Caso Maso

Caso Maso
Tipoomicidio multiplo
Data17 aprile 1991
LuogoMontecchia di Crosara
StatoBandiera dell'Italia Italia
Obiettivofamiglia Maso
Responsabili
  • Pietro Maso
  • Damiano Burato
  • Paolo Cavazza
  • Giorgio Carbognin
Conseguenze
Morti2

Il "caso Maso", noto anche come "delitto di Montecchia di Crosara", fu un caso di parricidio avvenuto il 17 aprile 1991 nel comune di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona.[1]

Pietro Maso (19 anni all’epoca), aiutato da tre amici, Giorgio Carbognin (18 anni), Paolo Cavazza (18 anni) e Damiano Burato (17 anni), uccise entrambi i suoi genitori, Antonio Maso e Mariarosa Tessari, al fine di appropriarsi della sua parte di eredità.[1] Venne arrestato il 19 aprile 1991 e poi condannato definitivamente a trent'anni di carcere, col riconoscimento della seminfermità mentale al momento del fatto.[2] Dopo averne trascorsi ventidue da detenuto, fu rimesso in libertà nel 2013[3] e, successivamente, ricoverato in clinica psichiatrica dal marzo 2016.[4] Ai suoi complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza, venne inflitta una pena di ventisei anni, mentre il minorenne Damiano Burato fu condannato a una pena di tredici anni[2].

Il delitto

Primi tentativi

Nell'autunno del 1990 Pietro ebbe problemi coi genitori; dichiarerà poi che le discussioni in famiglia erano fuori dall'ordinario, e che a loro voleva bene, ma negli ultimi mesi i genitori si mostravano preoccupati più del dovuto, poiché Pietro aveva lasciato da poco un lavoro dipendente come commesso in un supermercato; la collaborazione nelle concessionarie auto è solo saltuaria e le sue uscite serali con compagnie dubbie facevano preoccupare i genitori. Ed è soprattutto la madre Maria Rosa che in breve tempo scoprì due fatti.

Il 3 marzo 1991, una domenica, trovò nella taverna di casa due bombole di gas con una centralina di luci psichedeliche che si accendevano nel captare un forte suono (si utilizzavano nelle feste casalinghe, quando si vuole creare un effetto da discoteca con la musica) e una sveglia puntata sulle nove e trenta, vale a dire pochi minuti dopo la scoperta; inoltre nota un cuscino che ostruisce il camino. Pietro dirà poi che serviva tutto per una festa, che le bombole avrebbero dovuto alimentare due stufe per il riscaldamento e che quella sveglia l'aveva trovata nella macchina appena comprata usata e, non interessandogli, se n'era voluto disfare posandola distrattamente sul tavolo della taverna; riguardo al cuscino, disse che era servito per impedire al freddo di entrare dal camino.

In realtà l'insieme di quegli oggetti avrebbe dovuto causare la distruzione della casa; le bombole sarebbero infatti dovute esplodere, dopo aver sprigionato gran parte del loro gas nella taverna, per via delle scintille causate dall'accensione delle lampadine psichedeliche, a loro volta alimentate dall'impulso sonoro della sveglia una volta scattate le ore nove e trenta, mentre il cuscino aveva il compito di otturare il camino evitando vie di fuga al gas delle bombole. L'esplosione non avvenne poiché le sicure delle bombole erano state tolte, ma le loro manopole erano rimaste chiuse. A causa della sua inesperienza pratica Pietro non portò quindi a termine il suo primo piano di sterminare la famiglia.

Pochi giorni prima del delitto, Rosa trovò diverse banconote nella tasca di un paio di pantaloni di Pietro Maso e, dato che il figlio si era appena licenziato anche dall'autosalone, difficilmente avrebbe potuto procurarsele onestamente. Sospettando un suo coinvolgimento in qualche losco affare, la madre chiese spiegazioni e Pietro provò a tirar fuori come giustificazione che si trattava di una delle provvigioni che il suo ultimo datore di lavoro gli doveva ancora e, anzi, le propose di andare a chiedere conferma di ciò all'autosalone. Rosa accettò e si fece accompagnare in automobile dal figlio e da Giorgio Carbognin, armato di uno schiaccia-bistecche da scagliare sul capo della donna prima che arrivassero a destinazione. Giorgio non ebbe però il coraggio di agire, così Pietro fu costretto a inventarsi un'altra menzogna sulle banconote affinché Rosa rinunciasse a parlare col proprietario dell'autosalone. Quei soldi li avrebbe avuti da un conoscente che aveva scoperto, casualmente, essere responsabile di un traffico di computer; questo conoscente lo avrebbe pagato perché non lo denunciasse. Rosa volle credere a questa versione, ma la sua preoccupazione continuò.

