Amarcord è un film del 1973 diretto da Federico Fellini.
È uno dei film più noti del regista riminese, al punto che lo stesso titolo Amarcord, univerbazione della frase romagnola "a m'arcord" ("io mi ricordo") è diventato un neologismo della lingua italiana, con il significato di rievocazione in chiave nostalgica[1].
La vicenda narra la vita che si svolge nell'antico borgo di Rimini da una primavera all'altra, nei primi anni Trenta. Un anno esatto di storia, dove si assiste ai miti, ai valori e al quotidiano di quel tempo attraverso gli abitanti della provinciale cittadina: la provocante parrucchiera Gradisca, la lussuriosa Volpina, una tabaccaia formosa, un ampolloso avvocato dalla facile retorica, un emiro dalle cento mogli, il matto Giudizio e un motociclista esibizionista.
Tutti loro interagiscono col folklore delle feste paesane, le adunate del "sabato fascista", attendono al chiaro di luna il passaggio del transatlantico Rex e la famosa gara automobilistica delle Mille Miglia. Ma i veri protagonisti sono i sogni ad occhi aperti dei giovani del paese, presi da una prepotente esplosione sessuale.
Tra questi adolescenti emerge Titta, che cresce subendo condizionamenti sia fuori che dentro le mura domestiche. La sua vita si divide tra l'inarrivabile Gradisca, i grossi seni della tabaccaia e i balli d'estate al Grand Hotel spiati da dietro le siepi. La sua famiglia è composta dal padre Aurelio, un piccolo impresario edile perennemente in discordia con la moglie Miranda, lo zio Lallo, che vegeta alle spalle dei parenti, lo zio Teo, ricoverato in manicomio e il nonno che scoppia di salute e non si fa mancare delle libertà con la domestica.
![]() Magali Noël interpreta la "Gradisca" |
Il ruolo della "Gradisca" era stato inizialmente affidato a Sandra Milo, e - successivamente al rifiuto dell'attrice toscana - a Edwige Fenech, ma poco prima di firmare il contratto Fellini cambiò idea, perché secondo lui Edwige, nonostante la nota procacità, era "troppo magra", e non riusciva a prendere chili. Fellini scelse quindi Magali Noël, che aveva una fisicità più prorompente, ed aveva 16 anni in più.
Nel film recita un breve cameo il cantante del gruppo Banco del Mutuo Soccorso, Francesco Di Giacomo. Il Principe Umberto fu interpretato dal caratterista Marcello Di Folco (in arte Marcello Di Falco), divenuto poi Marcella Di Folco, nota più tardi come politica e leader del Movimento Italiano Transessuali.[2] Nella scena del lancio di palle di neve, compare tra i bambini il futuro cantante Eros Ramazzotti[3]. Oliva, il fratello di Titta, e altri amici, sono interpretati infatti da comparse prese tra i ragazzi del quartiere Cinecittà.
Aristide Caporale (sempre nel ruolo di Giudizio), Dante Cleri, Marcello di Falco, Francesco Di Giacomo, Nella Gambini[4], Franco Magno, Fides Stagni e Alvaro Vitali erano già presenti in Roma, film di Fellini a questo precedente.
Il film uscì nelle sale italiane il 13 dicembre 1973, e fu poi presentato fuori concorso al Festival di Cannes 1974.[5] La locandina e i titoli di testa sono opera del grafico statunitense John Alcorn. Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare[6].
Amarcord è senza dubbio il più autobiografico dei film del regista riminese: il titolo stesso è un'affermazione e una conferma di ciò - a m'arcord "mi ricordo"[7] - ed è proprio questo che Fellini ricorda attraverso gli occhi del suo alter ego (che per una volta non è Mastroianni, ma Bruno Zanin), il suo paese, la sua giovinezza, i suoi amici e tutte le figure che gli giravano attorno.[7]
L'elemento autobiografico nell'arte di Fellini, comunque, è senza dubbio quello preponderante, basti pensare a Intervista, Roma ed a I vitelloni: quest'ultimo caso, può essere considerato il "seguito" di Amarcord: i ragazzi sono cresciuti, i problemi sono altri, ma possiamo sempre riconoscere in Moraldo, il giovane che alla fine del film abbandona il paese natale per andare a vivere in una grande città, il giovane Fellini, che abbandona Rimini verso Roma. Un'ulteriore vena di "passato" la troviamo nelle musiche del maestro Nino Rota: musiche dolci, leggere come i ricordi che accompagnano e mostrano agli occhi degli spettatori.[7]
Il ritorno di Fellini in Romagna si celebra dunque attraverso i piccoli accadimenti di una Rimini in pieno trionfalismo fascista tutt'altro che esaltato.[8] Il ventaglio di una vita si apre nella coralità di un'opera degna del miglior Fellini, non a caso premiato con l'Oscar.[7] Grazie alla collaborazione dello scrittore Tonino Guerra, davanti agli occhi dello spettatore sfila una ricchezza tale di volti e luoghi, divertimenti e finezze, malinconie e suggestioni, da far apprezzare il film a tutto il mondo. Attraverso i toni della commedia venata di malinconia, Amarcord distilla generosamente umori e sensazioni.[7] Tutto ciò è riconoscibile nel film ma, come sottolinea Mario Del Vecchio, è la sostanza poetica che salta agli occhi. I protagonisti di Amarcord, e soprattutto le figure di contorno, non solo sono caricature di altrettante persone colte in un particolare momento storico; piuttosto, sono tipi universali, che vanno oltre la dimensione temporale per diventare immortali come, appunto, la poesia.[8]
Secondo il poeta Tonino Guerra, co-sceneggiatore del film insieme al regista, il titolo Amarcord non fa riferimento solo all'espressione dialettale romagnola Mi ricordo:[9][10]
«Tutti pensano che sia solo il riferimento al dialetto `mi ricordo': è vero, ma solo per assonanza, perché in realtà deriva dalla `comanda' dei ricchi che entravano al bar chiedendo l'amaro Cora. Da amaro, amaro Cora, è nato Amarcord.» |
(Tonino Guerra intervistato da "La Repubblica") |
Ispirato da quell'espressione Guerra scriverà anche una poesia.
Nelle intenzioni di Fellini la parola Amarcord è un segno cabalistico, scelta per la particolare fonetica. Altre ipotesi per il titolo del film erano Il borgo o Viva l'Italia.[11]
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