Elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 2020 | ||||
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Stato | Stati Uniti | |||
Data | 3 novembre | |||
Affluenza | 66,7 % ( 11 %) | |||
Candidati | Joe Biden | Donald Trump | ||
Partito | Democratico | Repubblicano | ||
Voti | 81 268 924[1] 51,3 % |
74 216 154[1] 46,9 % | ||
Grandi elettori | 306 56,9% |
232 43,1% | ||
Presidente uscente | ||||
Donald Trump (Partito Repubblicano) | ||||
2016 2024 |
Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 2020 si sono tenute il 3 novembre e sono state le 59e elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti.
In virtù del funzionamento del sistema elettorale statunitense, gli elettori sono stati chiamati a eleggere i cosiddetti grandi elettori che il 14 dicembre 2020 si riuniranno nel collegio elettorale per eleggere il nuovo presidente e il suo vice presidente.[2] Prima delle effettive elezioni presidenziali si è svolta una serie di elezioni primarie e di caucus, aventi lo scopo di individuare il candidato di ogni partito alle elezioni. Questa fase preliminare si è tenuta durante la prima metà del 2020. Anche questa procedura di nomina è un'elezione indiretta, in cui gli iscritti di ogni partito nominano dei delegati, che poi sono chiamati a eleggere il candidato del proprio partito in una convention che ufficializza la nomina del candidato alla presidenza e di quello alla vice presidenza (il ticket).
Il presidente uscente Donald Trump ha annunciato di volersi candidare ad un secondo mandato per il Partito Repubblicano. A seguito di questa candidatura, i dirigenti di questo partito di numerosi Stati hanno annunciato di non tenere le primarie e i caucus, in dimostrazione di sostegno della candidatura di Trump.[3] Per il Partito Democratico inizialmente sono pervenute 27 candidature, il numero più alto mai avuto per un processo di nomina del candidato presidenziale nella storia delle elezioni presidenziali statunitensi moderne. Al termine della procedura di elezioni primarie, la convention, il partito ha proclamato Joe Biden candidato ufficiale alla Casa Bianca. Biden ha poi indicato come compagna di ticket la senatrice californiana Kamala Harris.
Queste elezioni sono risultate essere quelle con la più alta affluenza della storia degli Stati Uniti dal 1900 ed entrambi i candidati hanno battuto il record di preferenze totali ottenuto precedentemente da Barack Obama alle elezioni presidenziali del 2008.[4]
Il vincitore delle elezioni è risultato essere Joe Biden,[5][6] il quale ha interrotto dopo 28 anni la serie di vittorie da parte dei presidenti uscenti ricandidati dai rispettivi partiti. Biden è divenuto presidente degli Stati Uniti d'America dopo essere stato eletto dal collegio elettorale il 14 dicembre 2020 e ha iniziato ufficialmente il suo mandato il 20 gennaio 2021.[2]
Sin dalle ore immediatamente successive allo spoglio, il Presidente uscente Donald Trump si è rifiutato di riconoscere l’esito delle votazioni e la vittoria dello sfidante, sostenendo la presenza di brogli e annunciando ricorsi legali.[7] Il 23 novembre 2020 l'amministrazione Trump ha consentito l'avvio della transizione.[8]
L'articolo 2 della Costituzione degli Stati Uniti d'America prevede che una persona che si voglia candidare alla presidenza sia cittadino statunitense dalla nascita, abbia almeno 35 anni di età e risieda su suolo statunitense da almeno 14 anni. Solitamente il candidato cerca di ottenere la nomina da uno dei partiti politici attraverso il procedimento delle elezioni primarie in cui i singoli partiti giungono alla nomina del proprio candidato. Nella maggior parte dei casi, le elezioni primarie sono delle elezioni indirette: gli iscritti di ogni partito eleggono una serie di "delegati" che si recheranno successivamente alla convention del proprio partito dove eleggeranno ufficialmente il proprio candidato alla presidenza e alla vice presidenza (il ticket), anche se quest'ultimo è spesso scelto direttamente dal candidato alla presidenza. Anche le elezioni presidenziali di novembre sono delle elezioni indirette: gli elettori nominano dei delegati (i grandi elettori), che successivamente si riuniranno nel Collegio elettorale ed eleggeranno direttamente il presidente e il vice presidente.