Un terzo tentativo vide Giorgio Carbognin ancora una volta rinunciatario; avrebbe dovuto colpire i genitori di Pietro nel garage di casa loro, ma a Carbognin mancò ancora il coraggio di agire.

Il parricidio

Il quarto progetto, al quale presero parte anche Cavazza e Burato, sarà portato a termine. Le banconote ritrovate dalla madre di Maso provenivano da un prestito bancario chiesto da Giorgio Carbognin, per il quale aveva fatto da garante il suo datore di lavoro Aleardo Confente. I soldi, in origine, sarebbero serviti al giovane per acquistare una Lancia Delta Integrale usata; successivamente, però, la famiglia di Giorgio si oppose all'acquisto. Il ragazzo ubbidì e rinunciò all'automobile, ma non restituì subito il denaro alla banca, e, con Pietro, lo utilizzò in ristoranti di lusso, discoteche, bar e gioiellerie. Al momento della restituzione, Carbognin era ricorso a vari tentativi di procurarsi il denaro, ma tutti avevano fallito. Pietro, allora, decise di staccare un assegno del conto intestato alla madre, imitandone la firma e consegnando così 25 milioni all'amico. Il delitto doveva quindi essere messo in atto prima che la signora Rosa si accorgesse dell'ammanco.

Il delitto avvenne nella notte fra mercoledì 17 e giovedì 18 aprile 1991. Quella sera Maso, Carbognin, Cavazza e Burato si ritrovarono nel Bar John di Montecchia che usavano frequentare e discussero gli ultimi dettagli. Un loro amico, Michele, era stato informato del progetto, affinché ne prendesse parte, ma credette che i quattro ragazzi stessero scherzando. Quando poi i ragazzi ebbero lasciato il bar, Michele li accompagnò a casa di Pietro e si allontanò continuando a non credere agli amici. Alle 23 i genitori di Pietro non si trovavano ancora in casa, poiché stavano tornando da Lonigo (Vicenza), dove avevano preso parte a un incontro dei neocatecumenali. Pietro ne era al corrente in quanto aveva chiesto al padre la sua automobile per recarsi in discoteca. Sapeva quindi che entro pochi minuti i genitori avrebbero fatto ritorno a casa.

Alle 23:10 l'Alfetta blu scura entrò nel garage. Antonio accese la luce, ma si accorse che mancava la corrente. In realtà, era stato il figlio a svitare la lampadina per mantenere l'ambiente al buio. Così salì le scale per raggiungere il contatore al primo piano. Arrivato in cucina, venne subito colpito dal figlio, armato di un tubo di ferro, mentre Damiano lo colpì a sua volta con una pentola e, infine, gli calpestarono il capo a pedate. Poco dopo arrivò Rosa e venne aggredita da Paolo e Giorgio, armati rispettivamente di un bloccasterzo e di un'altra pentola. La madre di Pietro non morì sul colpo, così il figlio intervenne e, oltre a colpirla lui stesso, cercò di soffocarla mettendole in gola del cotone e chiudendole la faccia in un sacchetto di nylon[senza fonte]. Nel frattempo Paolo si accanì contro Antonio Maso, premendogli il piede sulla gola. Cinquantatré minuti dopo i primi colpi, le due vittime cessarono definitivamente di respirare.

