Generazione di fenomeni è una frase d'autore usata nel gergo pallavolistico per indicare il gruppo di giocatori che costituirono l'ossatura della nazionale italiana maschile nel corso degli anni '90 del XX secolo, considerata una delle formazioni più forti di tutti i tempi.
Sotto la guida dapprima di Julio Velasco (1989-1996), poi di Bebeto (1996-1999) e infine di Andrea Anastasi (1999-2002), l'Italvolley riuscì a spezzare il dominio dei paesi dell'est europeo collezionando, tra il 1989 e il 2000, una serie di successi senza precedenti e tuttora in gran parte ineguagliati, inclusi tre campionati mondiali consecutivi.
L'espressione venne coniata nel 1994 dal giornalista televisivo italiano Jacopo Volpi,[1] ripresa dal titolo dell'omonima canzone del 1991 degli Stadio.
Nonostante una lunga tradizione nella pallavolo e le buone prestazioni a livello di club,[2] nel corso del XX secolo l'Italia, eccezion fatta per piazzamenti estemporanei come il successo all'Universiade 1970, la finale mondiale del 1978 o il bronzo olimpico di Los Angeles 1984, non aveva mai ottenuto particolari risultati come nazionale maschile,[2] rimanendo relegata ai margini del movimento internazionale.
La svolta arrivò nel 1989 con l'ingaggio di Julio Velasco.[2] L'argentino, il primo allenatore della nazionale a tempo pieno,[3] iniziò a rivoluzionare la squadra:[2] assunse un nuovo staff,[2] introdusse sessioni video per analizzare le partite azione per azione,[2][3] redasse schede di rendimento e di statistiche individuali.[3] Nello stesso anno, al debutto da selezionatore azzurro in una competizione, Velasco portò subito l'Italvolley alla prima, importante vittoria della sua storia, trionfando al campionato europeo.[2]
Il successo continentale fu il primo di un decennio memorabile, durante il quale la nazionale azzurra conquistò in primis tre titoli mondiali consecutivi — filotto mai riuscito prima nella storia —: nel 1990 e nel 1994 sempre con Velasco, e nel 1998 con il brasiliano Bebeto. Tale gruppo portò inoltre a casa altri tre ori europei, sette edizioni della World League[3] e vittorie in tutte le altre principali manifestazioni internazionali dell'epoca quali Coppa del Mondo, Giochi del Mediterraneo, Goodwill Games, World Top Four, World Super Challenge e Grand Champions Cup. L'unica mancanza in questo dominio altrimenti incontrastato fu rappresentata dall'oro olimpico,[3] che sfuggì nelle edizioni di Barcellona 1992 (5º posto), Atlanta 1996 (argento, con sconfitta contro gli olandesi per 17-15 al tie-break) e Sydney 2000 (bronzo).
A riprova della competitività della Generazione, il gruppo azzurro fu capace di assestarsi con continuità ai vertici mondiali pur a fronte delle varie riforme e innovazioni apportate al gioco della pallavolo nel corso degli anni 90: dall'abbandono del cambio-palla in favore del rally point system, all'introduzione del ruolo del libero.
Il successo nell'europeo del 1999, con Andrea Anastasi passato nel frattempo dal campo alla panchina, a posteriori chiuse questo ciclo azzurro. Dopo avere incamerato l'ottava e ultima World League nel 2000, la nazionale italiana perse il predominio del circuito mondiale, rimanendo comunque una delle squadre di riferimento: tra gli ultimi colpi di coda della Generazione, ormai limitata a pochi senatori e guidata in questo periodo da Gian Paolo Montali, ci furono i due titoli continentali consecutivi del biennio 2003-2005.
Tra gli atleti protagonisti della generazione di fenomeni si ricordano:
La squadra che ha vinto tre campionati mondiali consecutivi tra il 1990 e 1998 è stata inserita nella Volleyball Hall of Fame nel 2002 ed è stata nominata "Migliore squadra del secolo" dalla Federazione internazionale di pallavolo.[2] Tre atleti di questa nazionale (Andrea Giani, Andrea Gardini e Lorenzo Bernardi) e l'allenatore Julio Velasco sono stati anch'essi singolarmente inseriti nella stessa Hall of Fame.[4] Inoltre Lorenzo Bernardi è stato nominato Miglior giocatore del secolo.[5]
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