Il 25 agosto 2018 il Comitato nazionale democratico (DNC) ha fortemente limitato l'influenza dei cosiddetti "superdelegati", ovvero di quei delegati nominati automaticamente alla convention del Partito Democratico e quindi liberi di scegliere il loro candidato preferito, a differenza dei pledged delegates, quei delegati che sono stati nominati durante il processo delle primarie e che "promettono" di votare alla convention per un certo candidato. Da questa tornata elettorale in poi, i superdelegati, che sono circa un 15% circa del totale dei delegati alla convention non potranno votare alla prima votazione che si terrà alla convention democratica.[9][10]
Per quanto riguarda il Partito Repubblicano, alcune sezioni statali del partito hanno cancellato la loro procedura delle primarie appoggiando direttamente la ricandidatura di Donald Trump, mentre altre sezioni hanno pensato di farlo.[11] Come precedente di questa scelta, si citano i casi della cancellazione delle primarie repubblicane durante le rielezioni di George H. W. Bush e di suo figlio George W. Bush, rispettivamente nel 1992 e nel 2004. Anche il Partito Democratico in precedenza ha cancellato le sue elezioni primarie: è successo nel 1996 per non ostacolare la ricandidatura di Bill Clinton e nel 2012 per non intralciare la nomina di Barack Obama.[12][13]
Il 26 agosto 2019 lo stato del Maine ha approvato una norma che consente, sia per le elezioni primarie sia per quelle generali, il sistema del voto alternativo: un sistema in cui si prevede che l'elettore, nel caso in cui vi siano più di due candidati, abbia la possibilità di indicare un ordine di preferenza fra i candidati.[14][15] La mancata firma del governatore del Maine Janet Mills non consente che la norma venga applicata materialmente già dalle primarie democratiche del 2020 che hanno preso inizio a marzo 2020, tuttavia la norma è valida e quindi il Maine sarà probabilmente il primo stato ad applicare il sistema del voto alternativo per le elezioni presidenziali.[16] L'applicazione di questo sistema, che il Maine e il Nebraska utilizzano da diversi anni per le elezioni dei loro rappresentanti al Congresso, potrebbe potenzialmente complicare le operazioni di scrutinio e l'interpretazione del voto popolare.
Il 22º emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d'America non consente a chi abbia già ricoperto due mandati presidenziali di candidarsi nuovamente alla presidenza. Quindi questa norma vieta agli ex presidenti Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama di ricandidarsi. Tra gli ex presidenti ancora in vita, l'unico che può candidarsi è Jimmy Carter, essendo stato presidente per un solo mandato. Tuttavia, Carter ha già dichiarato di non volersi candidare,[17] soprattutto per ovvi motivi di età e di salute.
Da molto tempo le strategie dei partiti politici statunitensi seguono con costanza i trend demografici degli elettori. Per le elezioni presidenziali del 2020, il gruppo degli elettori di età compresa tra i 18 e i 45 anni, il cuore dell'elettorato statunitense, dovrebbe stare di poco al di sotto del 40% dell'elettorato complessivo, mentre il 30% degli elettori è di etnia non bianca.[18] Un rapporto condotto da entrambi i partiti prevede che gli elettori afroamericani, ispanici, asiatici e di altre etnie minori, come anche gli elettori "bianchi con un diploma al college" saranno in aumento rispetto alle elezioni del 2016. Un dato che favorirebbe il Partito Democratico anche se, a causa delle differenze di collocazione geografica di queste tendenze, ciò potrebbe non limitare fortemente le possibilità di Donald Trump di vincere le elezioni nel Collegio elettorale sebbene possa ottenere un numero di voti popolari ancora inferiore rispetto al 2016.[19]
Le elezioni presidenziali del 2020 si sono tenute in contemporanea con le elezioni di un terzo dei componenti del Senato e di tutti i componenti della Camera dei Rappresentanti. Diversi Stati hanno avuto le proprie elezioni per nominare il loro rispettivo governatore e i rappresentanti delle loro Camere. Dopo le elezioni, la Camera dei Rappresentanti procederà a una riorganizzazione dei distretti elettorali sulla base dei risultati del nuovo censimento e a cascata un procedimento simile di riorganizzazione dei distretti elettorali si avrà anche a livello statale. Ciò a dimostrazione dell'importanza di queste elezioni presidenziali e delle contemporanee elezioni per la Camera dei Rappresentanti, per il Senato e di quelle statali. Infatti i vincitori di queste elezioni potranno procedere alla modifica dei distretti elettorali, che non si potranno modificare fino al 2032. Inoltre, a causa del noto coattail effect, la vittoria del proprio candidato alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe favorire la vittoria dei singoli candidati al Congresso e a livello statale, determinando un assetto politico stabile almeno per i prossimi quattro anni.