A delitto compiuto, i ragazzi si disfecero degli oggetti serviti allo scopo e anche delle tute da lavoro utilizzate per proteggersi dal sangue. Burato, Carbognin e Cavazza avevano indossato delle maschere da diavolo. Paolo e Damiano rientrarono a casa. Pietro, invece, aveva bisogno di crearsi un alibi, così con Giorgio si reca in due diverse discoteche, dato che nella prima non riuscirono ad entrare poiché era in corso una festa privata ed era necessario un invito. Alle 2 del mattino rientrò a casa per inscenare la finta scoperta. Avvertì i vicini di aver visto, salendo le scale, "due gambe". Appariva scosso ed impaurito. Uno dei vicini entrò in casa, salì le scale e scoprì la scena. Quella sera era in corso una tempesta con lampi, tuoni e vento fortissimo (associata a nevicate in pianura fuori stagione in molte aree del Nord Italia), ciò rese i ragazzi più sicuri che eventuali rumori strani fossero difficilmente udibili dall'esterno.

Le indagini giudiziarie

Dapprima, come si auguravano i ragazzi, venne battuta la pista di un omicidio a scopo di rapina, ma ci si accorge ben presto che si trattava di un furto simulato. Un carabiniere anziano sospetta di un particolare: i cassetti erano stati trovati aperti e il contenuto gettato in giro per la stanza, quando un ladro, di solito, usa aprirli, e si limita a cercarvi denaro e oggetti di valore e poi andarsene. Questo e altri aspetti (alcune lampadine della villetta furono svitate dai ragazzi onde evitare che si accendessero) deviavano gli inquirenti verso la pista più atroce, cioè che l'assassino fosse appunto il figlio, il cui atteggiamento, tra l'altro, non pareva simile allo choc, alla rabbia e alla disperazione che colpiscono chi apprende di aver perso entrambi i genitori.

Le stesse sorelle, Nadia e Laura, ne furono chiaramente stupite e loro malgrado incominciarono a insospettirsi, allorché Laura si fu accorta dell'uscita di 25 milioni dal conto della madre ed ebbe trovato, lo stesso giorno, la firma falsa di Rosa Tessari e la scritta della cifra per esteso sulla rubrica telefonica di casa; Pietro le rivelò dell'assegno intestato a Giorgio Carbognin, aggiungendo che era stata la loro madre a firmarlo, ma non sapeva spiegare il perché di quelle scritte di prova sulla rubrica.

Queste e altre incongruenze emersero di ora in ora, così come le contraddizioni di Pietro durante i numerosi interrogatori. Stanco e pressato dagli inquirenti, il ragazzo confessò a tarda sera del 19 aprile, due giorni dopo il delitto. A ruota, anche i tre amici ammisero le loro responsabilità.

I processi

Arresto di Pietro Maso

Tutti vennero arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria divenne duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. Le aggravanti erano infatti la crudeltà, i futili motivi e, per Pietro, anche il vincolo di parentela. Per la perizia psichiatrica, richiesta dal pubblico ministero Mario Giulio Schinaia, venne chiamato lo psichiatra, docente e scrittore veronese Vittorino Andreoli.

Il responso del professore contempla la sanità mentale per tutti e tre gli imputati (Burato, non essendo ancora maggiorenne, verrà giudicato dal tribunale dei minori che lo condannerà a 13 anni) e quindi la piena capacità di intendere e di volere. Nello specifico caso di Maso, leader indiscusso oltre che figlio delle vittime, Andreoli parla di disturbo narcisistico della personalità, specificando che non è una forma di infermità mentale. Al processo, presso la Corte d'assise di Verona, il pubblico ministero chiese quindi il massimo della pena per Maso e poco meno di trent'anni per gli altri due. La sentenza venne emessa il 29 febbraio 1992, con la condanna di Pietro Maso a 30 anni e 2 mesi di reclusione; Cavazza e Carbognin furono condannati a 26 anni ciascuno. Nelle motivazioni vi è il riconoscimento di un vizio parziale di mente.

Ad alimentare l'indignazione pubblica vi è pure l'atteggiamento freddo e distaccato dei tre imputati al processo. Oltretutto, per diversi mesi, Maso pretese insistentemente la propria parte di eredità; solo il sollecito del suo avvocato difensore, al fine di accrescere la possibilità di evitare l'ergastolo in primo grado, lo convinse a rinunciarvi ufficialmente.

