio, come stabilito formalmente dai rappresentanti delle forze in campo, durante la cosiddetta resa di Caserta, firmata il 29 aprile 1945; tali date segnano la sconfitta definitiva del nazismo e del fascismo in Italia.
Su proposta del presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, Umberto II di Savoia, principe e luogotenente del Regno d'Italia, il 22 aprile 1946 emanò un decreto legislativo luogotenenziale con Disposizioni in materia di ricorrenze festive,[1] che all'articolo 1 stabiliva la festività del 25 aprile per quell'anno.
«A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale.»
Si ebbero decreti per celebrare la ricorrenza anche nel 1947[7] e nel 1948;[8] solo nel 1949 la ricorrenza venne istituzionalizzata stabilmente quale giorno festivo, insieme con la festa nazionale italiana del 2 giugno.[9]
Tra gli eventi del programma della festa c'è il solenne omaggio, da parte del Presidente della Repubblica Italiana e delle massime cariche dello Stato, al sacello del Milite Ignoto con la deposizione di una corona d'alloro in ricordo ai caduti e ai dispersi italiani nelle guerre.[10]
In tale giorno la bandiera italiana e la bandiera europea vengono esposte su tutti gli edifici che siano sede di uffici pubblici ed istituzioni.[11]
Inoltre in tutte le città italiane – specialmente in quelle decorate al valor militare per la guerra di liberazione – vengono organizzate manifestazioni pubbliche in memoria dell'evento.
Nel 1955, in occasione del decennale, il presidente del Consiglio Scelba rivolse un messaggio alla Nazione tramite la RAI.
«Se ricordiamo le tragiche vicende della più recente storia d'Italia non è per rinfocolare odi o riaprire ferite, coltivare la divisione, ma perché vano sarebbe il ricordo dei morti e la celebrazione dei sacrifici sofferti se non ne intendessimo il significato più genuino ed il valore immanente, se gli italiani non avessero a trar profitto dagli insegnamenti delle loro comuni esperienze, e, tra gli italiani, i giovani sopra tutto, a cui è servato l'avvenire della Patria.»
Nell'aprile dello stesso anno il Movimento Sociale Italiano portò avanti una campagna per l'abolizione dei festeggiamenti del 25 aprile tramite il «Secolo d'Italia», su iniziativa di Franz Turchi. Venne inoltre organizzata una celebrazione a Roma a ricordo dei caduti della Repubblica Sociale Italiana;[13] i saluti romani e i canti dei missini provocarono scontri con alcuni giovani comunisti che erano presenti.[14]
Nel 1960, quando era in discussione al Senato la fiducia al governo Tambroni con il sostegno parlamentare del Movimento Sociale Italiano, al momento delle celebrazioni della Liberazione i senatori del MSI uscirono dall'aula, accolti al rientro da commenti sarcastici (ad esempio è citato «Vi eravate squagliati, come d'abitudine» da parte del socialista Sansone).[15]
Per la ricorrenza del 1973 Sandro Pertini tenne un discorso in piazza Duomo a Milano,[16] dopo le violenze del 12 aprile commesse da militanti di gruppi neofascisti e del MSI durante una manifestazione vietata dalla questura.
«Parliamo dunque di coloro che vorrebbero ancora una volta [...] uccidere la libertà, di questi sciagurati, rifiuti di fogna, che sono i neofascisti»
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