La campagna democratica |
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Slogan
Build Back Better Restore The Soul of America Our best days still lie ahead We are America, second to none Anything is possible No Malarkey! This is America |
Il candidato del Partito Democratico è stato Joe Biden,[20] già Senatore per lo stato del Delaware (1973-2009) ed ex-vicepresidente degli Stati Uniti (2009-2017) avendo raggiunto la quota di 1.991 delegati il 6 giugno 2020.[21]
Nell'agosto 2018 il Comitato Nazionale Democratico ha votato per impedire ai superdelegati di votare al primo scrutinio del processo di nomina a partire dalle elezioni del 2020. Ciò ha richiesto che un candidato vincesse la maggioranza dei delegati promessi dalle elezioni primarie assortite per vincere la nomina del partito. L'ultima volta in cui ciò non si verificò fu per la nomina di Adlai Stevenson II alla Convenzione Nazionale Democratica del 1952.[22] Nel frattempo sei stati hanno scelto di utilizzare il Voto alternativo nelle primarie: Alaska, Hawaii, Kansas e Wyoming per tutti gli elettori; e Iowa e Nevada per il voto a distanza.[23]
Dopo la sconfitta di Hillary Clinton nelle precedenti elezioni, il Partito Democratico è stato in gran parte visto come senza leader[24] e si è fratturato tra l'ala centrista di Clinton e l'ala più progressista del partito che fa capo a Sanders, facendo eco alla frattura sollevata nelle elezioni primarie del 2016.[25][26]Nel 2018 diversi distretti della Camera degli Stati Uniti che i democratici speravano di ottenere dalla maggioranza repubblicana hanno avuto elezioni primarie controverse. Questi scontri sono stati descritti da Elena Schneider di Politico come una "guerra civile democratica".[27] Nel frattempo c'è stato uno spostamento generale a sinistra per quanto riguarda le tasse scolastiche, l'assistenza sanitaria e l'immigrazione tra i Democratici al Senato.[28][29]
Complessivamente, il campo delle primarie del 2020 aveva 29 candidati principali[30], battendo il record per il campo più grande nell'ambito del moderno sistema delle primarie presidenziali precedentemente stabilito durante le primarie del Partito Repubblicano del 2016 con 17 candidati principali.[31] Diverse donne si candidarono, aumentando le probabilità che i Democratici nominassero una donna per la seconda volta di seguito.[32]
Arrivati ai caucus dell'Iowa il 3 febbraio 2020, il campo era sceso a 11 candidati principali. Pete Buttigieg ha sconfitto di poco Bernie Sanders in Iowa, poi Sanders ha battuto Buttigieg nelle primarie dell'11 febbraio nel New Hampshire. Dopo l'abbandono di Michael Bennet, Deval Patrick e Andrew Yang, Sanders ha vinto i caucus del Nevada il 22 febbraio. Joe Biden ha poi vinto le primarie della Carolina del Sud, costringendo Buttigieg, Amy Klobuchar e Tom Steyer ad abbandonare le loro campagne; Buttigieg e Klobuchar hanno poi immediatamente sostenuto la candidatura di Biden. Dopo il Super Tuesday, 3 marzo, Michael Bloomberg ed Elizabeth Warren hanno abbandonato la gara, lasciando tre candidati rimasti: Biden e Sanders, i principali contendenti, e Tulsi Gabbard, che rimase in gara nonostante le scarse probabilità di vittoria.[33] Gabbard poi abbandonò e sostenne Biden dopo la corsa del 17 marzo, Arizona, Florida e Illinois.[34] L'8 aprile 2020, Sanders si ritira dalla corsa, secondo quanto riferito dopo essere stato convinto dall'ex presidente Barack Obama, lasciando Biden come l'unico grande candidato rimasto per la corsa alla Casa Bianca.[35][36] Biden ha poi ottenuto l'approvazione di Obama, Sanders e Warren.[37] Il 5 giugno 2020 Biden aveva ufficialmente guadagnato abbastanza delegati per garantire la sua nomina alla Convention Democratica,[38] e ha continuato a lavorare con Sanders per sviluppare una task force politica comune.[39]
L'11 agosto 2020 Biden, ufficialmente candidato come presidente, annunciò di aver scelto come candidata alla vicepresidenza Kamala Harris, già senatrice democratica e Procuratrice Generale per la California.[40] Harris, una volta eletta, è diventata la prima persona di colore a essere vicepresidente, prima vicepresente donna, primo vicepresidente afroamericano e primo asiatico-americano degli Stati Uniti. È inoltre la terza donna a candidarsi alla carica di vicepresidente, dopo Geraldine Ferraro nel 1984 e Sarah Palin nel 2008, nonché la prima persona in rappresentanza degli Stati Uniti occidentali a comparire nel ticket presidenziale del Partito Democratico.[41]
La campagna repubblicana |
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Slogan
Make America Great Again! Keep America Great |
Donald Trump ha formalmente ufficializzato di volersi ricandidare come presidente e di voler candidare nuovamente come vicepresidente Mike Pence, già vicepresidente durante la prima amministrazione Trump.[42][43] La campagna elettorale per la sua rielezione ha già preso avvio dalla sua precedente vittoria del 2016, spingendo alcuni commentatori a sostenere che la tattica elettorale di Trump, con quest'ultimo continuamente impegnato in manifestazioni politiche, si potesse descrivere come una "campagna elettorale senza fine".[44] Il 20 gennaio 2017 Trump ha ufficialmente presentato la documentazione necessaria per la sua candidatura secondo le norme del Federal Election Campaign Act.[45]
Tuttavia, a partire dal successivo agosto 2017, numerosi articoli di stampa hanno sostenuto l'esistenza di una fronda interna al Partito Repubblicano per ostacolare la ricandidatura di Trump, soprattutto da parte dell'establishment più moderato del partito. L'allora senatore dell'Arizona John McCain dichiarò che i repubblicani vedono nel suo presidente delle debolezze".[46] Susan Collins (senatrice del Maine), Rand Paul (senatore del Kentucky) e Chris Christie (ex governatore del New Jersey) hanno tutti espresso dubbi sul fatto che effettivamente Trump possa ottenere la nomination del Partito Repubblicano.[47][48] Altri commenti negativi alla sua ricandidatura sono provenuti dal senatore Jeff Flake e dall'esperto di strategia politica Roger Stone.[49][50] Tuttavia il 25 gennaio 2019 il Comitato nazionale repubblicano (RNC) ha espresso il suo appoggio alla ricandidatura di Trump, anche se in forma non ufficiale.[51]
Il primo politico repubblicano a presentare ufficialmente la sua candidatura sfidando quella di Trump è stato l'ex governatore del Massachusetts Bill Weld, annunciandolo il 15 aprile 2019.[52] Bill Weld, che alle elezioni presidenziali del 2016 era il candidato alla vice presidenza per il Partito Libertario, è considerato uno sfidante debole per via delle sue posizioni piuttosto libertarie su diversi temi, come il diritto all'aborto, sui matrimoni gay e sulla legalizzazione dell'uso di marijuana.[53] Successivamente è stato Joe Walsh, ex deputato alla Camera dei Rappresentanti e proveniente dall'Illinois, a presentare ufficialmente la sua candidatura il 25 agosto 2019, dichiarando: "Farò tutto quello che posso. Non voglio che Trump vinca. Il paese non può permettersi che lui vinca. Se non dovessi riuscirci, non lo voterò".[54] L'8 settembre 2019 anche l'ex governatore e deputato della South Carolina Mark Sanford ha presentato la sua candidatura ufficiale,[55] salvo poi ritirarla il 12 novembre successivo.[56]
Il 31 ottobre 2019 la Camera dei Rappresentanti ha votato per approvare le procedure che regoleranno le udienze pubbliche nell'ambito di un possibile impeachment nei confronti del presidente Trump in seguito allo scoppio del caso "Trump-Ucraina". Le udienze hanno preso nella metà novembre 2019, il processo è iniziato al Senato il 16 gennaio 2020 e si è concluso con la sua assoluzione il 5 febbraio.