In secondo grado, la Corte d'appello di Venezia confermò la sentenza del primo. La Corte di cassazione confermò poi a propria volta. La condanna passò quindi in giudicato.

Le conseguenze mediatiche

Il "caso Maso" è all'origine di numerosi dibattiti in giornali e televisioni. L'ultimo caso di omicidio tanto efferato da avere un riscontro mediatico tanto forte era stato, fino a quel momento, il delitto compiuto dalla diciottenne vercellese Doretta Graneris, che nel 1975 — assieme al fidanzato — uccise padre, madre, nonni e fratellino. Dopo il caso Maso per avere un fatto di sangue che suscitasse tanto clamore si sarebbero dovuti "aspettare" dieci anni con il delitto di Novi Ligure, commesso dall'allora diciassettenne Erika (la quale tuttavia ha scontato meno della metà degli anni che Maso ha trascorso in carcere).

Dopo la condanna

Nel 1996 Maso scrive una lettera al vescovo di Vicenza Pietro Giacomo Nonis[5], affermando di sentirsi pentito e chiedendo il perdono a Dio. Lo stesso vescovo (che celebrò le esequie dei coniugi Maso) si recherà al carcere di Milano per parlare con il giovane e capire il perché del suo gesto.

Pietro Maso scontò la sua pena in regime di semilibertà nel carcere di Opera, in provincia di Milano. In passato aveva ottenuto alcuni permessi premio: il primo nell'autunno 2006 e il secondo, per Pasqua, dal 7 al 9 aprile 2007. Con l'indulto, il termine ufficiale della sua pena era stato fissato al 2015 e non più al 2018. Maso aveva preso parte ai programmi rieducativi, studiava e si era riavvicinato alla fede. Aveva anche partecipato a un corso teatrale di musical (tra cui una rappresentazione del celebre musical Jesus Christ Superstar dove interpretava un angelo).[6]

Nell'intervista a la Repubblica del 5 febbraio 2007 Maso dichiarò che molti ragazzi gli scrivono perché avrebbero avuto voglia di fare quanto aveva fatto lui, e che egli li invitava a frenarsi e a cercare di ricucire i loro rapporti: «Non ho potuto salvare me stesso: almeno ci provo con gli altri».[7] Tuttavia, la scrittrice Cinzia Tani, esperta di storia sociale del delitto, afferma che «in carcere le sue preoccupazioni sono la cura della propria persona, dal profumo all'abbronzante, dalla ginnastica a prendere il sole. Non prova alcun rimorso. Riceve lettere da migliaia di fans».[8]

Il 14 ottobre 2008, a Maso fu concessa la semilibertà dai giudici della sorveglianza di Milano.[9][10] Dal 22 ottobre 2008, lavora a Peschiera Borromeo in una ditta di assemblaggio computer e componentistica varia (Elettrodata S.p.a. la cui attività è oggi cessata), uscendo alle 7:30 e dovendo rientrare in carcere entro le 22:30. Nel suo primo giorno di lavoro non è mancata la folla di giornalisti e curiosi all'esterno della ditta. Un passante ha urlato: «Ammazzatelo, quell'assassino».[11]

La fine della condanna era prevista per il 2018, ma venne in seguito anticipata al 2015. Il 15 aprile 2013 Pietro Maso fu rimesso in libertà[12] e prestò servizio presso l'emittente cattolica Telepace, seguito dal direttore e padre spirituale Don Guido Todeschini.[13] Nell'aprile 2013 uscì il libro scritto assieme alla giornalista Raffaella Regoli, intitolato Il male ero io (Mondadori), dove racconta il delitto, ma soprattutto il suo percorso che egli definisce di riscatto durante i ventidue anni passati in prigione.

Il 21 gennaio 2016 la Procura di Verona iscrisse Pietro Maso nel registro degli indagati con l'accusa di tentata estorsione. Le sorelle, da lui minacciate, vennero messe sotto scorta.[14][15] Il 4 marzo seguente venne ricoverato in clinica psichiatrica per turbe mentali e dipendenza dalla cocaina.[16]. Il 16 aprile 2016 dal quotidiano Libero viene resa nota una lettera scritta da Pietro Maso a Manuel Foffo[17]. Il 29 luglio 2020 Il Messaggero, anticipando la testata Oggi e citandola, rende noto che Pietro Maso prendeva il reddito di cittadinanza dal 2019[18].