La campagna libertaria |
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La candidata del Partito Libertario (o Libertariano) è Jo Jorgensen[57], docente di psicologia all'Università di Clemson[58] e già candidata a vice-presidente libertaria nel 1996.[59] Jorgensen è l'unica candidata presidenziale donna nel 2020 con accesso ad almeno 270 voti dei grandi elettori[60] e ha ricevuto il sostegno del candidato presidente libertario per le elezioni del 2012 e del 2016, Gary Johnson,[61] e del primo membro libertario del Congresso[62] Justin Amash.[63]
Jorgensen è stata scelta il 23 maggio 2020 come candidata del partito, dopo 4 votazioni, sebbene il candidato Jacob Hornberger avesse vinto più primarie e ricevuto più voti. Nella seguente tabella dei candidati sono presenti solo i candidati che hanno superato le nomine.
Candidato | Esperienza | Stato | Voti | Primarie vinte | Delegati al primo turno | Fonti |
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Jo Jorgensen | vedi sopra | Carolina del Sud | 4 578 | 1 (NE) | 248 | [64] |
Jacob Hornberger | Candidato indipendente per il Senato in Virginia del 2002
Candidato presidente nel 2000 Fondatore della Future of Freedom Foundation |
Virginia | 8 986 | 7 | 236 | [60][65] |
Vermin Supreme | 7 volte candidato presidente
Artista e attivista |
Massachusetts | 4 288 | 2 | 171 | [60][66] |
John Monds | Ex presidente della contea di Grady, Georgia
Candidato governatore della Georgia nel 2010 |
Georgia | 1 | 0 | 147 | [67][68] |
Jim Gray | Candidato vice presidente nel 2012
Giurista, ex presidente della Corte Superiore della Contea di Orange, California |
California | 42 | 0 | 98 | [69] |
Adam Kokesh | Attivista politico anti-guerra
Candidato per il Senato dell'Arizona nel 2018 |
Arizona | 2 728 | 0 | 77 | [70][71] |
La campagna verde |
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Il candidato del Partito Verde con il maggior vantaggio alle primarie del partito è il co-fondatore del partito, candidato anche per il Partito Socialista degli USA e tre volte candidato governatore di New York Howie Hawkins, sostenuto anche dai candidati presidente del Partito Verde del 2012 e del 2016.[72][73][74]
Nella seguente tabella sono indicati solo i candidati la cui campagna è stata ufficialmente riconosciuta dal Partito Verde e/o rientra nei suoi criteri.[75][76][77]
Candidato | Esperienza | Stato | Voti | Primarie vinte | Delegati | Fonti |
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Howie Hawkins | vedi sopra | New York | 5 056 | 19 | 129,5/382 | [72][73][74] |
Dario Hunter | Ex membro del Consiglio d'Istruzione di Youngstown | California | 3 040 | 1 | 42,5/382 | [78] |
David Rolde | Ex segretario del Partito Verde-Arcobaleno del Massachusetts | Massachusetts | 958 | 0 | 5/382 | [77][79] |
Partito | Candidato | Esperienza | Vice | Accesso a | Fonti |
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Partito della Costituzione | Don Blankenship | Dirigente del carbone in West Virginia | William Mohr | 14 stati[80] | [81] |
Partito per il Socialismo e la Liberazione con sostegno di: Partito Pace e Libertà, Liberty Union Party | Gloria La Riva | Attivista californiana | Leonard Peltier | 3 stati | [82][83] |
Partito Proibizionista con Partito Indipendente Americano | Phil Collins | Ex amministratore di Libertyville, Nevada | Billy Joe Parker | 3 stati | [84][85] |
Partito dell'Alleanza | Rocky De La Fuente | Uomo d'affari e "candidato perenne" in Florida | Darcy Richardson | 2 stati | [86] |
Pane e Rose | Jerome Segal | Filosofo dal Maryland | John de Graaf | 1 stato | [87] |
Partito Marijuana Legale Ora | Rudy Reyes | Insegnante, archeologo e attivista californiano | non ancora scelto | 1 stato | [88] |
Partito dell'Unità d'America | Bill Hammons | Fondatore del partito, dal Texas | Eric Bodenstab | 1 stato | [89] |
Partito Americano della Solidarietà | Brian T. Carroll | Insegnante californiano | Amar Patel | write-in in 8 stati | [90][91] |
Birthday Party | Kanye West | Cantante | Michelle Tidball | 11 stati | [92] |
Partito | Candidato Presidente | Candidato Vicepresidente | Preferenze | % | Grandi elettori | |
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Partito Democratico | Joe Biden | Kamala Harris | 81 283 485 | 51,4% | 306 | |
Partito Repubblicano | Donald Trump | Mike Pence | 74 223 744 | 46,9% | 232 | |
Partito Libertario | Jo Jorgensen | Spike Cohen | 1 865 873 | 1,2% | 0 | |
Partito Verde degli Stati Uniti | Howie Hawkins | Angela Nicole Walker | 399 116 | 0,3% | 0 | |
Altri candidati | 439 862 | 0,3% | 0 | |||
Totale votanti | 158 212 080 | 100% | 538 |
Stato | GE | Votanti[93] | Affluenza[93] | Joe Biden (D) |
Donald Trump (R) |
Jo Jorgensen (L) |
Altri candidati | Precedenti[94] | |||||||
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Voti | % | Voti | % | Voti | % | Voti | % | Affl. 2016 |
Vinc. 2016 |
Vinc. variato? |
Prec. variaz. | ||||
Alabama[95] | 9 | 2 323 282 | 63,1% | 849 624 | 36,6% | 1 441 170 | 62,0% | 25 176 | 1,1% | 7 312 | 0,3% | 59,3% | R | No | 1980 |
Alaska[96] | 3 | 357 569 | 68,8% | 153 778 | 43,0% | 189 951 | 53,1% | 8 897 | 2,5% | 4 943 | 1,4% | 61,8% | R | No | 1968 |
Arizona[97] | 11 | 3 387 326 | 65,9% | 1 672 143 | 49,4% | 1 661 686 | 49,1% | 51 465 | 1,5% | 2 032 | 0,1% | 56,2% | R | Sì | 2000 |
Arkansas[98] | 6 | 1 219 069 | 56,1% | 423 932 | 34,8% | 760 647 | 62,4% | 13 133 | 1,1% | 21 357 | 1,8% | 53,0% | R | No | 2000 |
California[99] | 55 | 17 500 871 | 68,5% | 11 110 250 | 63,5% | 6 006 429 | 34,3% | 187 895 | 1,1% | 196 297 | 1,1% | 57,8% | D | No | 1992 |
Carolina del Nord[100] | 15 | 5 511 489 | 71,5% | 2 684 292 | 48,7% | 2 758 775 | 50,1% | 48 678 | 0,9% | 19 744 | 0,4% | 65,2% | R | No | 2012 |
Carolina del Sud[101] | 9 | 2 513 329 | 64,5% | 1 091 541 | 43,4% | 1 385 103 | 55,1% | 27 916 | 1,1% | 8 769 | 0,3% | 57,3% | R | No | 1980 |
Colorado[102] | 9 | 3 256 980 | 76,4% | 1 804 352 | 55,4% | 1 364 607 | 41,9% | 52 460 | 1,6% | 35 561 | 1,1% | 71,9% | D | No | 2008 |
Connecticut[103] | 7 | 1 823 857 | 71,5% | 1 080 831 | 59,3% | 714 717 | 39,2% | 20 230 | 1,1% | 8 079 | 0,4% | 65,2% | D | No | 1992 |
Dakota del Nord[104] | 3 | 361 819 | 64,5% | 114 902 | 31,8% | 235 595 | 65,1% | 9 393 | 2,6% | 1 929 | 0,5% | 60,1% | R | No | 1968 |
Dakota del Sud[105] | 3 | 422 609 | 66,0% | 150 471 | 35,6% | 261 043 | 61,8% | 11 095 | 2,6% | 0 | 0,0% | 60,0% | R | No | 1968 |
Delaware[106] | 3 | 503 681 | 70,7% | 295 933 | 58,8% | 200 327 | 39,8% | 4 993 | 1,0% | 2 428 | 0,5% | 63,7% | D | No | 1992 |
Distretto di Columbia[107] | 3 | 344 356 | 64,1% | 317 323 | 92,1% | 18 586 | 5,4% | 2 036 | 0,6% | 6 411 | 1,9% | 60,5% | D | No | mai[108] |
Florida[109] | 29 | 11 067 456 | 71,7% | 5 297 045 | 47,9% | 5 668 731 | 51,2% | 70 324 | 0,6% | 31 356 | 0,3% | 65,6% | R | No | 2016 |
Georgia[110] | 16 | 4 997 716 | 67,7% | 2 473 633 | 49,5% | 2 461 854 | 49,3% | 62 229 | 1,2% | 0 | 0,0% | 59,9% | R | Sì | 1996 |
Hawaii[111] | 4 | 574 469 | 57,5 % | 366 130 | 63,7% | 196 864 | 34,3% | 5 539 | 1,0% | 5 936 | 1,0% | 42,5% | D | No | 1988 |
Idaho[112] | 4 | 867 231 | 67,7% | 287 021 | 33,1% | 554 119 | 63,9% | 16 304 | 1,9% | 9 787 | 1,1% | 61,2% | R | No | 1968 |
Illinois[113] | 20 | 6 033 438 | 67,0 % | 3 471 915 | 57,5% | 2 446 891 | 40,6% | 66 544 | 1,1% | 48 088 | 0,8% | 63,1% | D | No | 1992 |
Indiana[114] | 11 | 3 033 112 | 61,4% | 1 242 413 | 41,0% | 1 729 516 | 57,0% | 59 232 | 2,0% | 1 951 | 0,1% | 57,8% | R | No | 2012 |