Influenza nella cultura di massa

Al caso è ispirato il film del 1994 di Luciano Manuzzi, I pavoni.

Nel 1995 il fumettista Paolo Bacilieri pubblica l'albo "The Supermaso attitude", nel quale ironizza sulla vicenda.

Nell'ottobre del 2019 venne trasmesso il documentario dal titolo Pietro Maso - Io ho ucciso sul canale Nove, dove lo stesso Maso intervistato ripercorse i fatti di quella notte.[19][20]

Il nome di Pietro Maso è citato da Claver Gold nel brano Minosse dell'album Infernvm; compare inoltre nel testo del brano No Game Freestyle di Fedez e Thasup, uscito il 26 maggio 2021. Nel settembre 2021 Pietro Maso denunciò Fedez per diffamazione, argomentando: «È richiamata in maniera esplicita la drammatica vicenda personale e processuale che mi ha visto coinvolto — scrive Maso nella denuncia — e che, a distanza di anni e di un faticoso e doloroso percorso personale, sono riuscito a superare»[21].

Note

  1. ^ a b Antonello Francica, Arruola gli amici per uccidere i genitori, in La Stampa, 21 aprile 1991, p. 1.
  2. ^ a b Marco Monzani, Percorsi di criminologia, libreriauniversitaria.it ed., 1º gennaio 2011, ISBN 978-88-6292-163-3. URL consultato il 22 gennaio 2016.
  3. ^ Raffaella Regoli e Pietro Maso, Il male ero io, Edizioni Mondadori, 16 aprile 2013, ISBN 978-88-520-3790-0. URL consultato il 22 gennaio 2016.
  4. ^ Laura Tedesco, Verona, Pietro Maso ricoverato in clinica psichiatrica, in Corriere della Sera, 5 marzo 2016.
  5. ^ Montecchia di Crosara, pur essendo in provincia di Verona, si trova sotto la diocesi vicentina.
  6. ^ Pubblicazione Ansa del 25 ottobre 2002 (PDF)[collegamento interrotto].
  7. ^ La Repubblica, 5 febbraio 2007.
  8. ^ Cinzia Tani home, su cinziatani.com. URL consultato il 25 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2008).
  9. ^ Sì alla semilibertà per Pietro Maso: "Fuori dal carcere", in Il Giornale.it, 14 ottobre 08. URL consultato il 14 ottobre 2008.
  10. ^ Pietro Maso torna in semilibertà, in Corriere della Sera, 14 ottobre 2008, p. 15. URL consultato il 14 ottobre 2008.
  11. ^ Corriere della Sera, 23 ottobre 2008.
  12. ^ Pietro Maso libero dopo 22 anni di carcere, in Corriere della Sera - Milano, 15 aprile 2013.
  13. ^ A.V., «In due anni ho dato a Maso 25 mila euro», in L'Arena, 26 gennaio 2016.
  14. ^ «Finisco il lavoro di 25 anni fa» Maso minaccia, sorelle scortate, su Corriere della Sera. URL consultato il 3 marzo 2016.
  15. ^ Procura di Verona indaga Pietro Maso per tentata estorsione alle sorelle, su repubblica.it.
  16. ^ Pietro Maso in cura in una clinica psichiatrica, su tgcom24.mediaset.it.
  17. ^ Lettere da killer, Maso scrive a Foffo, su ilgiornale.it.
  18. ^ Pietro Maso percepiva il reddito di cittadinanza., su ilmessaggero.it.
  19. ^ Pietro Maso - Io ho ucciso, su veronasera.it, 10 ottobre 2019. URL consultato il 22 luglio 2023.
  20. ^ Documentario su Pietro Maso e l'omicidio dei genitori, su vanityfair.it.
  21. ^ Fedez indagato per diffamazione: parlò di Pietro Maso nel testo di una canzone, su lastampa.it, 28 settembre 2021. URL consultato il 15 ottobre 2022.

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

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