Iowa[115] | 6 | 1 686 534 | 73,2% | 759 061 | 45,0% | 897 672 | 53,2% | 19 637 | 1,2% | 10 164 | 0,6% | 68,8% | R | No | 2016 |
Kansas[116] | 6 | 1 372 303 | 65,9% | 570 323 | 41,6% | 771 406 | 56,2% | 30 574 | 2,2% | 0 | 0,0% | 58,1% | R | No | 1968 |
Kentucky[117] | 8 | 2 136 728 | 64,9% | 772 474 | 36,2% | 1 326 646 | 62,1% | 26 234 | 1,2% | 11 374 | 0,5% | 59,5% | R | No | 2000 |
Louisiana[118] | 8 | 2 148 062 | 64,6% | 856 034 | 39,9% | 1 255 776 | 58,5% | 21 645 | 1,0% | 14 607 | 0,7% | 60,4% | R | No | 2000 |
Maine[119] (intero stato) |
2 | 819 374 | 76,3% | 435 072 | 53,1% | 360 737 | 44,0% | 14 152 | 1,7% | 9 413 | 1,1% | 72,9% | D | No | 1992 |
Maine DC1 | 1 | – | – | 266 376 | 60,1% | 164 045 | 37,0% | 7 343 | 1,7% | 5 303 | 1,2% | – | D | No | 1992 |
Maine DC2 | 1 | – | – | 168 696 | 44,8% | 196 692 | 52,3% | 6 809 | 1,8% | 4 110 | 1,1% | – | R | No | 2016 |
Maryland[120] | 10 | 3 017 917 | 70,7% | 1 985 023 | 65,8% | 976 414 | 32,4% | 33 488 | 1,1% | 22 992 | 0,8% | 66,2% | D | No | 1992 |
Massachusetts[121] | 11 | 3 615 075 | 72,1% | 2 382 202 | 65,9% | 1 167 202 | 32,3% | 47 013 | 1,3% | 18 658 | 0,5% | 67,9% | D | No | 1988 |
Michigan[122] | 16 | 5 539 284 | 73,9% | 2 804 040 | 50,6% | 2 649 852 | 47,8% | 60 381 | 1,1% | 25 011 | 0,5% | 65,6% | R | Sì | 2016 |
Minnesota[123] | 10 | 3 268 450 | 79,9% | 1 717 077 | 52,5% | 1 484 065 | 45,4% | 34 976 | 1,1% | 32 332 | 1,0% | 74,7% | D | No | 1976 |
Mississippi[124] | 6 | 1 313 759 | 60,2% | 539 398 | 41,1% | 756 764 | 57,6% | 8 026 | 0,6% | 9 571 | 0,7% | 55,5% | R | No | 1980 |
Missouri[125] | 10 | 3 025 962 | 66,3% | 1 253 014 | 41,4% | 1 718 736 | 56,8% | 41 205 | 1,4% | 13 007 | 0,4% | 62,2% | R | No | 2000 |
Montana[126] | 3 | 603 640 | 73,1% | 244 786 | 40,6% | 343 602 | 56,9% | 15 252 | 2,5% | 0 | 0,0% | 64,3% | R | No | 1996 |
Nebraska[127] (intero stato) |
2 | 951 712 | 68,6% | 374 583 | 39,4% | 556 846 | 58,5% | 20 283 | 2,1% | 0 | 0,0% | 63,6% | R | No | 1968 |
Nebraska DC1 | 1 | – | – | 132 261 | 41,3% | 180 290 | 56,3% | 7 495 | 2,3% | 0 | 0,0% | – | R | No | 1968 |
Nebraska DC2 | 1 | – | – | 176 468 | 52,2% | 154 377 | 45,7% | 6 909 | 2,0% | 0 | 0,0% | – | R | Sì | 2012 |
Nebraska DC3 | 1 | – | – | 65 854 | 22,4% | 222 179 | 75,6% | 5 879 | 2,0% | 0 | 0,0% | – | R | No | 1968 |
Nevada[128] | 6 | 1 391 297 | 65,4% | 703 486 | 50,6% | 669 890 | 48,1% | 14 783 | 1,1% | 3 138 | 0,2% | 57,1% | D | No | 2008 |
New Hampshire[129] | 4 | 803 833 | 75,5% | 424 937 | 52,9% | 365 660 | 45,5% | 13 236 | 1,6% | 0 | 0,0% | 72,6% | D | No | 2004 |
New Jersey[130] | 14 | 4 549 353 | 74,3% | 2 608 335 | 57,3% | 1 883 274 | 41,4% | 31 677 | 0,7% | 26 067 | 0,6% | 64,9% | D | No | 1992 |
New York[131] | 29 | 8 591 357 | 63,4% | 5 230 985 | 60,9% | 3 244 798 | 37,8% | 60 234 | 0,7% | 55 340 | 0,6% | 56,9% | D | No | 1988 |
Nuovo Messico[132] | 5 | 923 965 | 61,3% | 501 614 | 54,3% | 401 894 | 43,5% | 12 585 | 1,4% | 7 872 | 0,9% | 55,1% | D | No | 2008 |
Ohio[133] | 18 | 5 922 202 | 68,6% | 2 679 165 | 45,2% | 3 154 834 | 53,3% | 67 569 | 1,1% | 20 634 | 0,3% | 64,1% | R | No | 2016 |
Oklahoma[134] | 7 | 1 560 699 | 55,0% | 503 890 | 32,3% | 1 020 280 | 65,4% | 24 731 | 1,6% | 11 798 | 0,8% | 52,0% | R | No | 1968 |
Oregon[135] | 7 | 2 357 232 | 75,5% | 1 340 383 | 56,9% | 958 448 | 40,7% | 41 582 | 1,8% | 16 819 | 0,7% | 68,4% | D | No | 1988 |
Pennsylvania[136] | 20 | 6 915 283 | 71,0% | 3 458 229 | 50,0% | 3 377 674 | 48,8% | 79 380 | 1,1% | 0 | 0,0% | 62,8% | R | Sì | 2016 |
Rhode Island[137] | 4 | 517 757 | 65,7% | 307 486 | 59,4% | 199 922 | 38,6% | 5 053 | 1,0% | 5 296 | 1,0% | 59,0% | D | No | 1988 |
Tennessee[138] | 11 | 3 053 851 | 59,7% | 1 143 711 | 37,5% | 1 852 475 | 60,7% | 29 877 | 1,0% | 27 788 | 0,9% | 51,2% | R | No | 2000 |
Texas[139] | 38 | 11 315 056 | 60,4% | 5 259 126 | 46,5% | 5 890 347 | 52,1% | 126 243 | 1,1% | 39 340 | 0,3% | 51,2% | R | No | 1980 |
Utah[140] | 6 | 1 488 289 | 69,2% | 560 282 | 37,6% | 865 140 | 58,1% | 38 447 | 2,6% | 24 420 | 1,6% | 57,8% | R | No | 1968 |
Vermont[141] | 3 | 367 428 | 74,2% | 242 820 | 66,1% | 112 704 | 30,7% | 3 608 | 1,0% | 8 296 | 2,3% | 64,6% | D | No | 1992 |
Virginia[142] | 13 | 4 440 759 | 73,0% | 2 413 568 | 54,4% | 1 962 430 | 44,2% | 64 761 | 1,5% | 0 | 0,0% | 65,1% | D | No | 2008 |
Virginia Occidentale[143] | 5 | 794 731 | 57,6% | 235 984 | 29,7% | 545 382 | 68,6% | 10 687 | 1,3% | 2 678 | 0,3% | 49,9% | R | No | 2000 |
Washington[144] | 12 | 4 060 379 | 75,7% | 2 369 612 | 58,4% | 1 584 651 | 39,0% | 80 500 | 2,0% | 25 616 | 0,6% | 65,6% | D | No | 1988 |
Wisconsin[145] | 10 | 3 298 041 | 75,8% | 1 630 866 | 49,4% | 1 610 184 | 48,8% | 38 491 | 1,2% | 18 500 | 0,6% | 69,4% | R | Sì | 2016 |
Wyoming[146] | 3 | 275 026 | 64,6% | 73 491 | 26,7% | 193 559 | 70,4% | 5 768 | 2,1% | 2 208 | 0,8% | 60,0% | R | No | 1968 |
Totale nazionale | 538 | 158 224 997 | 66,7% | 81 268 586 | 51,4% | 74 215 875 | 46,9% | 1 865 617 | 1,2% | 874 919 | 0,6% | 59,8% | D | Sì | 2016 |
306 GE | 56,9% | 232 GE | 43,1% | 0 GE | 0,0% | 0 GE | 0,0% |
Cartogramma della distribuzione dei grandi elettori tra il Partito Democratico (porzioni in blu) e il Partito Repubblicano (porzioni in rosso)
Risultati per contea (in blu quelle in cui ha vinto Joe Biden, in rosso quelle in cui ha vinto Donald Trump)
La campagna elettorale del presidente uscente è stata apertamente critica verso il voto postale, storicamente favorevole ai candidati del Partito Democratico. Data la pandemia di COVID-19 in pieno corso durante le elezioni e l'elevata presenza di scettici tra i sostenitori del presidente, era infatti prevedibile che il voto postale fosse largamente a vantaggio dello sfidante. Inoltre le stesse dichiarazioni del presidente durante la campagna elettorale avrebbero contribuito a disincentivare l'utilizzo del voto postale da parte degli elettori repubblicani. Nella giornata del 3 settembre 2020 Trump, durante un comizio in Carolina del Nord, ha invitato i suoi elettori a "sfidare il sistema elettorale e votare due volte: una di persona e un'altra via posta" per testare se i controlli sul voto fossero realmente funzionanti, cosa che se fatta consapevolmente risulterebbe illegale.[147][148][149][150]
Sin dalle ore immediatamente successive allo spoglio, il Presidente uscente Donald Trump si è rifiutato di riconoscere l’esito delle votazioni e la vittoria dello sfidante, paventando brogli e annunciando ricorsi legali.[151] La scelta di Trump di non ammettere la sconfitta tramite un discorso pubblico risulta un unicum dal 1896 (sebbene il concession speech non sia formalmente richiesto a norma di legge) ed ha costituito un rilevante caso mediatico,[152] come anche le dichiarazioni successive da parte di Trump e del suo staff, in particolare quelle del segretario di stato Mike Pompeo secondo cui la transizione dei poteri sarebbe avvenuta verso una seconda amministrazione Trump.[153] Tali azioni hanno suscitato notevoli critiche al presidente uscente da parte di gran parte dei mezzi d'informazione nazionali ed internazionali ed anche da parte di numerosi esponenti di spicco dello stesso Partito Repubblicano[154] tra cui l'ex presidente George W. Bush ed il candidato repubblicano alle presidenziali del 2012 Mitt Romney, i quali si sarebbero entrambi congratulati con Joe Biden per l'elezione prima del presidente uscente.[155]
Trump avrebbe insistito vigorosamente sulle sue posizioni[156], diffondendo prevalentemente tramite i social accuse riguardanti presunti malfunzionamenti dei sistemi informatici per la trasmissione dei conteggi dai seggi ed avrebbe sostenuto che siano avvenute delle irregolarità quali voti effettuati da persone decedute, mancanza di corrispondenza tra i numeri delle schede elettorali e dei votanti registrati o situazioni in cui l'accesso ai seggi sarebbe stato impedito agli osservatori repubblicani durante la fase di spoglio elettorale. Diversi osservatori internazionali tra cui i funzionari dell'OSCE hanno sostenuto la mancanza di prove concrete[157] riguardo alla veridicità di tali affermazioni ed hanno accusato Trump di cercare di portare a termine un palese abuso di potere.[158] Il social network Twitter avrebbe inizialmente oscurato diversi tweet del presidente in quanto contenenti fake news ed in seguito posto su di essi il contrassegno "questa affermazione sulla frode elettorale è contestata", salvo poi chiudere permanentemente l'account del presidente uscente l'8 gennaio 2021.[159] Trump avrebbe inoltre licenziato il segretario alla difesa Mark Esper ed il direttore dell'Agenzia per la sicurezza informatica e delle infrastrutture (Cisa) Christopher C. Krebs il quale aveva definito le elezioni del 2020 "le più sicure della storia Usa".[160] Egli avrebbe inoltre impedito allo sfidante l'accesso ai fondi federali per la transizione dell'amministrazione oltre che alle informazioni di intelligence correlate.[161]
Il team legale di Trump avrebbe inoltre provato a trarre vantaggio dalla legislazione dello stato del Michigan in base alla quale in caso di risultati contestati la scelta dei delegati spetterebbe, indipendentemente dal voto popolare, alla legislatura dello stato (la quale era a maggioranza repubblicana). I due membri repubblicani del consiglio elettorale del Michigan sarebbero stati quindi convocati alla Casa Bianca ma avrebbero tuttavia espresso parere negativo riguardo all'opzione del rovesciamento del voto popolare. Il 23 novembre il consiglio elettorale del Michigan avrebbe certificato i risultati delle elezioni con 3 voti favorevoli (2 democratici e un repubblicano) ed un astenuto.[162]
In seguito al fallimento di oltre 30 diversi ricorsi in sede legale ed alla certificazione dei risultati delle elezioni in Georgia ed in Michigan, il 23 novembre il presidente uscente ha comunicato tramite Twitter di aver messo a disposizione la sua squadra per gestire il periodo prima dell'insediamento dello sfidante. Nel contempo Emily Murphy, la donna a capo del General Administration Services (GSA) che aveva tenuto in stand-by lo sblocco dei fondi federali e l'avvio dei protocolli, ha dato il via libera alla transizione di Joe Biden.[163]
Il 9 dicembre i procuratori generali di 17 Stati e 126 deputati repubblicani firmano l’appello promosso dal procuratore generale del Texas Ken Paxton che richiedeva l'annullamento di 20 milioni di voti in Pennsylvania e in altri stati. L'11 dicembre la richiesta è stata respinta all’unanimità dalla Corte Suprema. Il 14 dicembre il collegio elettorale ha eletto Biden come 46º presidente degli Stati Uniti d'America.[164]
Il 6 gennaio 2021, in occasione della seduta del Congresso degli Stati Uniti per la proclamazione dell'elezione di Joe Biden, una folla di manifestanti pro-Trump riesce ad oltrepassare il cordone di polizia a Capitol Hill e a raggiungere l'interno del Campidoglio. La sessione viene di conseguenza sospesa ed i membri del Congresso vengono evacuati. La manifestazione ha causato 5 morti e 13 feriti.[165][166][167] La seduta riprese in tarda serata, una volta evacuati i manifestanti, e nella notte del 7 gennaio è stata ratificata l'elezione di Joe Biden.[168]
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